Alessandra Maltoni, Mario Pontieri: Il tragitto in continua evoluzione del sistema universitario

| 20 Novembre 2014 | Comments (0)

 

 

1. La legge 240/2010

Da anni l’università italiana si trova ad essere oggetto di cambiamenti che la caratterizzano per un incessante riformismo con continui progetti riformatori sempre in continua evoluzione.

Dopo un iter parlamentare «lungo e faticoso»[1], nel 2010 è stata approvata la legge n. 240, contenente “Norme in materia di organizzazione delle Università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario“, con lo scopo di ridisegnare l’assetto complessivo dell’intero sistema universitario.

In un testo di legge con queste ambizioni e, come tale, inevitabilmente complesso si profilano  numerosi provvedimenti attuativi di diverso grado normativo, che non potevano mancare di sollevare profili di “criticità” sia di legittimità che di merito, prontamente evidenziati già dal Presidente della Repubblica, in sede di promulgazione, e, in sede di studio e di commento, dalla stessa dottrina costituzionalistica ed amministrativistica.

Non è questa la sede per approfondire tali aspetti, anche se un richiamo all’autonomia universitaria si rende necessario, dal momento che tra i principi generali della riforma, elencati nell’art. 1 della legge 240/2010, spicca la previsione che fa delle Università la “sede primaria di libera ricerca e di libera formazione nell’ambito dei rispettivi ordinamenti” e quella secondo cui, in attuazione delle disposizioni di cui all’art. 33 della Costituzione, “ciascuna Università opera ispirandosi a principi di autonomia e di responsabilità”.

Analizzando l’art. 33, comma 6 della Costituzione, laddove si attribuisce all’Università “il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”, vi è da chiedersi innanzitutto che significato possa avere l’espressione “nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”.

In altre parole, come salvaguardare la natura costituzionalmente garantita dell’autonomia universitaria, a fronte della possibilità attribuita alla legge di stabilire “limiti” agli ordinamenti autonomi?

Come affermato da ampia dottrina, i “limiti” che lo Stato con legge può stabilire non dovrebbero mai essere costituiti da una normativa di dettaglio, perché normativa di dettaglio fissata con legge dello Stato e autonomia universitaria costituzionalmente garantita sono concetti che non possono coesistere, se è vero, come è vero, che l’autonomia è prima di tutto libertà di autodeterminarsi con regole proprie[2]. E se a concederla è direttamente la Costituzione, una sua compressione è accettabile solo a livello di principi, senza contenuti puntuali e stringenti.

In  questo senso, solo una normativa di principio può essere considerata effettivamente vincolante per gli Statuti delle singole Università, mentre libere dovrebbero rimanere queste ultime di derogare alla normativa di dettaglio che nulla vieta allo Stato di porre, ma solo per i casi in cui le Università non vogliano, non possano o non riescano ad autonormarsi. In realtà, sin dalla legge 168/1989 (c.d. legge Ruberti), di attuazione dell’autonomia riconosciuta dalla Carta Costituzionale, si sono susseguite leggi e leggine che hanno per lo più soffocato l’autonomia universitaria, sempre proclamata, ma mai compiutamente attuata.

Questa già scarsa autonomia, sotto il profilo normativo, organizzativo, didattico e finanziario, è stata anche gestita in modo pessimo dagli Atenei (basti pensare alla moltiplicazione dei corsi e delle sedi, al nepotismo concorsuale, alla autoreferenzialità, intesa come scollamento tra Università e mondo dell’impresa) con gravi problemi di bilancio, aggravatisi con i significativi tagli di finanziamenti pubblici intervenuti nell’ultimo decennio.

La limitata autonomia, dunque, si è tradotta nei fatti in una cattiva autonomia e, cioè, in autonomia non accompagnata da vere responsabilità. Senonchè, con la legge 240/2010 si è passati da un’autonomia limitata ad un’autonomia apparente [3].

L’impressione è che, anziché lavorare per migliorare l’autonomia, si sia utilizzato il pretesto della cattiva autonomia per ridurre ulteriormente la scarsa autonomia fin qui conferita agli Atenei.

Le critiche ricorrenti contro l’Università non sembrano rivolte contro la dissennatezza con cui l’autonomia è stata utilizzata, ma contro l’idea stessa di autonomia. A partire dagli organi e dall’articolazione interna delle Università, la legge statale appare infatti estremamente invasiva e lascia spicchi molto contenuti di autonomia. Vengono definite in modo minuzioso le modalità di composizione di tutti gli organi, da quelli dei dipartimenti a quelli delle strutture di raccordo, agli organi di governo di ateneo, giungendo a fissare soglie numeriche di composizione inderogabili per tutti gli atenei statali[4].

Sulla presunzione che le Università non siano in grado di adeguare autonomamente i propri meccanismi istituzionali al contesto esterno, il legislatore dunque impone un “modello base” di governance valido per tutte le Università pubbliche, quale presupposto indispensabile per un più efficace e responsabile funzionamento degli Atenei.

Il legislatore del 2010 vuole un’organizzazione delle Università il più possibile omogenea, senza diversificazioni sostanziali, a prescindere dalle peculiarità e dalla dimensione degli Atenei, salvo alcuni aspetti relativi all’articolazione interna, in cui vengono richiamate le specificità degli Atenei con un numero di docenti più contenuto.

Riguardo agli organi di vertice, la legge 240 attribuisce al Rettore un ruolo con un potere forte e reale, che resta il vero centro motore dell’intero assetto di governo. Vengono ridefiniti i compiti rispettivi dei due organi collegiali, con un netto spostamento del baricentro decisionale in capo al Consiglio di amministrazione, la cui composizione viene significativamente modificata. Il Senato accademico resta un organo di rappresentanza, ma si vede marginalizzato a un ruolo soprattutto consultivo.

Riguardo alla articolazione interna degli atenei, si è cercato di superare la tradizionale diade Facoltà-Dipartimenti, con il varo di nuove strutture cui affidare il combinato disposto di ricerca e didattica.

Il disegno riformatore ha previsto il tramonto delle vecchie facoltà, per far posto alla rifondazione dei dipartimenti cui far ereditare tutte le funzioni della tradizionale struttura didattica. Resta aperta la possibilità di istituire tra più dipartimenti strutture di raccordo, con un ruolo di sussidiarietà, per coordinare e razionalizzare le attività didattiche in comune.

 

2. I nuovi Statuti

In base all’art. 2, le Università statali provvedono, entro sei mesi[5] dalla data di entrata in vigore della legge 240/2010, a modificare i propri statuti in materia di organizzazione e di organi di governo dell’ateneo, secondo princıpi di semplificazione, efficienza, efficacia, trasparenza dell’attività amministrativa e accessibilità delle informazioni.

La legge rinvia alla fonte statutaria la definitiva disciplina degli organi di ateneo e dell’articolazione interna, ma, come già osservato, interpreta in modo estensivo il potere di fissare i limiti ex art. 33 della Costituzione: non solo limiti esterni al potere statutario, ma limiti interni, con la puntuale predeterminazione del contenuto della futura disciplina statutaria[6].

La legge non si limita ad aprire una nuova fase statutaria per le università, ma impone la revisione degli statuti, prevedendo la costituzione di un apposito organo collegiale, di cui vengono indicati il numero dei componenti ed i soggetti che li nominano, il quale predispone lo Statuto, che viene adottato dal Senato accademico, previo parere favorevole del Consiglio di Amministrazione, e trasmesso al Ministro per il controllo di legittimità e di merito.

La legge vuole che il nuovo statuto, dunque, sia predisposto da un organo più ristretto del Senato Accademico[7] e composto da non appartenenti agli organi collegiali in carica. La specialità dell’organo è evidentemente volta a garantire la sollecita adozione dello statuto, mentre l’incompatibilità tra l’organo speciale e gli organi collegiali in carica sembra posta al fine di garantire la piena dedicazione dei componenti dell’organo speciale e la non diretta influenza degli equilibri esistenti negli organi ordinari sul processo costituente.

In caso di mancata adozione, da parte dell’ateneo, delle modifiche statutarie entro il termine (piuttosto breve) assegnato dalla legge, al Ministro è attribuito il potere di costituire una commissione composta da tre membri, compreso il Presidente, in possesso di adeguata professionalità, con il compito di predisporre le necessarie modifiche statutarie.

E’ indubbio come tale misura sanzionatoria, più che meramente sostitutiva, conferisca un potere eccessivamente penetrante al Ministero.

Ad ogni modo, la legge 240/2010 ha aperto una “stagione costituente” molto impegnativa, che certamente non si è esaurita con l’adozione degli statuti rinnovati, visto che le Università sono state chiamate anche ad approvare numerosi regolamenti attuativi della legge stessa di cui alcuni oggetto di continue modifiche.

C’è stata sicuramente una certa difficoltà da parte degli atenei pubblici nel recepire le indicazioni previste dalla legge 240 nei tempi previsti. I tempi stretti hanno contribuito a ridurre il dibattito pubblico, o anche soltanto accademico, sulla questione della revisione degli statuti, quasi fosse una questione meramente interna alle singole università.

La tendenza di molti statuti è stata quella di confermare, se non accentuare, il modello verticistico, che vede prima nel Rettore e poi nel Consiglio di Amministrazione la concentrazione della maggior parte dei poteri decisionali, a scapito del coinvolgimento attivo, se non con finalità propositive e consultive, delle diverse componenti della comunità accademica espresse nel Senato accademico. Per altri aspetti, molti statuti hanno applicato correzioni per conciliare il rispetto delle prescrizioni di legge con la valorizzazione del principio di autonomia delle università e dell’impostazione democratica del loro assetto interno.

E’ opportuno avviare una prima comparazione sui passaggi attuativi della legge 240/10 anche se forse vi è bisogno di attendere un periodo decisamente più lungo perché tutti i possibili effetti rilevanti si possano manifestare. Ad oggi tutti gli Atenei Statali[8] hanno concluso il percorso di riscrittura degli Statuti.

Sebbene non fossero tenuti a farlo, anche alcuni atenei privati hanno provveduto ad adeguare i propri statuti ai requisiti indicati nella legge 240/10, tra i quali l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, sede della Facoltà di Medicina e Chirurgia.

 

3 Il dipartimento come forma di organizzazione della didattica e della ricerca e le strutture di raccordo.

Sul versante della governance interna, l’art. 2, comma 2 della legge 240/2010 attribuisce al dipartimento le “funzioni finalizzate allo svolgimento della ricerca scientifica, delle attività didattiche e formative, nonché delle attività rivolte all’esterno ad esse correlate o accessorie”, presupponendo così il venir meno delle facoltà e prevedendo la possibilità di istituire strutture di raccordo di secondo livello con funzioni di coordinamento tra più dipartimenti in esse raggruppati.

Vi è pertanto il superamento della pluralità di strutture interne che caratterizzava in precedenza gli atenei, in quanto le funzioni di didattica, prima affidate alle facoltà, e le funzioni della ricerca, prima affidate ai “vecchi” dipartimenti, vengono riunite nella nuova struttura dipartimentale.

La costituzione di dipartimenti, quali strutture deputate ad assicurare il contestuale esercizio delle funzioni didattiche e di ricerca, è legata dalla legge ad un numero di consistenza minimo di 35 professori e ricercatori, anche a tempo determinato, ovvero di 40 professori e ricercatori nelle università con un numero di professori e ricercatori superiore a mille unità, afferenti a “settori scientifico-disciplinari omogenei”.

Che la riorganizzazione dei dipartimenti sia stata pensata dal legislatore con il fine di conseguire una razionalizzazione dell’organizzazione interna delle università ed un contenimento dei costi è cosa nota che emerge dalla relazione di accompagnamento al disegno di legge[9].

La legge n. 240/10 non detta specifiche previsioni in ordine all’organizzazione interna dei nuovi dipartimenti, dando per presupposto che il dipartimento sia composto da un direttore, da un consiglio e da una giunta, nonché da una commissione paritetica docenti-studenti con funzioni di monitoraggio dell’offerta formativa e della qualità didattica.

Nella nuova articolazione interna delle università, la legge 240 ha introdotto un secondo livello di organizzazione delle funzioni didattiche, prevedendo la possibilità di istituire tra più dipartimenti delle strutture di raccordo, comunque denominate, in numero proporzionale alle dimensioni dell’ateneo, ma non può comunque essere superiore a dodici. Tali strutture di secondo livello sono state chiamate a svolgere “funzioni di coordinamento e razionalizzazione delle attività didattiche, compresa la proposta di attivazione o soppressione di corsi di studio e di gestione dei servizi comuni”[10].

Per la struttura di raccordo, se si ritiene di inserirla in Statuto, deve essere istituito un organo deliberante così composto: direttori dei dipartimenti raggruppati nella struttura; rappresentanza elettiva degli studenti; docenti in misura complessiva non superiore al 10% dei componenti dei consigli dei dipartimenti, scelti tra i componenti delle giunte dei dipartimenti ovvero tra i coordinatori di corsi di studio o di dottorato ovvero tra i responsabili delle attività assistenziali di competenza della struttura, secondo “modalità definite dagli statuti” (lett. b), comma 2, art. 2 l.240/10).All’interno della Struttura di raccordo è istituita una Commissione paritetica docenti – studenti, competente a svolgere attività di monitoraggio dell’offerta formativa e della qualità della didattica, nonché dell’attività di servizio agli studenti da parte dei professori e ricercatori.

Dall’analisi degli statuti approvati, emerge che solo un’esigua minoranza di università ha fatto la scelta radicale di istituire solo i dipartimenti, semplificando al massimo la propria struttura organizzativa. La gran parte ha viceversa previsto l’istituzione di strutture di raccordo, denominate “facoltà” o “scuole”.

Generalmente a queste strutture è stato affidato un ruolo secondario rispetto a quello previsto per i dipartimenti, anche se in qualche caso a esse sono state attribuite funzioni di particolare rilievo, o si è valorizzato al massimo il collegamento tra dipartimenti e facoltà/scuole. La complessiva destrutturazione delle facoltà si è riflessa anche nella perdita del ruolo di governo del sistema che era stato dei Presidi attraverso il Senato accademico.

Nel complessivo disegno della nuova governance di ateneo, i direttori dei nuovi dipartimenti sono chiamati a svolgere un ruolo decisamente minore, in un impianto di poteri maggiormente centralistico.

In effetti la centralità della figura del Rettore si evince anche da questo indebolimento delle altre sedi forti a livello accademico (le facoltà con i loro vertici presenti in Senato accademico): la presenza parziale dei direttori nel nuovo Senato accademico, tra l’altro fortemente indebolito dalla riforma a vantaggio del Consiglio di amministrazione, induce a ritenere sensibilmente attenuata la capacità dei vertici delle strutture decentrate di porsi come cinghia di trasmissione tra periferia e centro della governance accademica. La riforma dunque nel suo complesso ha posto una forte responsabilità in capo ai dipartimenti, vera sede di autogoverno e garanzia della libertà scientifica e didattica dei docenti e ha previsto al tempo anche una maggiore separatezza rispetto agli organi centrali di ateneo.

 

4.  La Valutazione come motore del nuovo sistema

4.1. L’ANVUR

In attuazione della stessa legge gelmini con il D.P.R. n. 76 del 01.02.2010 è stato finalmente anche adottato il “Regolamento concernente la struttura ed il funzionamento dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR)” con il quale si è data operatività all’Agenzia Nazionale per la Valutazione del sistema universitario.

Sino all’innovazione del 2010 attori della Valutazione negli Atenei sono sempre stati i Nuclei di Valutazione (Nu.Va.), coordinati a livello centrale dal CNVSU, i cui ruoli hanno subito dunque una forte modifica. Nella coesistenza con i nuovi soggetti della Qualità essi sono diventati un organismo sostanzialmente ibrido non avendo ancora trovato una perfetta dimensione nel nuovo assetto di norme.

Si consideri inoltre che, a seguito delle disposizioni del d.lgs. 150/2009, i Nu.Va. si sono visti assegnare il compito specifico di definire il Sistema di Misurazione e valutazione in sede di prima applicazione e valutare la Performance dell’Ateneo nel suo complesso.

Dotato di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile  l’ANVUR[11] “sovraintende al sistema pubblico nazionale di valutazione della qualità delle università e degli enti di ricerca e, sulla base di un programma almeno annuale approvato dal Ministro, cura, ai sensi dell’articolo 3, la valutazione esterna della qualità delle attività delle università e degli enti di ricerca pubblici e privati destinatari di finanziamenti pubblici; indirizza le attività di valutazione demandate ai nuclei di valutazione interna degli atenei e degli enti di ricerca; valuta l’efficienza e l’efficacia dei programmi pubblici di finanziamento e di incentivazione alle attività di ricerca e di innovazione.”

A rendere operative le deleghe [12] previste dall’art. 5 della legge 240/2010 è stato il DPR 76 del 2010 che ha definito il ruolo dell’ANVUR nei sistemi di Accreditamento e di Valutazione periodica e nell’elaborazione dei parametri per l’allocazione dei finanziamenti statali.

Dal 2 maggio 2011, dunque, l’ANVUR è entrata nella pienezza dei suoi poteri e con il D.Lgs n. 19 del 2012 (Decreto attuativo del sistema di Autovalutazione, Valutazione Periodica e Accreditamento) si è finalmente dato avvio al processo di razionalizzazione della valutazione del sistema universitario diretto a assicurare la qualità.

 

4.2 L’A.V.A.

Sotto il profilo della autovalutazione, l’accelerata in termini di implementazione si è avuta con l’adozione del Documento A.V.A. del 24 luglio 2012 con il quale si è voluto fornire agli Atenei quegli strumenti utili all’applicazione del sistema di AQ delle Università di cui all’art. 17 del D.Lgs. 19, attraverso l’istituzione di due ulteriori e nuovi organismi, il Presidio di qualità di ateneo (PQA), previsto come requisito di accreditamento iniziale ai sensi del DM 47/2013, e la Commissione Paritetica docenti – studenti.

In sostanza, si è voluto introdurre un sistema di Valutazione strutturato su due piani, il primo riguardaNTE la valutazione interna con la predisposizione di nuovi strumenti di autovalutazione (presidi di qualità ecc.), il secondo, il c.d. piano della valutazione esterna attraverso le procedure di accreditamento iniziale e periodico che si concluderanno con le visite in loco da parte di commissari esperti della valutazione i quali, dal 1° ottobre 2013, hanno iniziato le prime verifiche a campione sugli Atenei assegnando loro una fascia di appartenenza corrispondente ad uno stato di accreditamento.[13]

Il PQA (Presidio di Qualità) ha svolto un ruolo centrale in questo nuovo sistema della Qualità soprattutto in quelle attività di supporto all’istituzione, attivazione e modifica degli Ordinamenti e dei Regolamenti Didattici dei corsi di studio, attraverso la Banca dati RAD del Miur, finora generalmente sviluppata nell’ambito degli uffici di supporto alla didattica e tuttora in via di evoluzione

Questo nuovo organo, nello specifico, si occupa di organizzare e verificare l’aggiornamento delle informazioni contenute nelle SUA (scheda unica annuale) nonché di monitorare il regolare svolgimento delle procedure di assicurazione della qualità (A.Q.) per le attività didattiche in conformità a quanto programmato e dichiarato, di regolare e verificare le attività periodiche di Riesame dei Corsi di Studio per valutarne, infine, l’efficacia degli interventi di miglioramento e le loro effettive conseguenze, assicurando così il corretto flusso informativo da e verso il Nucleo di Valutazione e la Commissione Paritetica Docenti-Studenti.

Anche per le attività di ricerca, il Presidio verifica il continuo aggiornamento delle informazioni contenute nelle SUA-RD di ciascun Dipartimento/Struttura e sovraintende al regolare svolgimento delle procedure di AQ per le attività di ricerca in conformità a quanto programmato e dichiarato, assicurando, anche in tal caso, il corretto flusso informativo da e verso il Nucleo di Valutazione.

Come già detto un nuovo soggetto nel processo della Qualità è rappresentato anche dalla Commissione Paritetica docenti – studenti. Istituita presso ogni Struttura/Dipartimento, la Commissione ha il compito di monitorare la qualità dell’offerta formativa e della didattica nonché l’attività di servizio dei docenti verso gli studenti. La novità è decisamente rilevante perché per la prima volta lo studente, principale stakeholder dell’Università, diventa soggetto pro attivo del processo di autovalutazione contribuendo dall’interno al miglioramento dell’Istituzione.

Ordunque, alla luce di tali innovazioni, il ruolo del Nucleo di Valutazione di Ateneo si è via via trasformato caratterizzandosi per un ruolo di terzietà.

Sul punto, nell’ambito del modello di accreditamento proposto dall’ANVUR, il Coordinamento nazionale dei Nuclei di Valutazione delle Università Italiane (Convui) ha sollevato, commentando il documento AVA, alcune importanti questioni. Prime fra tutte, appunto, il ruolo di terzietà previsto per il Nucleo di Valutazione (rafforzato, peraltro, dalla Riforma Gelmini imponendone una forte componente esterna all’Ateneo) è messo in discussione laddove si prevede il coinvolgimento dello stesso “alla definizione delle metodologie interne di monitoraggio del raggiungimento degli obiettivi strategici” (B.2.3.1. d.), nonché laddove la Commissione paritetica docenti-studenti, presente in ogni Dipartimento o struttura di raccordo, fa “proposta al Nucleo di valutazione per il miglioramento della qualità e dell’efficacia delle strutture didattiche” (B.2.3.2. a.).

Più ancora nel particolare, relativamente alla valutazione della didattica da parte degli studenti ai sensi della L. 370/99, il documento prevede la verifica da parte delle Commissioni paritetiche docenti-studenti che “i questionari relativi alla soddisfazione degli studenti siano efficacemente gestiti, analizzati, utilizzati” rimanendo ai NuVa la responsabilità della trasmissione di tali informazioni. Il documento Anvur lascia, quindi, intravedere modifiche anche in merito alla relazione che i Nuclei inviano al MIUR entro il 30 aprile di ogni anno in base alla L. 370/99, che diventerà sempre più una relazione di carattere metodologico tesa a valutare l’organizzazione dell’intero processo di AQ e a fornire indicazioni e raccomandazioni.

Se il Presidio costituisce un organismo di autovalutazione finalizzato a garantire il raggiungimento di obiettivi prestabiliti dall’Ateneo e dalle singole Strutture, i Nuclei costituiscono invece un organismo di garanzia metodologica che sovraintende all’intero processo di valutazione. È così che sembra orientare la lettura sistematica del D.Lgs. 19/2012 le cui norme del Capo IV prevedono, appunto, per i Nuclei compiti di controllo periodico sull’applicazione di indicatori e criteri, nonché di supporto all’ANVUR sugli stessi temi. L’introduzione di questi nuovi soggetti del processo di valutazione lascia pensare, in definitiva, che è in atto un progressivo trasferimento di competenze e di attività dai NuVa al PQA.

In questa prima fase transitoria, quindi, i compiti più urgenti del Presidio sono stati quello di impostare i processi organizzativi interni e i flussi informativi della Qualità di Ateneo e quello di definirne le relative responsabilità, mentre, per i NuVa, il primo adempimento AVA, è stato la stesura della Relazione tecnico-illustrativa da inviare all’ANVUR entro il 30.4.2014, in cui si opererà una valutazione ex-post sull’anno accademico precedente, 2012-13.

Alla luce di queste considerazioni, appare condivisibile il timore espresso dal CUN in merito al rischio che si sia di fronte all’ennesimo sistema esclusivamente “autorizzatorio” che poco o nulla ha in comune con il processo della Qualità: “qualunque sistema di valutazione che si limitasse essenzialmente a verifiche automatiche di indicatori numerici e non prevedesse la valutazione nel merito di ogni singolo corso di studio, affidata a valutatori competenti – come descritto negli Standards and Guidelines for Quality Assurance in the European Higher Education Area – non produrrebbe un miglioramento della qualità e dei risultati, ma si configurerebbe come un esercizio burocratico inutile e oneroso e tale da produrre, se applicato, effetti dannosi”.

È l’annosa questione dell’equilibrio tra profilo quantitativo e profilo qualitativo, tra misurare per valutare e misurare senza valutare. Tali riflessioni non riguardano le sole Università italiane ma anche atenei europei. A tal proposito è interessante segnalare la posizione recentemente espressa dall’Università Friedrich-Schiller-University di Jena, Germania, contro i meccanismi di valutazione del CHE, Center for the Development of Higher Education, che ha rilevato come “una logica incrementale in questi esercizi di misurazione della performance (“sempre di più e mai abbastanza”), si traduce in un’intensificazione del lavoro, stress e sovraccarico in tutti i gruppi di lavoro accademico. Gli effetti negativi sulla qualità della ricerca e della didattica sono un’esperienza sempre più diffusa”.[14] Nello stesso senso si è, poi, recentemente espresso anche Sabino Cassese, nella relazione presentata all’incontro promosso da Roars su “Il sistema dell’Università e della Ricerca”

 

4.3.Dottorato

L’ANVUR ha inteso proporre alla comunità scientifica anche la Valutazione dei corsi di Dottorato con un documento preliminare presentato a Luglio 20014.

In adempimento all’art. 19 della legge di riforma dell’Università 30 dicembre 2010 (disposizioni in materia di dottorato di Ricerca) si sono apportate dle  emodifiche ala precedente normativa prevedendosi altreì una delega al Ministro pe rl’emanazione di un decreto che ne disciplinase l’accreditamento (sia di sede dei dottorati dsia di organizzazione degli stessi).

In particolare i nuovi criteri di accreditamento dei dottorati sono stati emanati nel Decreto Ministeria (DM) 45 dell’8 febbraio 2013 “Regolamento recante modalità di accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato e criteri per l’istituzione dei corsi di dottorato da parte degli enti accreditati”, decreto con cui il Ministro ha esercitato la delega contenuta nell’art. 19 della legge “gelmini”.

Tra gli obiettivi della Valutazione (frutto dell’associazione di indicatori quantitativi e di criteri V1 e V7 elencati nella sezione 2. Dell’ANVUR, in piena sintonia con gli obiettivi dell’accreditamento) intendono favorire i corsi di dottorato che maggiormente favoriscono per i dottorandi un ambiente di Ricerca e di livello elevato che sia aperto al confronto e alla collaborazione internazionale, il e una disponibilità di fondi, oltre alla borsa di dottorato, che ne consenta la mobilità: partecipazione a congressi, soggiorni in altri Atenei, Centri di Ricerca e che garantiscano un collegamneto con Scuole e Enti di Ricerca Italiani e Stranieri caratterizzati dall’eccellenza scientifica e in grado di opspitarli per periodi medio/lunghi.

Il DM 45/2013 va necessariamente collegato con il DPR 76/2010 che definisce i compiti dell’ANVUR alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 3, laddove si stabilisce che l’ANVUR “definisce criteri e metodoligie per la Valutazione in base a parametri oggettivi e certificabili, delle strutture delle Università e degli enti di Ricerca, e dei corsi di Studio Universitari, ivi compresi – appunto – gli stessi corsi di Dottorato”.

 

Maltoni Alessandra e Pontieri Mario sono membri del Senato Accademico dell’Università di Bologna

 


[1] Così il Presidente della Repubblica scrive al Presidente del Consiglio dei Ministri in una lettera di accompagnamento del decreto di promulgazione della legge n. 240/2010, auspicando che nella successiva normazione legislativa, regolamentare e ministeriale, cui la legge rinvia, si risolvano «talune criticità» riscontrate nel testo, nel quadro di «un costruttivo confronto con tutte le parti interessate».

[2] Così, L.A. Mazzarolli, Il principio dell’autonomia universitaria nella Costituzione, in La riforma dell’università tra legge e statuti, pag 19 e ss.

[3] A. Sandulli, La rappresentanza dei saperi e delle discipline, in Giornate di studio, 19 settembre 2011, reperibile presso il sito internet: http://www.cun.it/media/114073/relazionealdosandulliroma19settembre2011.pdf

[4] Numero minimo per i docenti afferenti a ciascun dipartimento (35 in generale, 40 per quelle sopra le mille unità), numero massimo per le Facoltà istituibili in ogni ateneo (12, art. 2, comma 2, lett. d), numero esatto dei componenti dei consigli di amministrazione (11 o 10, art. 2, comma 1 lett. i), numero massimo dei componenti del senato accademico (35, art. 2 comma 1 lett. f)).

[5] La legge 240/2010 è entrata in vigore il 29 gennaio 2011.

[6] F. Merloni, La nuova governance, in Giornale di diritto amministrativo, 2011, pag. 353.

[7] Apposito organo composto da 15 componenti (art. 2, comma 5, legge 240/2010).

[8] Gli atenei statali italiani sono 67, stando alle informazioni reperibili sul portale del MIUR.

[9] V. Relazione al D.D.L. n. 1905-A del Senatore Valditara, p. 1.

[10] Art. 2, comma 2, lett.c) della legge 240/10

[11] A. MARI, L’Agenzia nazionale di valutazione del sistema dell’università e della ricerca, in Giorn. Di diritto amm., 2008, 4, p. 384;

[12] Si ricorda che tali deleghe richiamano l’introduzione di un sistema di Accreditamento sia delle Sedi che dei corsi di studio universitari in coerenza con gli standard e le linee guida per l’Assicurazione della Qualità nell’area dell’educazione superiore europea adottate nel 2006 con Raccomandazione del Parlamento e Consiglio Europei 2006/143/CE. Il Governo è delegato ad adottare, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi finalizzati a riformare il sistema universitario per il raggiungimento dei seguenti obiettivi

[13] E. MINELLI, G. REBORA, M. TURRI, Valutare o misurare i risultati? Il caso dell’università, in Liuc Papers n. 165, Serie Economia aziendale 22, marzo 2005

[14] Sabino Cassese, “L’Anvur, burocratizzando misurazione e valutazione, si sta trasformando in una sorta di Minosse all’entrata dell’Inferno o di Corte dei conti con straordinari poteri regolamentari, ma ignorando le conseguenze della amministrativizzazione della misurazione e della valutazione: la scelta degli esaminatori, la selezione dei docenti, lo stesso progresso della ricerca saranno decisi non nelle università, ma nei tribunali.Cfr. sentenza Tar Lazio, Sez. III, n. 08408/2012 dell’11 ottobre 2012, che ordina all’Anvur l’esibizione dei documenti preparatori della classificazione delle riviste e  il Documento di lavoro CUN del 24 ottobre 2012 che elenca le questioni aperte circa i criteri di valutazione per le procedure di abilitazione.

 

Category: Scuola e Università

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