Francesca Brandes: IL LIMITE, Video -installazione di Elisabetta Di Sopra, Museo Archeologico Nazionale di Venezia
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Non c’è fine al principio: nel messaggio artistico, la natura può ancora parlarci come parlava all’origine. Ci dice che il sonno e la veglia, lo scorrere del tempo sono riflessi evanescenti. Tutto resta uno, perché la physis – passata e presente – è potenza in essere. Ogni ferita, ogni passaggio non cambiano la sostanza delle cose.
L’installazione di Elisabetta Di Sopra IL LIMITE – un video-trittico ambientato (con la partnership tecnica di “We Exhibit S.r.l.) negli spazi del Museo Archeologico di Venezia in Piazza San Marco, tra statue femminili di età imperiale romana e i tre Galati delle raccolte Grimani, mostra la posa di una modella esperta nell’aula di Anatomia Artistica dell’Accademia di Belle Arti. Ancora una posa, anche se gli studenti sono assenti. Elisabetta ne analizza il vibrato sottile nel perdurare della posizione: figura intera nel monitor centrale, dettagli in quelli laterali, a un soffio dalle statue. Postura con postura, muscolo con muscolo, senza distanza. Noi siamo chiamati, come pubblico, a valutare il limite, «inteso come linea e disegno – ha commentato il Direttore regionale dei Musei del Veneto Daniele Ferrara – ma “il limite” è soprattutto l’elemento necessario cui deve ricorrere la nostra percezione visiva per cogliere le forme».
La proposta della Di Sopra, videomaker nata a Pordenone, ma residente a Venezia da decenni, rappresenta, in realtà, una tappa progettuale importante per le istituzioni culturali della città. Per questo evento, infatti, si è concretizzata
una fattiva collaborazione tra l’Accademia di Belle Arti del capoluogo lagunare – dove Elisabetta ha compiuto il suo percorso di studio –, la Direzione regionale dei Musei del Veneto e il Museo Archeologico, insolita location dell’installazione. Il risultato è elegante, innovativo, incredibilmente profondo. Collega passato e futuro, trasforma convinzioni ormai sedimentate. È di una verità sconvolgente.
Il messaggio di Elisabetta è vero, perché presenta l’esistente. Tuttavia, il suo lavoro non mette in evidenza solo il venire alla presenza che emerge nella sala VIII° del Museo Archeologico Nazionale di Venezia, nella purezza dei soggetti esposti, o attraverso il trittico dei monitor. Rivela anche il suo sottrarsi alle regole e fa affiorare alcuni interrogativi: dov’è il limite, se esiste, tra realtà e mimesis? Qual è il percorso che conduce l’essere – di carne, di marmo, virtuale – a considerare la propria autenticità come fondante? Perché è di questo che si parla. Di stato nascente, ora e qui, o in un tempo passato. Oppure, nonostante il tempo passato. Verrebbe da pensare che il limite, un limite, sia rappresentato anche dalla nostra paura, la paura che il tempo abbia fine.
In quest’opera – commovente, profonda e totale – percepiamo invece qualcosa che ci è destinato e ci consola. IL LIMITE ci fa anche comprendere che apparteniamo all’evento non meno di quanto esso appartenga a noi. Siamo una cosa sola con ciò che accade, è uno spazio di appartenenza reciproca. Comunione dell’io e dell’altro da sé.
L’origine è sempre presente, in ogni istante del nostro divenire. Il lavoro di Elisabetta mette in gioco la metafora, così come l’intende Proust; qualcosa di molto diverso dalla figura retorica cui ci riferiamo d’abitudine. Si tratta di accordare tra loro realtà confinate dal senso comune in sfere separate, quando
non antitetiche: istituendo relazioni del tutto inedite – le statue classiche, la video-arte, la figura umana e la stessa ferita dei restauri – l’artista genera un corto circuito meraviglioso, che assomiglia alla memoria involontaria della Recherche. Qualcosa che sorge (o ri-sorge) al di fuori del contesto nel quale l’intelligenza e l’abitudine iscrivono la nostra esperienza del reale.
«L’anatomia artistica è una disciplina antica, non meno dell’imitatio o della mimesis, disciplina che può suonare desueta, considerando l’attenzione contemporanea ai nuovi media e l’emancipazione da aspetti più tradizionali delle arti. – sostiene Riccardo Caldura, Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Venezia – E invece, per quelle interne dinamiche che sono proprie dell’arte, grazie alle quali niente può effettivamente considerarsi ‘passato’, è proprio dalla distanza che inizia il percorso di riavvicinamento».
Il tutto è parametrato allo spazio necessario: lo spazio dell’aula di Anatomia, ora vuota, in cui posa ancora una volta la modella; l’impercettibile spazio del suo movimento, leggerissimo nella statica generale; lo spazio del racconto nella sala museale; la distanza ravvicinata (anch’essa spaziale, ancor più che temporale) tra le sculture antiche ed i monitor dove viene proiettata la seduta. Lo spazio tra noi e quel luogo, così caro al percorso di tanti artisti che hanno studiato all’Accademia, agli Incurabili o nella vecchia sede di campo della Carità. Esiste poi uno spazio ulteriore, immenso ed intimo ad un tempo, che unifica il tutto e gli dà senso. Dà un senso ai destini e al ricordo della nudità, come offre un nuovo significato alla collaborazione tra le istituzioni veneziane, in una città dove troppo spesso ci si è accontentati dei singoli risultati specifici.
«L’installazione IL LIMITE di Elisabetta Di Sopra – spiega Nicoletta Giordani, già Direttrice del Museo Archeologico di Venezia – rientra nell’idea di una rassegna #nuovisguardisulmuseo, che coniuga opere dell’antichità classica a espressioni artistiche contemporanee. Questo percorso, intrapreso nel novembre 2019, ha aperto le porte dell’Istituzione alla performance musicale di Gerardo Balestrieri ispirata a Hugo Pratt e ai viaggi avventurosi di Corto Maltese, al trailer del film che sarà tratto dal romanzo di Stella Nosella, Sebastian’s Chronicles, ad esempio. Altre iniziative, collegate ai tradizionali appuntamenti veneziani, sono a calendario nei prossimi mesi».
Allora sì che anche il tempo, anzi «i tempi» come ribadisce Caldura, possono scorrere contemporanei. Accogliendo pubblici diversi e nuove idee di futuro. Questa è opera di armonia.
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