L’uccisione di Michael nella cooperativa Dolce di Casalecchio: pagare piuttosto che cercare di capire
Nel Corriere di Bologna del 31 gennaio 2013 è stato pubblicato un articolo di Alessandro Mantovani in cui si danno ulteriori informazioni sulla uccisione del ventenne disabile psichico Michael Passatempi avvenuto il 27 agosto 2012 nei locali della Cooperativa Dolce di Casalecchio. Il pubblico Ministero Giampiero Nascimbeni a seguito del medico legale Chiara Mazzacori e delle indagini dei carabinieri del Nas ha rinviato a giudizio tre operatori della Cooperativa Dolce (due uomini e una donna) perché avendolo immobilizzato a terra (Michael voleva continuare a giocare con la Play Station e si rifiutava di consegnarla agli operatori) i due uomini si sono sono seduti sula sua schiena mentre la donna andava a chiamare il 118 . Quando il 118 è arrivato Michael era stato ucciso per schiacciamento e soffocamento. La Coop Dolce ha offerto la propria tutela legale ai tre operatori.
Su questa vicenda il medico e psichiatra Emilio Rebecchi ha scritto un pezzo per “Inchiesta” (177, luglio-settembre 2012, pp.41-47) che è stato riprodotto anche su www.inchiestaonline.it (sezione welfare e salute). Rebecchi si interroga su come si sia arrivati a uccisioni di questo tipo senza che sia stata fatta nessuna riflessione sulle cause che le hanno provocate e confronta la situazione attuale e quella degli anni ’70 e ’80. Le differenze sono visibili:
E’ avvenuta “una profonda rivoluzione culturale che interessa tutto l’ambito psicologico e psichiatrico. Le vecchie prospettive fenomenologiche e psicodinamiche vengono sostituite da nuove prospettive funzionalistiche, di chiara derivazione americana. Si afferma una cultura sempre più positivista e biologista, con uso abbondante di farmaci “calmanti” e di cosiddetti protocolli comportamentali. Via via si spegne il tentativo di comprendere la persona sofferente per problemi psichici, e si sviluppa una strategia tesa al controllo, al condizionamento, alla “educazione”. Educare, guidare i malati di mente invece di comprenderli; sedarli, in qualche modo farli tacere. Non debbono disturbare, non debbono scandalizzare. Il silenzio torna a scendere su di loro. È in questo contesto, in questo momento storico, che il povero Michael incontra il suo destino. Non può giocare troppo a lungo con la playstation. Deve consegnarla agli operatori, deve ubbidire, conformarsi. Certamente ha dei problemi, non voglio qui approfondire la clinica – non è il caso – e neppure sostituirmi ai giudici, che dovranno pronunciarsi sull’accaduto, su quale malattia, sull’appropriatezza delle cure, ecc. Voglio solo ricordare, ed affermare, che non può esistere un protocollo che preveda l’intervento sull’addome del poveretto al posto del torace. Voglio solo dire che è necessario riaprire il discorso sui disturbi mentali, sulla loro cura, sul rapporto fra i sofferenti psichici e la società in cui vivono. Nei campi di concentramento finivano ebrei, comunisti, zingari e malati di mente. Non vogliamo che accada mai più.”
L’intervento di Rebecchi è un intervento che invita a cercare di capire le responsabilità gestionali, di formazione, di relazione medico/paziente.
Quale è stata invece la reazione di Pietro Segata presidente della Cooperativa Dolce?
Come riporta Mantovani nel suo articolo sul Corriere di Bologna, il presidente dalla Cooperativa Pietro Segata è “soddisfatto…. La procura ha escluso responsabilità gestionali nostre e questo è importante. Siamo sellevati. Permane il convincimento del pm sulla responsabilità degli operatori, che per noi si sono comportati secondo coscienza e secondo le indicazioni ricevute. Sono tutti e tre in servizio a Casa Dolce. E’ stata una tragedia per noi molto dolorosa, che turba profondamente gli operatori, non solo alla dolce. Abbiamo piantato un albero per ricordare Michael. Il risarcimento alla famiglia? La nostra copertura assicurativa è molto ampia, la famiglia sarà tutelata in ogni caso”.
Quello che dice il presidente della Cooperativa non dovrebbe stupire. Pietro Segata aderisce perfettamente ai due principali principi del neoliberismo USA (il neoliberismo puro, quello prima di Obama) in materia sanitaria:
1. Di fronte ad “incidenti” anche mortali non mettere mai in discussione le responsabilità gestionali, di formazione, di relazione medico/paziente. Parlare solo di “tragedia” e difendere la responsabilità degli operatori che “si sono comportati secondo coscienza e secondo le indicazioni dovute”.
2. Essere pronti a pagare le spese processuali e il risarcimento ai familiari (negli Stati Uniti gli ospedali, case di cura ecc.. prevedono un fondo, in percentuale del reddito, molto elevato per le cifre che si prevede di dover sborsare in caso di “incidenti”).
A questi due principi Segata aggiunge anche un tocco di “green” (ogni morto un albero).
Emilio Rebecchi ha ragione. E’ avvenuta una “profonda rivoluzione culturale” e, dal punto di vista delle persone disabili e non, non è una buona cosa
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