Rossana Rossanda: Macron, il presidente “divino”

| 25 Settembre 2017 | Comments (0)

Diffondiamo da www.sbilanciamoci.info del 25 settembre 2017

Nessun capo di stato in Europa è stato accompagnato dalla pregiudiziale positiva di cui ha goduto Emmanuel Macron, giovane brillante e colto. Del suo valore del resto è lui stesso il primo a essere persuaso: di fronte al vecchio Hollande che rivendicava di essere “un presidente normale”, in polemica con l’esagitato suo predecessore Macron ha dichiarato di voler restituire sacralità alla funzione e si è richiamato non all’esempio di Charles De Gaulle e neppure di qualche altro importante monarca della storia precedente alla prima Repubblica ma addirittura a un dio, anzi  al primo degli dei. Giove.

Fin dalla prima mezz’ora dopo essere stato eletto, Macron ha prediletto le immagini di se stesso in maestà, e parlando non è certo agli “io” che ha rinunciato. Da un certo punto di vista gli è riuscita una operazione eccezionale: ha demolito il panorama politico dell’ultimo mezzo secolo, venendo incontro all’ondata populista che ha pervaso anche la Francia, ma poi al posto dei partiti storici e dei loro leader ha posto se stesso come un potere quasi incondizionale. Una manovra populista  di prima grandezza.

Macron si è affermato prima di tutto come qualcuno che ha liquidato inesorabilmente la sinistra, dichiarando di voler modificare il secolare codice del lavoro, e non attraverso una riforma, se non costituzionale regolarmente parlamentare, ma bensì per decreto. Flebili sono state le obiezioni dei sindacati.

Subito dopo Macron ha invitato nella forma più solenne Donald Trump, al quale non ha risparmiato baci e abbracci e pacche sulle spalle, proclamandosi rispettoso anche delle divergenze niente meno che sul tema del cambiamento climatico. E non gli ha risparmiato onori e monumenti della capitale, anche se con scarso risultato (Trump era particolarmente offuscato durante tutta la visita parigina per via delle imprese di suo figlio), fino a consentire che i servizi di sicurezza del Presidente degli Stati uniti sgomberassero per una giornata la chiesa di Notre Dame e la Tour Eiffel, assegnate alla visita di Melania e di Brigitte, le Prime signore, e allo sfoggio dei loro vestiti.

Subito dopo Trump ha invitato Netanyahu, per ricordare assieme a Israele la deportazione degli ebrei di Francia, prima in uno stadio e poi ad Auschwitz, episodio poco glorioso di cui è stato colpevole il nostro vicino di oltralpe durante l’occupazione tedesca; onor di cronaca vuole che si riconosca a Macron di essersi anche espresso per le due Nazione e i due Stati, e di avere auspicato la fine degli insediamenti nei territori occupati.

Inoltre il 17 luglio scorso Macron si è rivolto con un altro discorso ai senatori sul tema delle riforme delle collettività territoriali, argomento molto sensibile per chi lo ascoltava, per la grande rete di potere locale che sta alle spalle del sistema politico francese. È stata un occasione per dissertare anche sulla concertazione, dopo l’incidente spiacevole del 14 luglio, proprio durante la sfilata delle forze armate con il Capo di Stato maggiore dell’esercito, generale Villiers, il quale si era permesso di criticare il robusto taglio nel finanziamento delle Foa: “Sono io il capo, e non ho bisogno né di pressione né di commenti”. Una uscita che decisamente non gli  ha giovato.

Per “concertazione” Macron intende comunicazione delle sue volontà ai deputati o senatori che lo ascoltano riverenti; ma forse è stata la seconda volta che il Presidente ha incontrato qualche obiezione, avanzata in particolare dalla destra dei Repubblicani. Non è detto che gli dispiaccia, perchè così si può dimostrare che malgrado l’opera di rottamazione del sistema politico che l’ha preceduto la Francia resta una repubblica parlamentare, nonostante il partito del presidente, la Republique en Marche, abbia la maggioranza assoluta alla Camera: questo spiega i toni più affettuosi con i quali si è rivolto al senato.

Insomma le prime settimane del presidente cominciano a incontrare qualche modesta critica. Resta da vedere se una critica simile verrà applicata anche alla politica migratoria, finora assolutamente chiusa.

Category: Osservatorio Europa, Politica

About Rossana Rossanda: Rossana Rossanda (Pola, 23 aprile 1924) è una giornalista, scrittrice e traduttrice italiana, dirigente del PCI negli anni cinquanta e sessanta e co-fondatrice de il manifesto, giornale con cui ha collaborato fino a novembre 2012. Nacque a Pola nel 1924. Fra il 1937 e il 1940 frequentò il Liceo Classico Manzoni di Milano e anticipò di un anno l'esame di maturità. Fu allieva del filosofo italiano Antonio Banfi, giovanissima partecipò alla Resistenza come partigiana e, al termine della Seconda guerra mondiale, si iscrisse al Partito Comunista Italiano. In breve tempo, grazie anche alla sua profonda cultura, venne nominata da Palmiro Togliatti responsabile della politica culturale del PCI. Nel 1963 venne eletta per la prima volta alla Camera dei deputati. Nel 1968 pubblicò un piccolo saggio, intitolato L'anno degli studenti, in cui affermava la sua adesione al movimento della contestazione giovanile, sviluppatosi proprio in quell'anno. Contraria al socialismo reale dell'Unione Sovietica, insieme a Luigi Pintor, Valentino Parlato e Lucio Magri contribuì alla nascita de il manifesto, che, inizialmente, fu anche un partito, oltre che un quotidiano. Nonostante il parere contrario di Enrico Berlinguer[1], Rossanda fu radiata dal PCI a seguito del XII Congresso nazionale svoltosi a Bologna. Nel 1972 il manifesto partito ottenne solo lo 0,8% dei voti, e, anche a causa della sconfitta elettorale, si unificò con il Partito di Unità Proletaria, cioè con le parti del PSIUP e MPL che non avevano accettato di confluire nel PCI o nel PSI dopo la sconfitta elettorale del 1972, dando vita al PdUP per il Comunismo, di cui fu cofondatrice. Rossana Rossanda ha scritto la sua autobiografia: "La ragazza del secolo scorso", Einaudi, Torino, 2005

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