Paolo Prodi: Dallo Stato sovrano allo Stato partecipato

| 15 Giugno 2016 | Comments (0)

 

Diffondiamo da Il Mulino on line del 15 giugno 2016

In un precedente intervento sulla rivista il Mulino (diffuso anche su questa rivista), ho avanzato la tesi che la riduzione del problema delle pensioni a dilemma tra sistema retributivo e sistema contributivo ‒ come avviene non solo nella stampa e nei talk show, ma anche in interventi di autorevoli esperti ‒ è deviante e pericoloso particolarmente in questo momento storico: quando stiamo già abbandonando, con la rivoluzione tecnologica, il sistema della fabbrica e delle strutture burocratiche sulle quali si era costruito il welfare state nell’Ottocento, con il coinvolgimento dei lavoratori e delle imprese. Il ricorso alla tassazione generale, al fisco, diventa invece inevitabile e urgente quando le figure del produttore-lavoratore e del consumatore non coincidono più.

Ora penso sia inevitabile ampliare il discorso con una seconda tesi, mettendo in discussione le conseguenze che questa diagnosi ha ‒ se è vera ‒ nel processo generale di superamento del moderno Stato sovrano di diritto. Senza affrontare il problema della crisi dello Stato nazionale nel mondo globalizzato, devo precisare come punto di partenza che per me è in crisi lo «Stato sovrano», non lo «Stato» considerato come realtà che muta attraverso i secoli e che, persa la sovranità tradizionale, sta cercando nuove funzioni. Non si tratta di un mutamento solo di pelle, ma di una metamorfosi che sta investendo sia il potere politico che quello economico (nonché il sacro, sembra): pensiamo ai fondi sovrani o, forse in senso inverso, al capitalismo di Stato cinese.

È entrata dunque in crisi la sovranità statale, ma con questa anche, secondo l’espressione che era così cara all’amico Roberto Ruffilli, la sovranità del cittadino che sta perdendo con la crisi della rappresentanza politica la sua identità collettiva, la sua personalità sociale senza che nessuno possa fare da arbitro. Quando si parla di crisi della politica mi sembra che anche gli esperti politologi, sia negli interventi più tecnici che sulla stampa, si limitino, sulle orme dei nostri classici sino a Norberto Bobbio, a grandi discorsi sui sintomi della malattia, senza vedere che la crisi ha le sue radici proprio nella non-partecipazione e non viceversa, nella perdita soprattutto del collante collettivo che un tempo era costituito dalla «Patria».

Per fare un esempio che sembra marginale ‒ ma che non lo è ‒ se io dovessi scegliere una data periodologica per segnare, almeno per l’Italia, un passaggio epocale, io sceglierei il 2005 come anno in cui fu decisa l’abolizione della leva militare obbligatoria: se non si deve più morire per la Patria, mi sembra che tutto il resto diventi secondario.

Venuto meno questo collante, mi sembra che il rapporto tra detentori del potere economico e del potere politico sia radicalmente cambiato dal paradigma che è nato dalle rivoluzioni industriali dei secoli precedenti: è caduta l’ideologia della rivoluzione che ad esse era collegata ma non certo l’idea di rivoluzione come progetto di una nuova società. La distinzione tra destra e sinistra è messa in causa non perché sia venuta meno, ma perché è venuto meno il rapporto storico, del quale la Rivoluzione francese era stata la massima espressione, tra libertà, uguaglianza a fraternità che ne aveva caratterizzato il successo nel passaggio dal sistema feudale a quello della proprietà.

Da questo punto di vista, le proposte che oggi vengono avanzate non affrontano in nessun modo i mutamenti che procedono con il nuovo capitalismo finanziario. Anche le proposte di un reddito di cittadinanza sembrano partire dalla coda anziché dalla testa del problema; così come il taglio delle pensioni più alte con l’invocazione della solidarietà risulta totalmente al di fuori di ogni logica giuridica nell’ordinamento attuale, anche se malformazioni ereditate dai cosiddetti «diritti acquisiti» possono essere corrette nel breve termine. L’intervento pubblico organico deve essere basato su un ripensamento della fiscalità generale non per statalizzare, ma ancor più quando si vuole alleggerire il peso del welfare sullo Stato e ricorrere ai corpi intermedi e al volontariato.

Qui si toccano naturalmente i punti più profondi della crisi della democratica parlamentare e dei nuovi populismi. L’obiettivo della politica è ora certamente l’acquisizione del consenso, e non possiamo fermarci alle strutture di rappresentanza parlamentare. Dobbiamo forse arretrare e riflettere ancora una volta sulle origini della democrazia nella Grecia antica: l’acquisto del consenso da parte dei detentori del potere non ha più confini né geografici né di comunicazione nelle nuove cosmopoli (anche il tema delle frodi fiscali può essere evasivo).

 

Category: Paolo Prodi e la rivista "Inchiesta", Politica

About Paolo Prodi: Paolo Prodi è nato a Scandiano nel 1932. Si è laureato in Scienze Politiche presso l'Università Cattolica di Milano, dopo aver vinto una borsa di studio presso il Collegio Augustinianum, per poi perfezionare gli studi presso l'Università di Bonn. Ha insegnato Storia moderna presso l'Università di Trento (di cui è stato rettore dal 1972 al 1977, nonché preside della Facoltà di Lettere dal 1985 al 1988), l'Università di Roma e l'Università di Bologna (della cui Facoltà di Magistero è stato preside dal 1969 al 1972). È Presidente della Giunta Storica Nazionale (già Giunta Centrale per gli Studi Storici), membro dell'Accademia Austriaca delle Scienze e dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Nel 1965 è stato tra i fondatori dell'Associazione di cultura e politica "Il Mulino" . Nel 1973 ha fondato, insieme a Hubert Jedin (di cui è stato allievo), l'Istituto storico italo-germanico di Trento, istituto che ha diretto per oltre un ventennio. Nel 2007 è stato insignito del Premio Alexander von Humboldt . Tra i suoi libri: Disciplina dell'anima, disciplina del corpo e disciplina della società fra Medioevo ed Età moderna, a cura di P. Prodi, Il Mulino, Bologna 1994; Il concilio di Trento e il moderno, a cura di P. Prodi e W. Reinhard, Il Mulino, Bologna 1996; Storia della Chiesa di Bologna, a cura di P.Prodi e L.Paolini, Edizioni Bolis, Bergamo 1997, 2 voll.; Introduzione allo studio della storia moderna (con G.C. Angelozzi e C. Penuti), Il Mulino, Bologna, 1999; Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto,Il Mulino, Bologna, 2000; Lessico per un'Italia civile (a cura di P. Venturelli), Diabasis, Reggio Emilia 2008; Settimo Non rubare. Furto e mercato nella storia dell'Occidente, Il Mulino, Bologna 2009; Il paradigma tridentino. Un'epoca nella storia della Chiesa, Morcelliana, Brescia 2010; Profezia vs utopia, Il Mulino, Bologna 2013;Il tramonto della rivoluzione, Il Mulino, Bologna 2015; Homo Europaeus, Il Mulino, Bologna 2015; Giuseppe Dossetti e le officine bolognesi, Il Mulino, Bologna 2016

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