Nello specchio del nazismo che ritorna

| 5 Dicembre 2017 | Comments (1)

Perché il fascismo ha vinto di nuovo

Riguardiamo questo filmato

Tutti i giornali ne parlano, tutti lo condannano, molti dicono: mettiamo in galera i naziskin. Ma sì, mettiamoli in galera così si moltiplicano. Vietiamo l’apologia di fascismo così l’apologia del fascismo dilagherà dovunque. Oppure diamoci una calmata e ascoltiamo il testo dalla sintassi incerta che è stato letto dal pelato che a Como è entrato con altri dodici pelati vestiti come lui per leggere ai volontari di Como Senza Frontiere un testo molto ma molto interessante. Lo riporto qua sotto parola per parola, perché i benpensanti dell’antifascismo di regime non hanno generalmente il coraggio di riportarlo, neppure Il Manifesto tanto per intenderci ha ritenuto utile riportarlo, sbagliando enormemente. Dice il pelato (le prime parole sono perdute nella registrazione):

“….dovrebbero difendere i diritti dei lavoratori e invece appoggiano una logica schiavista causando, d’amore e d’accordo coi loro padroni  una una spietata gara al ribasso, soloni dell’emigrazionismo a tutti i costi, incapaci di vedere che la loro logica malata sacrifica i popoli di tutto il mondo sull’altare di un turbo capitalismo alienante il tutto amplificato da un megafono propagandistico di pseudo clericali irretiti dalla retorica mondialista.

Infine a tutti quelli che questi popoli mirano a sostituirli con non popoli figli della mondialità incontrollata il tutto nel nome del progresso per tutti voi, figli di una patria che non amate siamo qui a ricordarvi che il popolo si ama e non si distrugge. Ora potete riprendere a discutere di come rovinare la nostra patria.”

Si tratta di un testo impressionante che io definirei nazional-operaista. Questo testo parla il solo linguaggio che oggi sia comprensibile per la grande maggioranza di coloro che negli ultimi dieci anni hanno perduto metà del loro salario e sono sempre più alla mercé della violenza padronale della precarietà o della povertà totale. E’ colpa dei migranti? E’ colpa dei volontari di Como senza frontiere? Certo che no.

Ma non servirà a nulla fare la lezioncina di anti-razzismo e di bontà a questi poveracci. L’Unione europea ha saccheggiato le risorse economiche della società, ha messo i lavoratori alla fame, li ha aizzati gli uni contro gli altri, e alla fine quando dei migranti riescono a sfuggire all’annegamento e alle torture degli alleati di Minniti e a raggiungere il territorio europeo dove li mandiamo? Li mandiamo in qualche baracca situata nei quartieri dove abitano i poveracci a Tiburtino 3, mica ai quartieri alti.

E allora ecco che quelli dei quartieri alti esprimono i loro buoni sentimenti antirazzisti, predicano la multiculturalità e l’accoglienza, mentre quelli del Tiburtino 3 si incazzano come belve, e come non capirli?

Il fascismo è qui, ha già vinto nella mente sconquassata e nei cuori induriti della maggior parte degli europei, e i moralizzatori della sinistra al governo (ancora per poco) ci chiamano alla difesa della democrazia. Che si fottano. La parola democrazia fa ridere dopo il luglio del 2015, quando la volontà espressa dal 62% dei cittadini greci venne calpestata e irrisa dai politici che rappresentano gli interessi del grande capitale e della finanza. La democrazia è stata liquidata dal fiscal compact e dalla troika. Ora è il tempo della vendetta, che ha le fattezze del trumpismo globale.

Quel che sta succedendo era già successo: dopo la grande guerra, dopo il Congresso di Versailles milioni di lavoratori, sconfitti socialmente, devastati dalla guerra, infuriati contro il saccheggio finanziario, seguirono Adolf Hitler che gli aveva detto: non siete operai sconfitti ma guerrieri ariani.

Da quindici anni lo sappiamo e lo diciamo: il ceto finanziario e politico sta distruggendo la vita di milioni di persone e sta preparando il fascismo. Ora ci siamo. Umiliata dalla violenza finanziaria ora la maggioranza della popolazione europea esprime il suo desiderio di vendetta prendendosela con chi è più debole.

Gli squadristi che si esibiscono nel filmato comasco mi fanno pena, non orrore. Chi mi fa orrore è il ceto neoliberal finanzista, che ci ha riportato al 1933. Chi mi fa orrore sono i democratici europei benpensanti, quelli che nei quartieri alti si lamentano della scarsa accoglienza che i bravi migranti trovano nei quartieri bassi.

 

Quattro parole orrende

Nell’estate del 2016, quando cominciammo a vedere le conseguenze delle politiche di respingimento europee, mi vennero in mente una frase, quattro parole rabbiose ma eufoniche: Auschwitz on the beach.

Era un remake del titolo che Robert Wilson e Philip Glass hanno dato a una loro opera nel 1976. Avevo sostituito Einstein con la parola Auschwitz. Quello che avevo pensato mi fece orrore. Mi feci orrore io stesso, probabilmente. Come potevo giocare nella mia mente con il nome che rappresenta un concentrato immenso di dolore, come potevo ironizzare sull’Olocausto?

Eppure ogni volta che aprivo il giornale, ogni volta che leggevo qualcosa sugli accordi tedeschi con Erdogan per contenere e detenere tre milioni di richiedenti asilo, o di un naufragio nel Canale di Sicilia, o della folla di uomini respinti alla frontiera di Ventimiglia, o delle migliaia di disperati che a Calais difendevano la loro giungla, o dei siriani intrappolati nel manicomio di Leros, o degli ottomila intrappolati a Lesbos, o di quelli che si accampano davanti a una rete metallica alla frontiera ungherese, mi tornavano in mente quelle parole: Auschwitz on the beach.

Un campo di sterminio che si estende lungo le coste del Mediterraneo, appena un po’ nascosto per non dare fastidio ai turisti che si stendono estivamente sotto l’ombrellone. Un campo di sterminio nel quale abbiamo rinchiuso folle che fuggono dall’inferno di guerre che l’Occidente ha suscitato dallAfghanistan all’Iraq all’Africa, alla Libia, dovunque.

Dapprima mi vergognai di avere pensato quelle quattro parole, poi però smisi di vergognarmi, e mi accorsi che quelle quattro parole orrende erano l’unico modo per parlare di quello che sta accadendo in Europa, in Nord Africa, tutt’intorno al Mediterraneo.

Intendevo dunque paragonare la situazione che si è creata lungo le coste del bacino mediterraneo con il Gulag sovietico, o con lo sterminio nazista?

Sì, intendevo proprio fare questo.

 

Nello specchio del nazismo che ritorna

Qualcuno mi chiede: perché insistere sul fatto che stiamo vivendo un ritorno del fascismo? Perché dire che lo sterminio in corso nel mediterraneo ha caratteristiche paragonabili all’Olocausto?

Vogliamo forse spaventare qualcuno, vogliamo forse sollecitare un senso di colpa?

E’ una domanda legittima.

La mia risposta è che dobbiamo capire, questa è la prima regola, in assoluto: dobbiamo capire quel che sta accadendo, perché quel che accade non è il frutto della malvagità dell’animo umano, ma di processi storici, sociali e psichici che occorre riconoscere in modo spietato se vogliamo salvare una piccola possibilità di agire utilmente.

La cosa che mi interessa sottolineare dunque non è la somiglianza etica di Marco Minniti con Adolf Eichmann, che pure mi sembra notevole, ma la dinamica sociale e psichica che ha prodotto lo sterminio degli anni ’40, e quella che sta producendo un ripetersi di quello sterminio. Nonostante il mutamento radicale delle condizioni tecniche, geopolitiche, culturali che rende naturalmente irripetibile la vicenda del secolo passato la dinamica è la stessa.

Quale dinamica portò al fascismo storico? impoverimento della società da parte del capitale finanziario, sentimento di umiliazione da parte dei lavoratori, ricerca di un capro espiatorio cui attribuire le colpe dell’umiliazione e della miseria, e quindi sterminio.

Ebbene, quella dinamica si sta riproducendo in modo spaventosamente simile oggi.

Il capitale finanziario ha messo in moto una macchina di saccheggio, impoverimento della società, umiliazione politica della democrazia. I governi di centro-sinistra si sono fatti strumento della violenza finanziaria. I lavoratori, impoveriti dall’aggressione economica e umiliati dall’impotenza politica cercano un capro espiatorio, un nemico debole, visto che il nemico forte è troppo forte per poterlo affrontare.

Sei milioni di ebrei pareggiarono il conto per gli umiliati lavoratori tedeschi. Quanti milioni di africani sterminerà Macron per placare la rabbia e l’umiliazione dei lavoratori francesi?

Ecco perché quel paragone è utile, necessario. Perché ci permette di capire quale dinamica produce il nazismo e porta allo sterminio. Quella dinamica (sociale, ma anche psichica) è la sola cosa su cui possiamo agire, per fermare, attenuare, respingere il nazismo che riemerge.

A nulla serve la minaccia di repressione contro chi esprime sentimenti politicamente scorretti. A nulla serve la retorica della democrazia poiché la democrazia è inerte, inservibile, sistemicamente estinta.

Occorre trovare una forma di comunicazione capace di disvelare quella dinamica.

Occorre uno specchio. I razzisti di oggi, cioè la maggioranza latente della società, vanno messi di fronte a uno specchio, perché possano vedersi, e capire quel che gli sta succedendo.

Per questo è indispensabile dire la verità: il fascismo è tornato in Europa, è forza dilagante e politicamente inarrestabile.

Solo la consapevolezza (solo la cura, solo la comprensione del fascista come vittima) può fermarlo.

 

Endlosung

In questi giorni del tardo autunno 2017 si delinea un intervento europeo guidato dal Presidente Francese. L’intenzione è quella di creare una forza congiunta euro-africana per rimpatriare un numero imprecisato (comunque enorme) di persone che hanno investito le loro poche risorse e le loro attese sul sogno di raggiungere l’Europa. Un sogno che abbiamo molto propagandato, d’altronde.

Quella che Macron sta organizzando è la fase finale dello sterminio che da alcuni anni si è avviato lentamente. Possiamo fingere di non saperlo, possiamo pensare che no, le truppe francesi e maliane congiunte cortesemente riporteranno a casa qualche milione di giovanetti che si sono allontanati imprudentemente dalle loro capanne, ma non è così.

Quella che prepara Macron con l’aiuto dei tirapiedi italiani e il plauso della popolazione europea convertita al nazismo si chiama Endlosung: soluzione finale.

Auschwitz on the beach è il modo migliore per definirlo.

Alla fine dell’estate del 2016 scrissi il testo di una performance che si chiamava con quelle quattro parole orrende. Mio fratello fa il musicista e scrisse un brano per quella performance. Dim Sampajo è un artista amico mio, e concepì un’installazione visuale. Ci invitarono a portare la performance a documenta14, Kassel.

La performance non ha mai avuto luogo.

Nell’ultima settimana prima della performance che si doveva tenere il 24 agosto, sulla stampa tedesca si è scatenata una campagna di invettive contro quel titolo, contro quelle quattro parole orrende, per la ragione molto semplice che i giornalisti tedeschi (e i loro ben educati lettori) si sono riconosciuti nello specchio di quelle quattro parole, e si sono ribellati contro la loro stessa immagine.

Di fronte a quel pronunciamento massiccio del benpensantismo tedesco io e i miei collaboratori abbiamo deciso di cancellare la performance e di sostituirla con una serata di discussione che si è chiamata Shame on us, riprendendo la frase che diversi giornalisti avevano usato contro di noi.

 

Di cosa ci stiamo vergognando?

Ma di cosa ci dobbiamo vergognare? Ci dobbiamo vergognare di aver pensato quelle quattro parole, ci dobbiamo vergognare per aver costruito uno specchio?

No, ci dobbiamo vergognare di essere europei, di essere coloro che hanno sfruttato le risorse dell’Africa e del Medio Oriente, del Sud America e dell’Asia, insomma del mondo. Ci dobbiamo vergognare di essere incapaci di fare i conti con il nostro passato colonialista. Ci dobbiamo vergognare delle guerre che abbiamo provocato, delle guerre che abbiamo armato, della distruzione che abbiamo seminato in tutto il bacino mediterraneo.

E soprattutto ci dobbiamo vergognare perché da due decenni cerchiamo di contenere e di respingere milioni di persone che vogliono sfuggire all’inferno che noi stessi abbiamo provocato, e ci presentano il conto.

Il 24 agosto sono andato a Kassel, alla Rotonda del Fridericianum, dove si stava adunando una grande folla. La maggior parte delle persone non ha potuto entrare nella sala, ed è rimasta fuori, sulla piazza, mentre dentro io parlavo dicendo le cose che potete ascoltare qui:

Nei giorni successivi l’atteggiamento della stampa tedesca è cambiato, almeno in parte. Alcuni giornalisti, un po’ meno conformisti (o un po’ meno fascisti) degli altri hanno cominciato a interrogarsi sul significato dell’isterismo benpensante che aveva vietato la performance. Certo, i tedeschi hanno una sensibilità particolare quando si tratta di sterminio. Ma il pericolo è che non siano capaci di vedere lo sterminio presente per paura di rivedere lo sterminio passato.

Qualcuno, come Philip Ruch sul Suddeutsche Zeitung, in un articolo dal titolo “Un attacco alla libertà dell’arte” (che riporto qui sotto) ha denunciato la censura che l’opinione pubblica tedesca aveva operato contro la libera espressione di un artista (io e i miei collaboratori). In realtà non credo che si sia trattato di censura, e in ogni caso la libertà di espressione è l’ultima delle mie preoccupazioni. Credo che si sia trattato di un episodio di auto-censura, semmai. I democratici tedeschi, i democratici d’Europa non vogliono riconoscere la realtà che loro stessi hanno prodotto, perché questa realtà è orrenda. Dopo avere ripetuto per mille volte Nie Wieder Auschwitz, ora che Auschwitz è in costruzione con i soldi tedeschi sulle coste mediterranee, non vogliono saperlo, non vogliono che qualcuno ripeta quella parola.

Per questo io la ripeto, perché non vi è altra speranza per fermare la belva se non questa: guardarla negli occhi, e parlarle, senza mostrare i denti.

 

Un attacco alla libertà dell’arte

Di Philipp Ruch

Durante la settimana scorsa la performance Auschwitz on the beach è stata cancellata da documenta14 a Kassel, dopo violente proteste.

In sostituzione c’è stato un talk show, in cui il filosofo e attivista italiano Franco Bifo Berardi ha fatto un paragone tra l’Europa davanti alla migrazione e l’Olocausto. Qui Philipp Ruch, capo del Center for Political Sense dichiara che la cancellazione della performance è stato un errore.

Alla fine anche il sindaco di Kassel voleva impedire la performance. Storici e giornalisti si sono battuti per sabotare o impedire un’opera d’arte che non avevano mai visto. E’ normale che un happening si svolga, che un quadro venga appeso prima che tutti si scandalizzino. Questa volta non ce n’è stato bisogno.

Documenta ha deciso che non voleva aggiungere dolore al dolore, così hanno spiegato Ma occorre riflettere su chi ha provocato il dolore di Auschwitz. Perché la performance di Franco Bifo Berardi, Stefano Berardi e Dim Sampaio intendeva portare l’attenzione sui campi che sono sulle spiagge libiche. Chiunque condanni l’opera per il suo titolo è preoccupato per la natura di questi campi.

Non si tratta di campi di rifugiati, si dice spesso e neppure di prigioni ufficiali. I campi sono gestiti privatamente, e i detenuti sono ostaggi di una trappola mortale. Le donne sono violentate. Testimoni oculari parlano di sparatorie per fare spazio a nuovi internati. L’Ambasciata tedesca in Nigeria avverte contro “violazioni estremamente serie e sistematiche”. Con la violenza i campi mandano un messaggio ai rifugiati che stanno ancora a casa loro. “Non venite qui”.

ABBIAMO DIMENTICATO COSA SIGNIFICA LA PROMESSA “MAI PIU’ AUSCHWITZ”?

Quanto facile fosse la provocazione degli artisti, quanto sbagliato possa essere il paragone con Auschwitz siamo tutti d’accordo. Ma che vuol dire? Come molti altri lo storico Micha Brumik ha fatto un gioco di parole: non ci sono camere a gas sulla costa libica. Ma allora se si fosse chiamato “Dachau on the beach” sarebbe stato più accettabile?

Gli artisti sono stati drastici, d’accordo, ma anche le condizioni in Libia lo sono.

[…]

L’artista ha la libertà di scegliere dei paragoni drastici. Se la società non lo può sopportare di questo l’artista non se ne deve preoccupare. Anche documenta ha solo una missione: essere casa, protezione, rifugio per le arti. Se non protegge un’opera d’arte dalla correttezza politica malintesa, allora rompe con la libertà dell’arte. L’arte politica non è politicamente corretta. L’arte è un progetto socratico. Suo compito è risvegliare la società anche a bastonate.

Category: Arte e Poesia, Politica

About Franco Berardi: Franco Berardi, detto Bifo (Bologna,1949), è uno scrittore, filosofo e agitatore culturale italiano.Nel 1970 pubblica il suo primo libro, Contro il lavoro (edito da Feltrinelli). Nel 1975 fonda la rivista A/traverso, un foglio che era espressione dell'ala "creativa" del movimento bolognese del 1977; nei suoi scritti definisce il centro della sua analisi, il rapporto tra movimenti sociali e tecnologie comunicative. Nel 1976 partecipa alla fondazione dell'emittente libera Radio Alice e subisce l'arresto nell'ambito dell'inchiesta contro Autonomia Operaia per i tragici eventi di Argelato, in cui era stato ucciso il carabiniere Andrea Lombardini, nel corso di un controllo in cui aveva sorpreso alcuni militanti del gruppo che stavano preparando una rapina. Per richiedere la sua scarcerazione, Radio Alice organizza una festa in Piazza Maggiore, a cui partecipano oltre diecimila persone. Bifo viene scarcerato poco dopo, e diviene il leader dell'"ala creativa" della protesta studentesca bolognese del 1977. Dopo la chiusura della radio da parte della polizia, contro Berardi viene spiccato un mandato per "istigazione di odio di classe a mezzo radio", per sottrarsi all'arresto fugge da Bologna. Si rifugia a Parigi dove frequenta Félix Guattari e Michel Foucault e pubblica il libro Le Ciel est enfin tombé sur la terre (Éditions du Seuil). Negli anni ottanta rientra brevemente in Italia e poi si trasferisce a New York dove collabora alle riviste Semiotexte e Musica 80. Viaggia a lungo in Messico, India, Cina e Nepal. In quel periodo inizia ad occuparsi della crescita delle reti telematiche e preconizza la futura esplosione della rete quale vasto fenomeno sociale e culturale. Alla fine degli anni ottanta si trasferisce in California dove pubblica alcuni saggi sul cyberpunk. Ritorna a Bologna e, in veste di protagonista, partecipa al documentario Il trasloco di Renato De Maria, prodotto dalla RAI nel 1991, incentrato sulla storia del suo appartamento. Collabora poi con varie riviste culturali fra cui Virus mutations, Cyberzone, Millepiani e varie casa editrici fra cui la Castelvecchi. Collabora inoltre alla stesura di testi per la trasmissione televisiva prodotta da RAI Educational e condotta da Carlo Massarini dedicata al mondo delle nuove tecnologie MediaMente. Dal 2000 al 2009 cura con Matteo Pasquinelli l'"ambiente di rete" Rekombinant. Nel 2002 fonda Orfeo Tv, la prima televisione di strada italiana. Nel 2005 un suo pamphlet che si scaglia contro le politiche sociali del nuovo sindaco di Bologna Sergio Cofferati viene ripreso con enfasi dalle testate giornalistiche nazionali. Attualmente lavora come insegnante presso l'istituto tecnico industriale Aldini Valeriani di Bologna . Pubblica regolarmente sul quotidiano Liberazione, sulla rivista alfabeta, sulla mailing-list Rekombinant e sul sito Through Europe. Ultimo suo libro La Sollevazione. Collasso europeo e prospettive del movimento. Manni Editori, 2011

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  1. […] Il fascismo è già qui, ha già mollato gli ormeggi. (In questo la pensiamo un po’ come Bifo in questo pezzo.) Lo notiamo quotidianamente, in città ormai le uniche iniziative autorizzate sembrano essere […]

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