Nello Rubattu: Sardegna. Elezioni difficili e voglia di indipendenza
Il quadro che illustra questo intervento è di Salvatore Cubeddu e mostra minatori, operai e contadini del Sulcis
In Sardegna, il sedici febbraio di quest’anno, è giorno di elezioni regionali. Un test molto difficile per tutte le formazioni in campo.
Intanto bisogna considerare che i sardi trovano molte novità rispetto al passato: la riduzione del numero dei consiglieri regionali da 80 a 60 (1500 i candidati in corsa), la scomparsa del listino collegato al presidente e lo sbarramento al 10% per le coalizioni e al 5% per le liste fuori dalle alleanze.
In campo, sono presenti sei competitori alla carica di presidente. Si tratta di Francesco Pigliaru per la coalizione di centrosinistra, Ugo Cappellacci presidente uscente per il centrodestra, Michela Murgia per “Sardegna Possibile”, Pier Franco Devias per il “Fronte Unidu Indipendentista”, il deputato ex Pdl Mauro Pili, per la formazione moderata e sardo-autonomista “Unidos” e l’insegnante ex sardista Gigi Sanna per una parte dei movimenti per la “Zona Franca” (che punta a una fiscalità di vantaggio per la Sardegna).
Ma sono tre, quelli realmente in grado di conquistare la maggioranza in Consiglio regionale: Francesco Pigliaru, Ugo Cappellacci e Michela Murgia
Una competizione difficile che si giocherà, come dicono tutti gli analisti, sul filo di una manciata di voti.
Le ragioni che portano all’incertezza vi sono tutte e certamente hanno a che fare con le condizioni in cui versa l’isola, i cui abitanti si vedono costretti ad affrontare la crisi in condizioni peggiori,rispetto a buona parte del resto d’Italia e “con la sensazione di essere stati completamente lasciati in mare aperto in giorno di burrasca”, ha commentato un operaio dell’E.on, ricordando la chiusura di una delle aziende che producono energia e di proprietà di una multinazionale tedesca.
La Sardegna, soprattutto in questo ultimo decennio, si è fortemente impoverita: basta pensare che il reddito dei suoi abitanti è inferiore di tremila e cinquecento euro a quello della media nazionale ed è in calo nel 2014, così dicono le ultime indagini, di un ulteriore 2,3%.
Questo sta portando fra i sardi ad una grande disaffezione nei confronti dei partiti. e dei suoi rappresentanti che vengono percepiti incapaci di risolvere i loro problemi concreti di sopravvivenza. Gli ultimi sondaggi, forniscono dati fortemente preoccupanti: oltre la metà degli elettori sull’isola, non sa per chi votare e oltre il cinquanta per cento, dichiara di non avere nessuna intenzione di andarci.
Una vera batosta per chiunque vincerà, perché non potrà contare su una solida maggioranza, ma solo su una vittoria di facciata che su un elettorato di 1.350.000 votanti non raggranellerà più di 225.000 voti.
Le ragioni di questa frattura fra i sardi e la loro classe politica, sono in effetti abbastanza spiegabili, ricordano in tutte le analisi e partono dalla crisi economica generale che sta provocando i suoi effetti peggiori proprio nella terra dei “quattro mori”.
in Sardegna chiudono 27 imprese al giorno. Negli ultimi cinque anni hanno cessato le attività, 3.200 imprese artigiane con la perdita di oltre sei mila occupati. Nel solo 2012 il saldo negativo delle imprese del commercio è stato di 652 aziende. Nell’arco di quattro anni, dal 2007 al 2011, la spesa media annuale delle famiglie sarde è scesa del 13,3%, più del doppio rispetto al resto della Penisola, e la ridotta capacità di reddito ha prodotto un crollo verticale dei consumi superiore al resto del Mezzogiorno italiano (4,7%). Secondo tutti gli indicatori, fra i dati preoccupanti vi è infine da ricordare fra le imprese che nascono, il 50 per cento, non riesce a sopravvivere e dopo tre anni chiude.
L’intero settore industriale dell’isola sta chiudendo. E i sardi e il Governo regionale, ha una esigua possibilità di intervenire dal momento che la maggior parte delle aziende del settore industriale, sono in mano a gruppi stranieri, a cui poco importa se chiudere i battenti significa “uccidere” migliaia di lavoratori e di famiglie al seguito.
A questo si aggiunge il problema inquinamento, specie nell’area del Sulcis, intorno a Porto Torres, nel polo di Sarroch e in quello di Ottana, dove tante aziende metallurgiche e siderurgiche sono finite sotto inchiesta per emissioni nocive e smaltimento improprio.
Secondo i dati dell’Istituto superiore di Sanità e dell’Isde (medici per l’ambiente), a Porto Torres , si registrano tassi di mortalità indicizzati (periodo 1995-2002) superiori a quelli di Taranto”. Nove le richieste chiave: tra questi un nuovo piano energetico ambientale regionale e un piano regionale di gestione dei rifiuti solidi urbani e la bonifica dei circa 450mila ettari dichiarati Siti di interesse industriale inquinati “dato che vuol dire che un sardo su tre, in pratica cinquecento mila sardi, oggi abitano in un sito inquinato”, ricorda Vincenzo Migaleddu, medico e responsabile dell’Isde in Sardegna.
inoltre, lo sperpero delle risorse pubbliche destinate al disinquinamento è sotto gli occhi di tutti: è il caso di megastrutture quali la Portovesme Srl, la Eurallumina, la Alcoa; o di società quali l’Igea e la Ifras che seppure hanno ricevuto dalla Regione milioni di euro per bonificare i siti minerari, non vi è traccia di nessun intervento e a tutt’oggi non si sa dove è finito quel denaro pubblico.
Il settore industriale, così il manifatturiero, l’industria chimica, il comparto del sughero, quello lapideo, il sistema dei trasporti sono in coma profondo.
Ai colpi della crisi non riesce a reggere neanche il settore turistico che in controtendenza rispetto a quanto invece sta accadendo nel resto d’Italia, continua ad affondare. Soprattutto in Gallura che dagli anni sessanta in poi, aveva dato vita ad un comparto che seppure con luci e ombre, aveva rappresentato un’isola felice e un traino per il resto delle zone costiere dell’isola.
La crisi non risparmia neanche il pubblico: da una parte la chiusura annunciata, anche se ancora non praticata delle Province che rischia di mettere a spasso migliaia di dipendenti. Dall’altro la ristrutturazione forzata di molte società a partecipazione pubblica. Emblematico il caso della Multiss che con i suo mille e cinquecento addetti, organizzava il settore dei servizi (strade, edifici scolastici, gestione dei siti archeologici e piani comunitari), di competenza della provincia di Sassari che vede i propri addetti confrontarsi ogni giorno, con un disastroso altalenarsi di periodi di cassa integrazione e a paventate diminuzioni dell’organico.
Anche Abbanoa, un’altra importante partecipata pubblica regionale, creata per la gestione delle acque e delle condotte idriche, si trova in questo momento ad un passo dal fallimento e con le carte già al vaglio del tribunale di Nuoro. Ad Abbanoa, si mormora, sembra siano interessati dei gruppi spagnoli che sperano in questo modo di accaparrarsi i prossimi lavori di manutenzione della rete e del sistema delle dighe isolane considerato un vero e proprio colabrodo che disperde oltre il settanta per cento delle acque.
Tutto questo in un territorio dove un giovane su due è disoccupato e il reddito medio delle famiglie è il più basso d’Italia.
La crisi, ha contribuito per questo ad innalzare il livello dello scontro fra le forze politiche oggi presenti nel parlamento regionale, con una una forte rissosità interna che non ha risparmiato nessuno. Soprattutto ha colpito pesantemente i due poli maggiori.
Il centrosinistra, viene fuori da una lunga lotta interna che ha visto la vincitrice delle primarie, Francesca Barracciu, colpita da una inchiesta del tribunale di Cagliari – insieme ad altri sessanta consiglieri regionali di tutti gli schieramenti su ottanta – che al momento, ha mandato in galera già due di loro, per distrazione di fondi pubblici a fini personali, costringendola a passare il testimone a Francesco Pigliaru, economista e già assessore nella giunta di centrosinistra di Renato Soru.
Ma non è che per il centrodestra in questi anni le cose siano andate meglio: Il quinquennio ultimo che ha visto la presidenza di Ugo Cappellacci, uomo di fiducia di Silvio Berlusconi sull’isola, è passato in una continua baruffa e con distacchi dolorosi: come quello di Mario Diana, consigliere regionale (è uno dei due consiglieri, appena uscito di galera), fondatore, insieme a Claudia Lombardo, presidente uscente del consiglio regionale, di “Sardegna è già domani”.
Le acque del centrodestra, sono state poi agitate da Mauro Pili, deputato in questa legislatura nazionale con il Pdl, già presidente della giunta regionale, oggi approdato nel vasto mondo dei sovranisti; che con la sua lista, Unidos, chiede allo stato italiano competenze sovrane per la Sardegna, alla stregua di quanto hanno già ottenuto in alcune regioni europee, la Catalogna, i Paesi baschi e la Scozia.
La vera outsider di queste elezioni è Michela Murgia, grande scrittrice e vincitrice del premio Campiello del 2010 con “Accabadora”, uno dei successi editoriali dell’Einaudi e opera oggi tradotta in mezzo mondo. La sua lista “Sardegna possibile”, insieme ai movimenti collegati, chiede in maniera esplicita un abbandono “dolce” della Sardegna dallo Stato italiano.
Lo stesso in questo momento, con accenti diversi, stanno chiedendo quelli delle altre tre liste in competizione: il Fiu (Fronte unidu indipendentista), Unidos (di Mauro Pili), e Zona Franca, che lancia la candidatura di Gigi Sanna, con motivazioni fortemente indipendentiste.
Ma lo stesso sentimento di rifiuto della sovranità italiana, oggi è presente in molte delle liste che si sono raggruppate all’ombra delle due grandi coalizioni storiche (Pd e Pdl) che secondo i sondaggi, anche se di poco, sembrano ancora in vantaggio rispetto alla lista di Sardegna possibile di Michela Murgia.
Con il Pd si sono per esempio alleati quelli di Irs (Independentzia repubblica de Sardigna), i Rossomori, il partito dei sardi e Sardigna libera che ha presentato Claudia Zuncheddu, segretario del movimento, come indipendente nelle liste di Sel.
Lo stesso va accadendo nel centrodestra, che vede nel gruppone del Pdl, la presenza del Partito sardo d’azione che per allearsi con la lista di Ugo Capellacci, ha chiesto come punto del programma lo svolgimento di un referendum sulla indipendenza dell’isola.
Un’altra delle stranezze della campagna elettorale sarda è la mancanza di una lista Cinque stelle, soprattutto dopo che alle passate elezioni parlamentari, proprio i cinque stelle risultavano il primo partito dell’isola. “Troppa rissosità”, ha decretato Beppe Grillo che vedendo il movimento sardo diviso in diversi tronconi (fra cui uno dichiaratamente sovranista), ha deciso che sarebbe stato meglio soprassedere. “Molti di questi voti – riportano un po’ quasi tutti – potranno andare alla lista di Michela Murgia che si presenta equidistante dai due poli di maggior attrazione politica dell’isola, il Pd e il Pdl”.
Ma è proprio questo sentimento di rifiuto dell’appartenenza dell’isola all’Italia, la “cosa” di cui in questo momento si parla davvero poco sulla stampa italiana che invece risulta il dato più interessante di questa competizione sarda: “sta risorgendo dalle ceneri di settanta anni di autonomismo speso male il desiderio fra i sardi di governarsi da soli”, ha ricordato Claudia Zuncheddu, consigliere regionale indipendentista uscente.
Le cause, al solito, sono molte. Ma sta di fatto che la distanza dal Governo centrale e l’inefficienza della macchina regionale, stanno facendo nascere prepotentemente nei sardi il rifiuto politico verso lo Stato italiano.
Tale rifiuto, come ricorda una recente analisi dell’università di Cagliari che ha analizzato i dati, insieme ad un pool di università europee, sta assumendo proporzioni inimmaginabili fino a qualche decennio passato: oltre il quaranta per cento degli abitanti dell’isola, nel caso se ne presentasse l’occasione, voterebbero per un partito che ha fra i suoi programmi quello di staccarsi dall’Italia.
Questa idea, declinata in maniera diversa, ha contagiato tutti i partiti dell’arco costituzionale e l’intero mondo dei movimenti di base e di buona parte delle associazioni del volontariato isolano. Nei dibattiti pubblici, oggi si parla apertamente di necessità di una “larghissima autonomia”, di “sovranismo” e di “indipendenza” pura, riferendosi per questo ai grandi esempi europei: la Catalogna, i Paesi Baschi, la Scozia e le Fiandre.
“Intanto lo stato italiano deve restituirci oltre 10 miliardi in entrate tributarie”, dice ancora oggi, Renato Soru, ex presidente di centrosinistra della regione nel 2004 che insieme a lui, con la sua “vertenza sulle entrate” portò a Roma e per la prima volta, un esercito di diecimila sardi, seguito dall’intera Giunta e dalla maggior parte dei sindaci dell’isola. E che sia dieci miliardi l’entità del maltolto non vi è alcun dubbio, dal momento che la situazione debitoria è stata ufficializzata da una serissima inchiesta della Fondazione Agnelli.
“Queste entrate mancanti sono state percepite da tutti i sardi come un furto, un tradimento e una rapina programmata da parte di uno Stato che si sta dimostrando agli occhi di un sempre maggior numero di sardi nella veste di colonizzatore. “Non solo ha disatteso alle sue funzioni istituzionali, ma ha messo la Sardegna in ginocchio con politiche industriali che non hanno tenuto conto delle nostre specificità”. Ricordano in un convegno iriformatori, alleati del centrodestra e figli politici di Mario Segni.
“L’approccio nel nostro caso non è la rabbia, ma un elemento fondante: l’indipendentismo – dice Michela Murgia – destra e sinistra non sono certamente la stessa cosa ma è certo che in Sardegna hanno governato insieme”. E tanto per far capire da che parte sta tirando l’aria di burrasca, sempre Michela Murgia, ha recentemente incontrato la presidentessa del parlamento catalano, Nuria Gispert e la presidente dell’assemblea nacional catalana Carme Forcadell.
Ora, probabilmente, i veri competitori finali di questa competizione saranno Ugo Cappellacci e Francesco Pigliaru, ma sarà una competizione al cardiopalma. Cappellacci, ancora oggi rimane lievemente favorito, rispetto a Francesco Pigliaru che il suo partito, il Pd, ha messo in campo in ritardo e dopo una snervante lotta interna che ha lasciato se non dei morti, perlomeno dei feriti gravi sul terreno.
A suo favore sta il fatto che il centrodestra, sconta le brutte figure e le promesse non mantenute: tutti ricordano, nella competizione precedente che ha portato Ugo Cappellacci alla presidenza, la finta telefonata di Silvio Berlusconi al suo “amico Putin”, chiamato in diretta a Iglesias, a cui chiedeva di risolvere il problema della E.on che quella volta mandò in visibilio l’intero Sulcis. Ma quella telefonata non ebbe seguito con fatti concreti e il Sulcis, ha continuato a sprofondare irrimediabilmente. Ora il padrino del centrodestra, è tornato per confortare il suo pupillo, ma la sua venuta non ha di certo scaldato gli animi più di tanto. Tutti imputano al centrodestra i disastri che si sono succeduti e il fatto che in questi cinque anni di gestione quasi tutti i suoi consiglieri, sono stati accusati dai giudici di Cagliari di distrazione di fondi. A loro carico vi sono accuse che rimbalzano nella cronaca e solo adesso si sono interrotti per questioni di opportunità legata alla competizione in corso. Sta di fatto che i consiglieri del Pdl, più di altri: hanno utilizzato i fondi pubblici per comprarsi orologi Rolex, penne Mont Blanc, pagarsi le spese di matrimoni faraonici e finanziare convegni fantasma dove si acquistavano per i pranzi degli invitati, porcetti da aziende intestate alle proprie consorti per decine e decine di migliaia euro.
Vere operazioni da satrapi, senza senso e senza rigore.
Lo stesso Cappellacci, viene oggi accusato di avere gestito i fondi regionali per dubbie operazioni . Tutti gli vanno imputando la sua partecipazione in veste di amministratore delegato della Sardinia Golden Mining – una multinazionale della ricerca mineraria australiana – che dopo aver ricevuto dalla Regione ingenti finanziamenti per la ricerca in Sardegna di miniere d’oro, è poi sparita nel nulla: “Dopo sei mesi dal fallimento della Sardinia Gold Mining il suo governo (cioè quello di Ugo Cappellacci ndr) affidò ai colleghi della stessa società le discariche del Sulcis per nuove speculazioni”, dice in tutte le salse Pili: “La gravità è che dopo il fallimento della Sardinia Gold Mining, marzo 2009, nel novembre dello stesso anno, la Regione guidata da Cappellacci sottoscrive, attraverso l’Igea, un accordo con la King Rose mining di cui risulta capo lo stesso direttore esecutivo della società fallita qualche mese prima”.
Francesco Pigliaru, sicuramente può contare su una pulizia morale che manca al suo competitore principale. Ma anche lui, su molti episodi non può di certo alzare la voce. Consiglieri regionali vicini a Matteo Renzi, sono anche loro accusati di distrazione di fondi; e quindi anche a lui viene male, nonostante sia una persona di specchiata onesta, marcare la differenza e la serietà dei suoi programmi, rispetto a quelli del suo avversario.
Comunque vada, un dato è sicuramente da tenere presente: l’idea di staccarsi dall’Italia, sta diventando sempre di più un’ipotesi a cui i sardi danno molto più credito che nel passato.
Staremo a vedere. Certo è che queste elezioni del sedici febbraio, per la Sardegna saranno davvero importanti.
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