Marco Revelli: Forza sinistra. Intervista dopo il voto
Intervista a Marco Revelli da parte di Andrea Bonanni su “Politica Internazionale”, da www.sindacalmente.org 31 maggio 2014
Marco Revelli, sociologo, storico, docente di Scienza della politica presso l’Università degli studi del Piemonte Orientale, tra i promotori della lista “L’altra Europa con Tsipras” non nasconde la propria grande soddisfazione per il successo ottenuto domenica da un cartello elettorale che ha dovuto superare non pochi ostacoli durante il suo percorso e che va ben al di là del superamento di misura della soglia del 4%. Dopo la maratona romana Revelli è già a Torino dove lo raggiungiamo telefonicamente.
“Sicuramente si è trattato di un risultato straordinario – dice lo studioso – e con il senno del poi, come abbiamo detto più volte, è stato un piccolo miracolo. Perché tutto giocava contro. Giocava contro questo ossessivo e oppressivo silenzio mediatico, davvero feroce se noi pensiamo al ruolo che hanno avuto quotidiani come “Repubblica”, sulle cui prime pagine scrivevano peraltro buona parte dei sostenitori della lista e anche dei candidati. Pensiamo alla televisione. I dati che abbiamo dall’osservatorio di Pavia sono da Bielorussia. Su seimila secondi di durata dei telegiornali nel corso della campagna elettorale meno di cinquanta secondi sono stati dedicati alla lista “L’Altra Europa con Tsipras”. Un silenzio che non è stato solo disattenzione ma dettato anche da una politica esplicita finalizzata a fare piazza pulita di qualsiasi posizione politica non riconducibile al teatrino. Con questa riduzione, che poi abbiamo visto essere stata artefatta, della campagna al duello Renzi-Grillo, come se ci fosse davvero l’emergenza democrazia determinata dal rischio del sorpasso e si giocasse sull’ultima spiaggia renziana la possibilità di salvare il Paese dalla catastrofe.”
D. Aggiungiamo il fatto che siamo partiti a fare ed organizzare questa campagna elettorale letteralmente senza un euro…
“Una campagna poverissima, costata 220mila euro. Meno di quanto un singolo candidato del Pd ha speso per la propria personale campagna. Senza dimenticare, a rendere più difficile il tutto, che sperimentavamo un connubio inedito perché confluivano in questa lista esperienze, realtà e forme organizzative anche molto diverse. Due formazioni politiche che non si parlavano e si consideravano reciprocamente antagoniste da anni; un’area, in parte di opinione, in parte di associazionismo e di impegno civile, che non si riconosceva nei partiti, e che esprimeva anche una critica alla stessa forma partito; un’area appunto di opinione che abbiamo visto essere stata molto ampia, di democratici radicali, non necessariamente identificati con la sinistra radicale tradizionale, preoccupati della “notte della democrazia”, che viene interpretata su diversi fronti della politica ufficiale. Che non sopportavano Renzi perché giustamente identificato come una minaccia alla Costituzione, all’assetto di una democrazia rappresentativa vitale che non si riconoscevano in Grillo e che non accettavano l’ipotesi di farsi da parte e finire nella grande area dell’astensione. In questa campagna abbiamo messo insieme delle componenti che non era detto che avrebbero costituito un composto chimico sostenibile.
D. Invece ha funzionato….
E ha funzionato al di là delle molte difficoltà, di momenti di non facile gestione dei rapporti. Non voglio dare infatti un’immagine patinata di un percorso accidentato, ma alla fine ha funzionato. Non solo sono riuscite a convivere queste diverse anime ma si sono anche contaminate a vicenda. In alcune realtà territoriali, non poche, hanno liberato delle energie. Ho girato molto e ho visto in molti luoghi risorgere la gioia di ristare insieme, di essere una sinistra plurale ma unitaria, in grado di parlare al di fuori dei propri steccati. Che non è un’espressione di maniera. Riuscire a parlare in modo autorevole perché non chiuso in microidentità ma aperto. I risultati di tutto questo si sono poi visti nelle urne. Dove è stata fatta una campagna con questo spirito abbiamo conseguito dei risultati che stanno al di sopra del 6 o 7%. Siamo rimasti bassi là dove la gente era informata solo dalla televisione. Ma dove siamo riusciti a farci ascoltare siamo molti alti. Nelle città in particolare. A Firenze siamo al 9%, a Bologna lo stesso, a Roma siamo vicini al 7%, in molti quartieri della Capitale sfioriamo il 15.
D. Mi sembra di capire che siamo ancora una sinistra molto metropolitana…
E’ così, ed è questo un dato di cui tenere conto. Ed è anche una sinistra che si affida ancora molto al voto di opinione. Non possiamo nascondercelo. Abbiamo delle idee fortissime, una testa forse persino sproporzionata rispetto al nostro corpo. Basti vedere i testimonial di questa lista, da Rodotà a Zagrebelsky, da Odifreddi a Carlin Petrini, da Camilleri a Moni Ovadia, e la composizione delle nostre liste dove c’è indubbiamente l’Italia migliore. Poi man mano che tu ti avvicinavi alla parte socialmente più periferica, nel senso delle periferie urbane, della provincia, penso a quella lombarda dove siamo rimasti molto al di sotto della soglia, lì abbiamo scontato il mancato radicamento sociale.
Queste cose dobbiamo dircele e dobbiamo imparare dalla lezione di Syriza, e lavorare appunto per radicarci. Ma partiamo da una base straordinaria. Queste componenti, come dicevo, secondo me in molte realtà si sono contaminate a vicenda in senso molto positivo. E hanno liberato energie. In molti si chiedono a questo punto come andare avanti? Ricordo come nella fase conclusiva della campagna l’applauso più convinto e spontaneo veniva quando dicevi “il nostro incontro non finisce il 25 maggio.
Rivediamoci il 26 per non mandare disperso questo patrimonio che abbiamo costruito”. Un patrimonio di persone e di esperienze. Dietro tutto questo c’è una volontà di andare avanti con una sorta di nuovo inizio che non può essere semplice assemblaggio. Così come la lista non è stata un semplice assemblaggio. La sua fortuna è stata insita nel fatto che non riproponeva l’esperienza come Sinistra Arcobaleno e men che meno Rivoluzione civile. Che erano assemblaggi dall’alto e realizzati per linea interne. Di gruppi dirigenti che facevano una proposta ai loro specifici elettorati.
Questa volta non è andata così. Abbiamo prefigurato invece una sinistra plurale che non vuole cancellare le diverse esperienze e non chiede a nessuno di rinunciare alla propria identità, e inizialmente nemmeno ai propri percorsi organizzativi, ma che chiede di aprire una strada inedita così come inedite sono state le parti a mio avviso più efficaci della campagna elettorale. Un po’ come ha fatto Syriza in Grecia, e cioè avviare un percorso nel quale le diverse realtà si confrontano, si rispettano, si contaminano, escono dalle enclave gergali e dai rispettivi dogmatismi, restituiscono la parola al di fuori dei propri gruppi dirigenti al proprio popolo, parlano ai tanti che sono rimasti per troppo tempo fuori dagli steccati della sinistra radicale, non coltivano ognuno il proprio orto, il proprio cortile, ma si propongono un ruolo egemonico e non un ruolo di testimonianza marginale.
Cioè la possibilità di offrire soluzioni ad una maggioranza della nostra popolazione, non ai rispettivi insediamenti.
D. Come è noto Sel e Rifondazione sono stati coinvolti in questa avventura con non pochi mal di pancia. Il partito di Vendola ha deciso di sostenere la lista soltanto durante il congresso mentre il Prc si è sentito un po’ scavalcato dal vostro appello. Dopo di che le cose sono cambiate e proprio queste due organizzazioni sono tornate con due loro candidati a Strasburgo.
Che cosa ti senti di dire a loro che, certo non da soli, avranno senz’altro un ruolo importante per il futuro di questa esperienza?
Intanto mi sento di esprimere un ringraziamento per aver creduto in questa proposta che avevamo fatto rischiando un po’ il ruolo di mosche cocchiere. Abbiamo lanciato un messaggio senza avere una nostra base elettorale e senza avere strutture organizzative. Abbiamo lanciato un messaggio nella bottiglia e il fatto che sia stato raccolto ci fa un enorme piacere. E’ stato raccolto subito da Rifondazione, mentre Sel lo ha fatto dopo una battaglia interna alla quale abbiamo guardato con molto interesse e dove ha prevalso alla fine la scelta di sostenerci.
Certamente se non avessimo superato l’asticella tutto il processo sarebbe tornato a zero. Su questo lasciami dire due cose tra parentesi: gli ostacoli che sembravano insormontabili e che i legislatori avevano disseminato, tutti anticostituzionali, compreso quello delle firme oltre alla soglia – e io penso che verrà sancita anche questa realtà – alla fine si sono rivelati dei vantaggi per noi.
Pensa che cosa ha voluto dire raccogliere quelle 150mila firme richieste, raggiungendo quota 220mila! Ha voluto dire un’immersione in una realtà di territorio straordinaria. In Val D’Aosta la lista L’Altra Europa con Tsipras ha preso il 7%. In una regione dove non è mai esistita una sinistra radicale. Il che vuol dire che questo ostacolo è stato di un tale stimolo per noi che ci ha portati tra la gente. In secondo luogo quell’asticella al 4%, odiosa e incostituzionale, nello stesso tempo ci ha imposto un vincolo di credibilità.
Abbiamo dovuto dimostrare di essere credibili perché altrimenti non saremmo esistiti. E l’abbiamo vinta quella scommessa. Non la ringraziamo perché ripeto, quella clausola è odiosa. Ma alla fine chi la voluta mettere ha ottenuto il risultato opposto a quello che volevano.
D.Dopo di che ai due principali settori organizzati che cosa gli dico?
Gli dico che fuori da una prospettiva di orizzonte comune come quella che abbiamo sperimentato in questi due mesi di campagna elettorale non c’è futuro per esperienze organizzate diverse. Significherebbe per Rifondazione e per Sel, quali che siano gli esiti degli equilibri interni, consegnarsi a posizioni o di inesistenza o di subalternità. A me sembra che un percorso comune di contaminazione e di costruzione di una sinistra-sinistra in Italia sia un percorso obbligato.
D.Come farlo?
Io uso la metafora della colomba, questa realtà che ha cominciato a volare ma che se la lasci andare senza un percorso si perde. Bisogna dunque indicare fin da subito un percorso comune e alcuni appuntamenti. Da oggi bisogna dire “non ci perderemo di vista, lavoreremo per fare in modo che questo patrimonio di esperienza non si disperda e si trasferisca anche sul terreno italiano”.
Nello stesso tempo la colomba non la devi tenere troppo stretta in mano perché altrimenti soffoca. Questo per dire che non credo nelle forzature, né negli out out. Syriza ci insegna che questi processi hanno bisogno di tempo. Proprio perché sono processi di reciproca contaminazione ee bisogna lasciare il tempo perché le diffidenze reciproche, le chiusure si sciolgano, si stemperino.
Abbiamo visto lavorare insieme gente che non si parlava da anni! E’ un fatto straordinario. Per questo bisogna aspettare per ritrovare anche il gusto di tutto questo. Faccio l’esempio di Syriza: la prima volta che si presentò nel 2004 prese il 3,3%, con 270mila voti. Due anni dopo salì di altri 120mila voti e prese il 5%. E poi è arrivata ad essere il primo partito di Grecia. Perché i fatti vanno in quella direzione. La crisi impone e crea le condizioni, mette in crisi quelle che possono sembrare egemonie moderate. Penso al trionfale risultato di Renzi.
D.A proposito, che cosa pensi di questo successo? Ha delle gambe su cui andare avanti oppure rischia di essere un fuoco di paglia?
Io non credo che quello sia un blocco destinato a durare al punto tale da far parlare già di epoca renziana. Non è come il berlusconismo nel ’94, anche se il segretario del Pd ha molti tratti in comune con Berlusconi, a cominciare dalle caratteristiche del suo successo.
Ma non credo che la sua sarà un’egemonia destinata a durare negli anni. E’ una giornata quella del trionfo renziano, è il grande successo di un’operazione di marketing riuscita che ha catalizzato una galassia allo stato gassoso come il nostro elettorato oggi, molto fibrillante e molto volubile. E che si è indirizzata lì, come nel caso di un prodotto vincente in seguito ad un buon lancio con mesi spaventosi di preparazione.
Ma da dopodomani, quando bisognerà misurarsi con la politica economica, tutto questo non conterà più molto. Se non il fatto che Renzi con questo successo si è garantito il controllo totale del Pd. Non avrà più ostacoli interni. Più nessuno potrà alzare il dito rispetto ai suoi diktat. Questo perché ha dato al suo partito l’ebbrezza della vittoria dopo un lungo periodo di vacche magre.
Ma al di là di questo i fatti sono fatti. La crisi è la crisi, le sue idee economiche politiche e sociali sono orrende, a cominciare dalle sue posizioni sul lavoro, di cui il decreto Poletti è solo un’anticipazione.
E per questa ragione prepara una nuova stagione di lacrime e sangue per il mondo del lavoro e una stagione di oscurità per la democrazia perché le sue riforme istituzionali vanno nel senso di una post-democrazia molto personalistica, e molto autoritaria. La sua sostanza insomma si dovrà misurare nella sua assenza di proposte economiche e nel carattere conservatore delle sue opzioni sociali.
Tutto questo ci spinge nella direzione di creare un’alternativa ampia, non testimoniale, ma propositiva che vede nel successo della nostra lista un punto di partenza importante.
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