Luigi Manconi: Violenza nelle carceri. Il pm di Parma la legittima
Detenuto denunciò le botte e le minacce da parte di dieci agenti: “Qui non ci sono giudici o avvocati, comandiamo noi”. Ma per la Procura non ci furono né abusi né negazione di diritti
La richiesta di archiviazione gela Fabio Anselmo, avvocato di Rachid Assarag, venerdì in aula con il suo cliente per un nuovo processo a Firenze. “È inaccettabile, dov’è finito lo Stato di diritto? In quei nastri gli agenti minacciano, si parla di botte, di sangue, di medici che pur sapendo non denunciano per paura di ritorsioni, di detenuti che si feriscono pur di non farsi picchiare. Sembra proprio che non vogliano farlo più uscire vivo dal carcere. I magistrati avrebbero dovuto fare nuove indagini, intercettazioni ambientali. E invece nulla, ora lui ha paura per la sua incolumità”.
Parla come un fiume in piena l’avvocato mentre ha accanto Rachid, seduto sulla sedia a rotelle, stremato dopo lo sciopero della fame che gli ha fatto perdere 18 chili, stanco dopo il viaggio dal carcere di Torino, dove ora è rinchiuso. È l’undicesimo penitenziario dalla condanna per violenze sessuali nel 2009. Sei anni di trasferimenti segnati da denunce di minacce e violenze, di agenti che da nord a sud parlano come malavitosi “di botte che ti saranno utili perché tanto qui dentro la costituzione non vale”. Di guardie che insistono nel minacciare perché “otteniamo risultati soltanto col bastone, per questo vi picchiamo “. E se gli si chiede perché non hanno impedito un pestaggio rispondono ridendo: “Fermarlo? Semmai lo aiutavo. Vengo e te ne do altre”.
Storia di un inferno dietro le sbarre cominciato per Rachid nel carcere di Parma nel 2010 dove, racconta, in quattro guardie lo seviziano con una stampella a cui si appoggia per camminare. Denuncia, non viene creduto e per lui comincia il tour dei trasferimenti accompagnati da denunce di violenza che non portano a nulla, mentre inizia a registrare tutto con l’aiuto della moglie italiana. E sono voci dal carcere: di agenti e medici, operatori e magistrati. Di detenuti. Voci rimaste inascoltate. Come le richieste di aiuto. In una intercettazione Assarag chiede ad un medico di Parma che testimoni le violenze nei suoi confronti. Ma la risposta non dà speranza. “Non posso perché mi fanno il c… I sanitari hanno l’obbligo di denunciare ma se io faccio una cosa del genere mi complico solo la vita”. Paura, timore di ritorsioni, anche da parte di chi dovrebbe curare, accudire.
Sarà forse anche per questo che il sostituto procuratore non ha trovato conferme alle accuse di Rachid – mentre segnala ripetuti rapporti disciplinari a suo carico – e motiva la richiesta di archiviazione nei confronti degli agenti col fatto che “delle persone sentite nessuna ha riferito di aver visto segni di percosse o lesioni o di aver assistito ad episodi di violenza nei suoi riguardi “. Gli agenti negano e non sono state trovate conferme alle accuse, nessuno ha visto, nessuno ha denunciato. Restano solo quelle registrazioni a raccontare un clima che ben poco ha a che fare con l’idea di penitenziario come luogo di rieducazione.
Manconi: “Motivazione che legittima la violenza” – “Non so se il sostituto procuratore lo ha fatto per ingenuità o irresponsabilità, ma parlare di lezioni di vita carceraria davanti a quelle registrazioni è peggio che confermare gli abusi: è la legittimazione ideologica e morale della violenza in carcere “. Il senatore Luigi Manconi, presidente di “A Buon diritto”, che per prima ha denunciato e fatto pubblicare i nastri registrati, e presidente della Commissione diritti umani di Palazzo Madama, è scandalizzato.
Come giudica la richiesta di archiviazione? “È come se si considerasse la violenza nei penitenziari non come patologia e manifestazione estrema e pericolosa, ma come un tratto connaturato alla struttura carceraria. Quando il magistrato parla di lezioni di vita carceraria siamo di fronte a situazioni di palese illegalità, luoghi dove domina l’intimidazione come strumento educativo. Perché in carcere la minaccia, implicita o esplicita, è il dato qualificante il rapporto gerarchico”.
Procura sotto accusa? “Secondo me si sarebbero dovute fare indagini più approfondite, invece ci si è basati quasi esclusivamente su carte già acquisite e su relazioni di servizio. La procura che doveva perseguire i reati è come se li avesse giustificati, legittimati e infine depenalizzati. Parlare di lezioni di vita carceraria è come dire che esiste una pedagogia della violenza. E questo già rende illegale e anticostituzionale quell’istituto “.
Le registrazioni del detenuto sono mai state contestate? “No, la cosa strana è che nessuno ha mai messo in discussioni le frase registrate da Rachid “. Ci sono medici impauriti nei penitenziari?
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Nei nastri anche la voce di un medico che si rivolge ad un detenuto: “Vuole denunciarle? Poi le guardie scrivono nei loro verbali che non è vero… Che il detenuto è caduto dalle scale; oppure il detenuto ha aggredito l’agente che si è difeso, ok? Ha presente il caso Cucchi? Hanno accusato i medici di omicidio e le guardie no… Ma quello è morto, ha capito? morto per le botte”.
I nastri verranno depositati dall’avv.Fabio Anselmo, lo stesso che assiste la famiglia Cucchi. A registrarli Rachid Assarag, detenuto marocchino condannato per violenza sessuale: un reato che avrebbe spinto gli agenti a infliggergli un supplemento di punizione, pestaggi durati tutto il 2010.
L’apparecchio audio per fare le registrazioni gli è stato fatto arrivare in cella dalla moglie italiana.
Nei nastri si sente il recluso che descrive la chiazza di sangue sul muro della cella: “Va bene assistente, guarda il sangue che è ancora lì, guarda, non ho pulito da quel giorno, lo vedi?”. “Sì, ho visto”, conferma la guardia. Denunciare però è inutile: “Come ti porto, ti posso far sotterrare. Comandiamo noi, nè avvocati, nè giudici – dichiara un agente – Nelle denunce tu puoi scrivere quello che vuoi, io posso scrivere quello che voglio, dipende poi cosa scrivo io…”.
Il direttore all’epoca in forza al carcere di Parma, anticipa sempre l’Espresso, ha preferito non rilasciare dichiarazioni mentre i sindacati di categoria delle guardie carcerarie hanno difeso la corretta gestione dell’istituto.
“Mi sembra davvero singolare che a pochi giorni dall’apertura del processo di appello per la morte di Stefano Cucchi, rispetto al quale i poliziotti penitenziari coinvolti sono stati assolti dall’accusa di pestaggi e lesioni, spunti un nastro su presunte violenze in danno di detenuti nel carcere di Parma – dichiara Donato Capece, segretario generale del sindacato Sappe – Invito tutti a non trarre affrettate conclusioni prima dei doverosi accertamenti giudiziari. Come mai spunta solo ora, quel nastro registrato non si sa come e non si sa da chi? Come mai non è stato portato subito ai magistrati? Noi confidiamo nella Magistratura perchè la Polizia penitenziaria, a Parma come in ogni altro carcere italiano, non ha nulla da nascondere”.
“L’autore della denuncia riportata dall’Espresso non posso dirle se è ancora recluso presso il carcere di Parma e, qualora lo fosse, non si è rivolto al sottoscritto”, spiega invece all’ANSA Roberto Cavalieri, garante per il comune di Parma delle persone sottoposte a misure limitative della libertà personale.
“La mia attività – prosegue Cavalieri – si svolge su richiesta di colloquio da parte dei detenuti reclusi nell’Istituto della città, dei loro famigliari e, più raramente, dei legali dei reclusi. Nel corso del lavoro di quest’anno, circa cento colloqui, mi sono stati rappresentati tre casi di presunta violenza: uno di percosse denunciato alla Procura della Repubblica di Parma dal detenuto stesso e segnalato alla stessa autorità dal sottoscritto congiuntamente alla Garante regionale, dr.ssa Desi Bruno, uno di minacce per le quali sto seguendo la valutazione con la presunta vittima e uno giunto in forma anonima e riguardante frasi ingiuriose contro un detenuto e scritte da un agente della Polizia penitenziaria nel proprio profilo presente in un noto social media”.
IL SINDACATO DEGLI AGENTI – “Manifestiamo piena fiducia nell’operato degli inquirenti ed auspichiamo che sia fatta presto chiarezza sulla vicenda delle presunte violenze nel carcere di Parma. Non si può però mettere in discussione l’immagine di un’intera categoria che da quasi 200 anni svolge un ruolo di alto contenuto sociale”.
Così in una nota il segretario nazionale dell’Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti, commenta l’articolo pubblicato oggi da L’Espresso, aggiungendo che “ci sorprende il tempismo con cui è stata diffusa la registrazione delle conversazioni tra un detenuto ed alcuni operatori di Polizia Penitenziaria su presunti pestaggi, sia perché risalenti al 2010, sia perché riguardanti una delle strutture più sicure ed efficienti d’Italia, dove i sistemi di controllo degli accessi non consentono agevolmente di introdurre supporti tecnologici”.
“Auspichiamo che anche l’inchiesta interna avviata dal Dap contribuisca ad accertare l’integrità morale ed istituzionale degli agenti. Qualora invece fossero accertate oggettive responsabilità personali – conclude il sindacalista – riteniamo che ciò non possa comunque ripercuotersi sulle oltre 38mila unità che con professionalità, senso di appartenenza allo Stato e profonda abnegazione, operano quotidianamente tra enormi difficoltà per garantire la sicurezza negli istituti penitenziari del nostro Paese”