L’immigrazione selettiva di Panebianco e la replica di Matteuzzi

| 15 Gennaio 2014 | Comments (0)


 

Angelo Panebianco, docente di Sistemi internazionali comparati nella Facoltà di Scienze politiche di Bologna, su Il Corriere della sera ha scritto il 13 gennaio 2014 un articolo razzista con proposte dettagliate per favorire una immigrazione selettiva. Le sue parole sono quelle che la Lega Nord ripete da tempo. Il nostro collaboratore Maurizio Matteuzzi ha replicato il 15 gennaio 2014 a Panebianco su Il manifesto. Pubblichiamo su inchiestaonline i due testi insieme a una scelta di manifesti della Lega Nord perché la gravità delle parole di Panebianco e della Lega Nord  non vanno sottovalutate in quanto giustificano (nel caso di Panebianco anche con pretese “accademiche” e “scientifiche”) le pratiche razziste, grandi e piccole, che si stanno diffondendo in Italia .

 

 

 

 

1. Angelo Panebianco: Troppe ipocrisie sugli immigrati [Proposte per  una immigrazione selettiva]

[ Il Corriere della sera, 13 gennaio 2014]

 

La richiesta di Matteo Renzi di inserire la riforma della Bossi-Fini fra i temi del contratto di governo, al di là delle motivazioni del neosegretario del Pd, potrebbe essere una occasione da cogliere per dare basi più razionali alla nostra politica dell’immigrazione. Dobbiamo solo limitarci a tamponare e contenere i flussi migratori o abbiamo bisogno di interventi più attivi e, soprattutto, più selettivi? Una domanda che diventa possibile se ci si lascia alle spalle le ambiguità e le ipocrisie che hanno fin qui dominato il campo. Le ambiguità dipendono dal fatto che sembriamo incapaci, a causa di certe sovrastrutture ideologiche, di decidere una volta per tutte a quale criterio appendere la politica dell’immigrazione: la convenienza oppure l’accoglienza (il dovere di accogliere i meno fortunati di noi)? Troppo spesso i due criteri vengono mescolati, l’immigrazione viene giustificata alla luce di entrambi. Se non che, si tratta di criteri fra loro in contraddizione. Ne deriva l’impossibilità di formulare proposte coerenti.

Le ragioni della convenienza sono note: abbiamo bisogno di contrastare l’invecchiamento della popolazione, abbiamo bisogno – almeno se la ripresa economica, come si spera, prima o poi arriverà – di forza lavoro aggiuntiva e di nuovi consumatori. Ma a queste ragioni, ispirate alla convenienza, ne vengono sovente aggiunte altre di diversa natura, di ordine umanitario (le ragioni dell’accoglienza). I piani si confondono rendendo impossibile fare scelte razionali. L’appello all’accoglienza ha una chiara origine ideologica, nasce dalla confusione, propria di certi cattolici (ma non tutti), e anche di un bel po’ di laici, fra la missione della Chiesa e i compiti degli Stati. È la confusione fra il messaggio evangelico e la politica, fra l’universalismo della Chiesa, che parla a tutti gli uomini, e l’inevitabile particolarismo dello Stato che risponde a un insieme definito di contribuenti.

L’accoglienza non può essere il criterio ispiratore di una seria politica statale. Perché si scontra con l’ineludibile problema della «scarsità »: quanti se ne possono accogliere? Qual è il tetto massimo? Quante risorse possiamo mettere a disposizione dell’accoglienza se la vogliamo decente? A chi e a quali altri compiti toglieremo queste risorse? L’unico criterio su cui è possibile fondare una politica razionale dell’immigrazione, per quanto arido o «meschino» possa apparire a coloro che non apprezzano l’etica della responsabilità, è dunque quello della convenienza, della nostra convenienza. Una volta adottato con franchezza ci consente di porci il problema – che altri Stati si sono già posti – di come selezionare gli immigrati. È evidente che se usiamo il criterio dell’accoglienza non possiamo selezionare. Invece, possiamo, e dobbiamo, farlo alla luce delle convenienze. Di quali immigrati abbiamo bisogno? Con quali caratteristiche, con quali eventuali competenze? Oggi il problema forse non si pone data l’elevata disoccupazione intellettuale giovanile (che resta grave, anche facendo la tara alle statistiche ufficiali che, fraudolentemente, imbarcano fra i disoccupati anche gli studenti).

Però, domani potremmo avere bisogno di importare mano d’opera qualificata, per esempio in settori tecnici lasciati sguarniti dai nostri giovani. In quel caso, una politica dell’immigrazione lungimirante cercherebbe di attirare quel tipo di mano d’opera a scapito di altri tipi. Considerando inoltre che un Paese economicamente avanzato non può permettersi di importare troppa mano d’opera non qualificata. Oltre una certa soglia, non può assorbirla nei mercati legali, finendo così per favorire quelli illegali, gestiti dalla criminalità. Un effetto collaterale di una politica ispirata alla convenienza è che faremmo star bene anche gli immigrati che accogliamo. 
E poi ci sono altre considerazioni che dovrebbero entrare nelle valutazioni di chi decide la politica dell’immigrazione. Per esempio, certi gruppi, provenienti da certi Paesi, dovrebbero essere privilegiati rispetto ad altri gruppi, provenienti da altri Paesi, se si constata che gli immigrati del primo tipo possono essere integrati più facilmente di quelli del secondo tipo. È possibile che convenga favorire l’immigrazione dal mondo cristiano-ortodosso a scapito, al di là di certe soglie, e tenuto conto del divario nei tassi di natalità, di quella proveniente dal mondo islamico. Quanto meno, questo dovrebbe essere un legittimo tema di discussione.

Una politica realistica, fondata sulla convenienza, si dovrebbe insomma porre problemi di scelta, di selezione (da monitorare e rivedere nel tempo, alla luce dell’esperienza). Non si tratta di inventare nulla. Altri Paesi hanno già imboccato questa strada.

 

 

 

 

 

 

2. Maurizio Matteuzzi: Risposta a Panebianco a proposito di immigrazione

[Il Manifesto, 15 gennaio 2014]

     

Dal compianto maestro e amico Pierugo Calzolari avevo appreso la lezione del “rasoio di Hanlon“, che il suddetto, da signore qual era, sintetizzava così: “non attribuire a malizia ciò che può essere adeguatamente spiegato con l’incompetenza”; e che io, popolano e tutt’altro che signore, formulerei invece così: “prima di pensare alla malizia prendi in considerazione l’idiozia”.

Ho usato questa massima in senso kantiano, facendola mia, in specie in considerazione della miseria umana. Ma c’è un limite a tutto, come diceva Totò, ogni limite ha la sua pazienza. Leggo sul Corriere della sera:

Per esempio, certi gruppi, provenienti da certi Paesi, dovrebbero essere privilegiati rispetto ad altri gruppi, provenienti da altri Paesi, se si constata che gli immigrati del primo tipo possono essere integrati più facilmente di quelli del secondo tipo. È possibile che convenga favorire l’immigrazione dal mondo cristiano-ortodosso a scapito, al di là di certe soglie, e tenuto conto del divario nei tassi di natalità, di quella proveniente dal mondo islamico”.

Be’, qui il rasoio non mi sorregge. È un passo di “mein Kampf”? No, è di Panebianco, ed è uscito sul nostro giornale di più consolidata tradizione. Che dire? Selezioniamo dunque i cristiani, meglio, i cattolici? O magari gli misuriamo gli attributi, perché appunto abbiamo bisogno di più nascite? Si rimane veramente senza parole. E qui il “rasoio” non regge. Non può essere che si arrivi a tanto. E allora, che spiegazioni darsi?

Intendiamoci, tutto il pezzo è di sapore amaro, in specie per quel sottinteso, che forse l’autore si vergogna appunto di esplicitare, che “noi abbiamo la ricchezza” e tu, disgraziato, sfigato, non-persona, ce la devi elemosinare. Io sono io, e tu forse sei qualcosa, ma certamente diverso da “me”. Pietoso, eticamente e concettualmente.

Ma quand’anche, quando si volesse accettare questa protervia del “mio” ciò che è mio”, e tu striscia a chiedere, cioè a dire, se ci si volesse porre in quest’ottica che dichiarare fascista è un eufemismo, come interpretare nel senso di Hanlon la posizione assunta? Possibile che uno sia così incolto, possibile mettere tutto in conto a quella che viene chiamata “idiozia”?

Faccio peccato, ma penso male. Scrivere queste cose non può essere un caso, e auguro a chi le ha scritte di trarne i benefici del caso.

 

 


 

Category: Culture e Religioni, Migrazioni, Politica

About Maurizio Matteuzzi: Maurizio Matteuzzi (1947) insegna Filosofia del linguaggio (Teoria e sistemi dell'Intelligenza Artificiale) e Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. Studioso poliedrico, ha rivolto la propria attenzione alla corrente logicista rappresentata da Leibniz e dagli esponenti della tradizione leibniziana, maturando un profondo interesse per gli autori della scuola di logica polacca (in particolare Lukasiewicz, Lesniewski e Tarski). Lo studio delle categorie semantiche e delle grammatiche categoriali rappresenta uno dei temi centrali della sua attività di ricerca. Tra le sue ultime pubblicazioni: L'occhio della mosca e il ponte di Brooklyn – Quali regole per gli oggetti del second'ordine? (in «La regola linguistica», Palermo, 2000), Why Artificial Intelligence is not a science (in Stefano Franchi and Güven Güzeldere, eds., Mechanical Bodies, Computational Minds. Artificial Intelligence from Automata to Cyborgs, M.I.T. Press, 2005). Ha svolto il ruolo di coordinatore di numerosi programmi di ricerca di importanza nazionale con le Università di Pisa, Salerno e Palermo. Fra il 1983 e il 1985 ha collaborato con la IBM e, a partire dal 1997, ha diretto diversi progetti di ricerca per conto della società FST (Fabbrica Servizi Telematici, un polo di ricerca avanzata controllato da BNL e Gruppo Moratti) riguardo alle tecniche di sicurezza in informatica, alla firma digitale e alla tecniche di crittografia. È tra i promotori del gruppo «Docenti Preoccupati» e della raccolta firme per abrogare la riforma Gelmini.

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