La vittoria di Pisapia dall’osservatorio Radio Popolare

| 15 Giugno 2011 | Comments (0)

Il direttore di Radio Popolare che collabora a questa rivista descrive dal suo osservatorio questa vittoria.

 

Periferie. I nostri registratori hanno “catturato” una città allo stremo, piegata dalla crisi economica e dalla delusione per le promesse (anche quelle spicciole) non rispettate. Era un pubblico misto, dai pensionati incontrati al centro commerciale ai ragazzi del “muretto”. Ti indicavano l’opera pubblica non terminata o quella costruita “alla cazzo”, senza alcuna razionalità. Erano persone che non esprimevano nettamente una scelta di cambiamento, anzi spesso mostravano scetticismo sulla capacità dell’opposizione di essere alternativa credibile.

Cambiamento. Poco alla volta lo slogan “il vento sta cambiando” o la sua versione assertiva “il vento è cambiato” è diventato un mantra che sentivi ad ogni incontro, ad ogni stretta di mano fra amici, ai pranzi di lavoro. E’ stata una gigantesca operazione di auto convincimento che ha gettato nel panico le truppe dell’avversario politico. Quando, sotto un sole estivo, osservavamo il Palasharp con parecchi posti vuoti applaudire Letizia Moratti e Silvio Berlusconi che cantavano W la mamma e lo mettevamo a confronto con il tutto esaurito di Libertà e Giustizia di qualche settimana prima, la convinzione che il berlusconismo avesse perso di appeal ha preso forza.

Moderati e indignati. Quella dei moderati è sempre sembrata una categoria indefinita, figuriamoci nel 2011… Il candidato del centrosinistra ha avuto buon gioco a sostenere che lui interpretava meglio di chiunque quel ruolo: per blasone, per postura, per progetto politico. Basta intendersi: rispetto all’inconcludenza, alle politiche reazionarie e classiste, all’arroganza mostrata da tutto il centrodestra, un programma come quello di Pisapia è rivoluzionario. Si è fatto un gran discutere sull’appoggio della borghesia illuminata al candidato del centrosinistra. Chi conosce Milano sa che una parte della borghesia ha sempre saputo coniugare i propri interessi con aperture ai diritti civili, all’etica, all’impegno civile. C’era bisogno di qualcuno che prendesse il coraggio di denunciare quel patto di potere cementato dall’alleanza Berlusconi-Bossi-Formigoni, cioè destra rapace, egoismo sociale, partito degli affari. A dimostrazione che si può essere contemporaneamente moderati e indignati.

Terremoto. Milano e il Nord industriale sono stati storicamente la culla di ogni fenomeno politico duraturo, perché qui la faglia del potere economico impatta con la faglia del lavoro, dei ceti popolari. Nell’ultimo ventennio il forzaleghismo, come lo definiva Edmondo Berselli, ha provato a impastare questi ingredienti. Ha funzionato finché la crisi economica e le politiche del governo centrale non hanno rotto l’incantesimo: il ceto medio, il popolo delle partite iva, i piccoli imprenditori sono stati spazzati via; i grandi patrimoni non sono stati intaccati; il sogno popolare di una facile scalata sociale è evaporato. Il fenomeno è partito da Milano, ma segnali simili si possono rintracciare a Novara, Pavia, Trieste, Pordenone. E potrebbe diventare un effetto valanga.

Giovani. I redattori di Radio Popolare mi prendono in giro perché continuo a ripetere che la svolta della campagna elettorale è stato il concerto del 10 maggio davanti alla Stazione Centrale. Migliaia di giovani serenamente accalcati ad ascoltare i migliori gruppi italiani, che applaudono quei due “stagionati” di Giuliano Pisapia e Stefano Boeri che s’improvvisano deejay. Un pubblico così giovane, così partecipe, più facile a vedersi agli happy hours che a iniziative politiche, era la prova tangibile che Pisapia aveva riportato all’attività civile una parte della società finora chiusa nel suo guscio. Un sociologo come Aldo Bonomi e un demografo come Alessandro Rosina ci hanno spiegato poi – traduco con mie parole – che una generazione precaria e spinta all’individualismo ha lanciato segnali che sono stati intercettati da Pisapia e dalla sua squadra facendoli diventare “desiderio di cambiamento mobilitante”.

Ironia e rete. Roberto Vecchioni, raggiante come non mai, il giorno del ballottaggio ci ha raggiunto nella nostra postazione in piazza Duomo e ha detto: “abbiamo dimostrato che la sinistra non è musona”. Sembra un argomento secondario ma non lo è. L’ironia capillare e spontanea ha spazzato via ogni attacco della destra, mostrandone l’anima profondamente ingiusta, ridicolizzandola. L’effetto caoticamente moltiplicatore del web ha fatto il resto: parodie di canzoni come la nostra “Pisapia canaglia” 

( http://www.youtube.com/watch?v=oLuP-jSZAjI), video come “Il magico mondo di Pisapia” ( http://www.youtube.com/watch?v=rwDWrrW4cg8), l’infinita sequela di assurdi “reati” compiuti da Pisapia dopo la carognata di Letizia Moratti sul furto d’auto,  sono diventate armi micidiali. Il centrodestra ha dimostrato di non saper usare un sistema di comunicazione orizzontale come la rete, perché ritiene che possa avvenire solo dall’alto al basso e perché è abituato a controllare la comunicazione “militarmente”.

Profondità. Una corrente superficiale che increspa il mare al massimo ti rovina un week end; una corrente profonda quando arriva può addirittura modificare il paesaggio. Ma occorre tempo perché cresca e arrivi sulla costa. Radio Popolare ha visto e raccontato una corrente profonda. L’ha fatto quasi ogni sabato degli ultimi mesi, quando i nostri inviati seguivano i cortei più disparati. Quando si mobilitano i giornalisti per la libertà di stampa puoi sempre dire che è un’élite. Ma quando racconti di una contestazione generale contro il progetto Gelmini sulla scuola parli di lavoro, di rapporti familiari, di welfare, di futuro: parli di ciascuno di noi. Quando per la dignità della donna ogni piazza d’Italia si mobilita, mettendo insieme signore col tacco 12 e pasionarie “abbonate” ad ogni corteo, stai assistendo ad un cambio epocale. La vittoria di Pisapia ci ha insegnato che i tempi della politica non sono quelli imposti dalla televisione: sono più lenti e più profondi. Il disprezzo per le politiche della destra di governo, per i parlamentari comprati e le orge di Arcore hanno (forse) definitivamente stancato il Paese.

Futuro. Chi partecipava ai festeggiamenti per Pisapia spontaneamente chiedeva di “guardare avanti”; la parola più citata era “futuro”. Tutti esprimevano un desiderio, una necessità. Come se la politica finora li avesse ancorati ad un passato di piccole patrie, recinti e steccati, contrapposizioni amici/nemici. Pisapia e il centrosinistra (che in passato non ha brillato per lungimiranza) hanno capito la lezione?

[Questo intervento è stato pubblicato su Inchiesta 172, 2011. Nello stesso numero, per commentare la vittoria Di Pisapia, sono intervenuti Laura Balbo, Bruno Giorgini, Guido Martinotti]

Category: Osservatorio Milano, Politica

About Danilo De Biasio: Direttore di Radio Popolare di Milano

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