Giovanna Cosenza: Come comunica Grillo
Su segnalazione di Massimo Vettoretti pubblichiamo quattro interventi di Giovanna Cosenza ( professore associato di semiologia, Università di Bologna) presi dal suo blog su Il fatto quotidiano
1. L’uso del corpo
Con questo articolo – poche ore prima di conoscere i risultati delle elezioni in Sicilia, per le quali tutti parlano di «incognita M5S» – comincio a pubblicare alcune osservazioni sul linguaggio e lo stile di comunicazione di Beppe Grillo. È da tempo che volevo approfondire l’argomento, non soddisfatta né dalla rappresentazione folcloristica che spesso ne danno i media, né dall’etichetta di «antipolitica» con cui molti, anche nel mondo accademico, tendono a liquidare il Movimento 5 Stelle.
Comincio dall’uso che Grillo fa del corpo, cruciale per come comunica sul territorio (teatri, piazze, strade), ma anche per i numerosissimi video che circolano su internet.
Grillo usa il corpo sempre in modo estremo: non afferma, esclama; non parla, grida fino a perdere la voce; non suda, s’inzuppa; non gesticola, si scompone. Inoltre sul palco non si limita a camminare, ma lo percorre a grandi falcate da un lato all’altro, o addirittura corre; non si limita a rivolgersi agli spettatori, ma si piega a novanta gradi, s’abbassa, si sporge oltre eventuali sbarre e transenne, come se volesse tuffarsi nel pubblico. Analogamente nelle videointerviste: con la testa sempre protesa, pare che voglia letteralmente (e non solo metaforicamente) bucare lo schermo, fino a raggiungerci in casa.
E poi la faccia: sempre mobilissima, sempre pronta a trasformare ogni emozione in maschera di teatro, sempre capace di passare in un lampo dal comico al tragico, dall’euforico al disforico e viceversa. Andata e ritorno, andata e ritorno. Rabbia, allegria, stupore, dolore sono le emozioni che più spesso gli leggiamo in faccia: rabbia per le storture della politica, dell’economia, della “casta”; dolore empatico per le conseguenze che le storture provocano nella nostra vita; stupore quando le storture sono così esagerate «da non crederci»; e infine allegria quando dice o fa cose che fanno ridere: ridono gli altri e lui per primo, assieme a loro.
Buffone, guitto, guru, santone: sono questi gli appellativi con cui di solito i detrattori di Grillo svalutano l’uso emotivamente pregnante che lui fa del corpo, fin quasi alla caricatura (non a caso le sue caricature non solo proliferano, ma sono prodotte dallo stesso Grillo). I detrattori però dimenticano che il corpo è fondamentale per tutta la comunicazione politica (lo diceva già Cicerone, nel I sec. a.C., parlando di actio, che è la performance in pubblico). E dimenticano che Grillo lo usa solo in modo più vivace, intensivo e consapevole di molti politici italiani, facendo leva, oltre che su indubbie doti naturali, sulla lunga esperienza di attore comico.
Va perciò ricordato – mai dimenticarlo – che Grillo non è un politico, ma un uomo di spettacolo, e che non si candida – lo ribadisce di continuo – né mai si candiderà a nulla, ma vuole solo fungere da «aggregatore» di risorse e attenzione mediatica, affinché possano farlo i cittadini stessi.
E dopo averlo ricordato, vale però comunque la pena chiedersi: che funzione svolge, cosa significa quest’uso tutto particolare del corpo?
Serve anzitutto a conferire autenticità a ciò che dice. Se chi parla mostra di essere emotivamente coinvolto mentre lo fa, è più probabile che sia considerato sincero. Se poi per giunta mostra di essere molto coinvolto, è più probabile che le persone credano che ciò che dice non solo rispecchi realmente le sue convinzioni (è sincero), ma corrisponda a quel che di fatto accade nel mondo (dice la verità). Con tutta l’energia che ci mette, saprà ben quel che dice, viene da pensare.
Ma l’uso estremo del corpo serva anche a conferire autenticità alle azioni, non solo alle parole di Grillo. L’abbiamo visto da poco, con la traversata a nuoto dello stretto. Gli interpreti più superficiali hanno paragonato Grillo a Mao, dimenticando che è stato lui stesso il primo a farlo, in un video del 24 aprile scorso, intitolato “Grillo meglio di Mao”, che mostrava il comico allenarsi in piscina. Altri hanno ripescato per l’occasione il confronto ricorrente con Mussolini, trascurando a loro volta che è lo stesso Grillo a fare sempre autoironia sul tema, quando sul palco urla a petto infuori «I-ta-lià-ni!».
In realtà attraversando a nuoto lo stretto di Messina Grillo ha usato il corpo come una metafora, per significare una cosa precisa, che ha ripetutamente spiegato in tutte le tappe del tour siciliano: se un uomo di 64 anni, anziano e con la pancia, può attraversare lo stretto di Messina a nuoto mettendoci 1 ora e 20 («venti minuti meno del traghetto, cazzo!»), cioè può farcela nonostante i bookmaker scommettessero 1 a 15 contro di lui, ebbene può farcela solo perché si è allenato duramente («mi sono allenato sei mesi!»), ma questo vuol dire semplicemente che «se uno vuol portare a casa un risultato lo porta, cazzo!». Allo stesso modo anche i siciliani – e gli italiani – possono riuscire nell’impresa da tutti considerata impossibile di cambiare politica e classe dirigente, ma si devono impegnare e preparare duramente per farlo, e devono farlo in prima persona con tutti loro stessi, corpo incluso. È questo che significa per Grillo la metafora della traversata a nuoto. Capiremo fra qualche ora se e come i siciliani l’hanno recepita. Continua . (29 ottobre 2012)
2. L’aggressività verbale
Una delle prime cose che vengono in mente pensando a Grillo è il turpiloquio. Per forza: per un comico le parolacce e le invettive sono pane quotidiano. Detto in termini più precisi, Grillo fa satira politica e l’aggressività verbale fa parte di una tecnica che la satira ha sempre usato, da Aristofane in poi: la riduzione del politico alle sue miserie umane, che includono forme di irrazionalità e stupidità, difetti fisici, bassi istinti. Indirizzare al politico di turno parolacce e insulti attinenti alla sfera sessuale o escrementizia vuol dire infatti focalizzare l’attenzione sul suo corpo e alcune sue parti tabù, cancellando così la dignità che gli proviene dal potere e dal ruolo.
Il re è nudo, è come se ci dicesse continuamente Grillo, e non solo col turpiloquio: anche i nomignoli con cui ribattezza i politici hanno la stessa funzione perché riducono le persone ad aspetti o difetti fisici, o ne evidenziano la follia, la stupidità, l’età. Ecco allora che Berlusconi diventa lo Psiconano (basso e fuori di testa), Veltroni Topo Gigio (gli occhiali ricordano alcune rotondità del pupazzo, e il celebre “Cosa mi dici mai” allude al narcisismo infantile che Grillo gli attribuisce); e poi c’è Monti Rigor Montis (per il rigore nei conti pubblici e la freddezza dello stile), mentre Fornero diventa Frignero (inchiodata alle lacrime che versò presentando alla stampa la riforma delle pensioni, nel dicembre 2011); infine Grillo chiama i politici, in generale o a turno, salme o zombie, per evidenziare sia l’età avanzata sia il fatto che facciano e dicano cose per lui antiquate.
Inoltre, parlare di problemi politici, sociali e economici intercalando continui cazzo, porca puttana e altre espressioni colorite implica avvicinarsi ai toni spicci del linguaggio ordinario, dove da decenni il turpiloquio è sdoganato. È così che le parolacce sono entrate in politica, per avvicinare i leader alla “gente comune”. Infatti Grillo non è né il primo né l’unico a usarle: l’hanno fatto Bossi e molti della Lega prima di lui; e lo fanno, pur in modo sporadico, diversi altri politici, da Fini a Bersani, da Di Pietro a Santanchè. Sono uno di voi perché parlo come voi, è come se ci dicessero tutti.
Ma i politici si concedono qualche parolaccia solo ogni tanto, e persino Bossi e i suoi cercano di contenersi sui media e nelle sedi istituzionali. Per Grillo invece l’aggressività verbale è la norma, nei comizi come sul blog. Per forza – si potrebbe obiettare – è lo stile della sua satira. Vero, e l’ho già detto.
Il problema però è che Grillo è ambivalente: non è più solo un comico perché ha fondato un movimento politico, ma non è nemmeno un politico perché non si candida a nulla. Né comico né politico, soffre una «crisi di identità», ha ripetuto girando la Sicilia. Un politico-non politico, un paradosso, un’anomalia.
Ma nel frattempo la sua aggressività verbale entra tutti i giorni nel linguaggio politico e mediatico, ne alza i toni e abbassa il livello, ma soprattutto distoglie l’attenzione dai contenuti e programmi, ossessionando tutti – politici, giornalisti, cittadini – con inutili pettegolezzi del tipo senti cos’ha detto Grillo di Tizio… hai visto come gli ha risposto Caio… uh, quanto s’è incazzato Sempronio… Il che non fa bene ai politici che, tutti presi dal doversi difendere dagli insulti di Grillo, trascurano la portata del Movimento 5 Stelle e dimenticano di prendere in considerazione il suo programma. Ma non fa bene neppure agli attivisti del Movimento 5 Stelle, molti dei quali sono persone serissime che faticano tutti i giorni a ricordare che i programmi e i contenuti esistono e occorre leggerli, studiarli e, soprattutto, contribuirvi in modo concreto e propositivo. Infine non fa bene nemmeno ai sostenitori e simpatizzanti di Grillo e del suo movimento, che spesso sono i primi a fermarsi all’insulto, invece di impegnarsi seriamente in prima persona, come lo stesso Grillo vorrebbe. Lo dimostra il blog di Grillo, dove i commenti vuoti e aggressivi hanno spesso la meglio sulle discussioni competenti e argomentate.
Credo insomma che Grillo debba a questo punto affrontare seriamente la sua «crisi di identità», e che la soluzione non possa trascurare il modo in cui parla. Per il bene del suo movimento. (5 novembre 2012).
3. Io sono te
Continuo l’analisi del linguaggio e dello stile di comunicazione di Beppe Grillo focalizzando stavolta un suo modo caratteristico – e per certi versi unico – di rivolgersi alle persone che ha davanti.
Dicevamo l’ultima volta, parlando del turpiloquio di Grillo che trattare di problemi politici, sociali ed economici intercalando espressioni colorite serve fra l’altro ad avvicinare il leader alla “gente comune”. Sono uno di voi perché parlo come voi, è come se ci dicesse il leader.
Ma Grillo va oltre, perché preferisce non darci del voi (come uno che parla a molti, dall’alto), ma direttamente del tu (uno a uno, fra pari), sia che parli a una persona singola, a un capannello di cittadini, o a una folla acclamante. «Io giro in mezzo alla gente, vedi, per capire cosa pensano» ha detto per esempio a Palermo il 25 ottobre 2012 camminando verso la piazza dove avrebbe tenuto un comizio. E così si rivolge a tutti, dandoci sempre del tu: al giornalista con telecamera, come al cittadino dietro e a chiunque guarderà il video.
Fra l’altro, se usa il voi (parlando in pubblico non può non farlo) lo accompagna sempre con un «Signori!» come per indicare il massimo rispetto. Poi però, appena può, cerca subito di estrarre dalla moltitudine un tu: o generico («siamo un paese fallito, ti danno un lavoro, ma lo stipendio ce lo metti tu», Catania 24 ottobre 2012) o un tu rivolto a qualcuno in particolare («Dov’è la televisione giapponese, fatti vedere!», sempre a Catania).
Insomma Grillo non si limita, come fanno tanti politici, a dire sono uno di voi, ma con l’uso continuo del tu si pone sempre in dialogo paritetico con ciascuno (io sono come te), fino quasi a identificarsi con l’altro, come se volesse dar voce a ciò che l’altro direbbe, come se lui e ciascuno/a di noi fossimo la stessa cosa (io sono te).
A quest’uso particolare del tu Grillo aggiunge, come abbiamo visto un uso estremo del corpo, che rende la fusione col pubblico ancora più forte, quasi fisica: a Grillo non basta guardare i suoi interlocutori, ma se sono pochi gli si avvicina molto, li tocca, li abbraccia; quando poi è sul palco, di fronte a migliaia di persone, si sporge in avanti e si piega come se volesse tuffarsi nella gente. Io sono te, ci dice continuamente Grillo. Con le parole, col volto, con tutto il corpo. (19 novembre 2012).
4. La funzione catartica
Nei comizi Grillo passa di continuo e con grande rapidità dal registro tragico a quello comico, e cioè dalla rappresentazione di emozioni negative (rabbia per le ingiustizie e storture della politica, dolore e dispiacere per chi le subisce), a tutta la gamma di emozioni positive che stanno attorno alla risata, dalla più lieve alla più intensa: sollievo, buon umore, allegria, entusiasmo, euforia. Andata e ritorno, andata e ritorno, in una sorta di “altalena emotiva”, che spesso attraversa una soglia di sospensione neutra (né positiva né negativa): quella dello stupore quasi infantile nei confronti delle ingiustizie e dei problemi che Grillo denuncia, come dire: è una ingiustizia talmente grande, com’è possibile che nessuno la elimini? Oppure: la soluzione del problema sarebbe così semplice, com’è che nessuno ci ha pensato? O ancora: è un’azione così scema, perché si continua a fare?
È anche grazie all’altalena emotiva che l’aggressività verbale di Grillo non si è mai tradotta in azione violenta da parte di chi lo ascolta e lo segue, anche se molti commentatori sottolineano il rischio che ciò accada. Detto in altri termini, l’altalena emotiva svolge quella che, da Aristotele in poi, in filosofia, estetica, psicoanalisi molti chiamano «funzione catartica»: grosso modo, la liberazione, lo sfogo delle tensioni emotive attraverso la loro messa in scena nel contesto circoscritto e protetto di una rappresentazione fittizia (il teatro nella tragedia greca, il comizio in piazza per Grillo).
D’altra parte Grillo è il primo a prendere le distanze dalla violenza, sottolineando che il Movimento 5 Stelle riempie un vuoto che in altri paesi fa crescere l’estremismo di destra, da Marine Le Pen in Francia a Alba dorata in Grecia: «Stiamo riempiendo un vuoto con dei cittadini incensurati, entusiasti e pieni di volontà. Vuoto che negli altri paesi stanno riempiendo gli estremisti. Guardi in Grecia, quei nazisti di Alba dorata o pioggia dorata, come diavolo si chiamano. Guardi in Ungheria. Guardi la Marine Le Pen in Francia. Guardi tutte le altre parti. Quando c’è un vuoto di potere crescono gli «Eia eia alalà!».
Noi non siamo quella roba là. Siamo un movimento di cittadini che vuole fare politica in maniera diversa. Negli altri paesi il vuoto viene riempito dalle camicie brune, noi portiamo in politica i boyscout. Ragazzi perbene. Laureati. Incensurati. Colti. Curiosi» (intervista rilasciata a Gian Antonio Stella su “Sette” Corriere della sera 1 giugno 2012)
(11 Dicembre 2012)
Category: Nuovi media, Politica