Francesco Indovina: Diario dopo il 4 marzo

| 16 Marzo 2018 | Comments (0)

 

Ci sono degli avvenimenti che lacerano la rete dei nostri riferimenti e che ci spiattellano   l’inconsistenza della nostra conoscenza della realtà. Avevamo una idea del mondo che non corrisponde completamente alle trasformazioni avvenute. Una ignoranza dettata da pigrizia, dall’essere affezionati ai nostri idoli, di cui si era in parte consapevoli ma che, in un certo senso, l’allontanavamo per paura. La trasformazione dell’essenza dei rapporti sociali di produzione, gli effetti della globalizzazione e della finanziarizzazione dell’economia, l’aumento delle diseguaglianze sociali, l’emarginazione di molto lavoro, la modifica dei riferimenti culturali, la trasformazione delle relazioni sociali, l’individualismo esasperato, l’egoismo, la violenza come essenza dell’individuo, l’incapacità di riconoscersi in altri, la diversità, di qualsiasi tipo, assunta come “vezzosa” conquista ma anche come insopportabile…di tutto questo si aveva cognizione ma contemporaneamente i nostri occhi erano opachi e non riuscivano a distinguere forme e colori del quadro complessivo.

Sentivamo che molti dei valori ai quali eravamo legati, come libertà, uguaglianza, solidarietà, accoglienza, giustizia sociale non vivevano più come sistema nervoso della nostra società, ma ci sembrava di dover attribuire, questo nostro sentire, al pessimismo.

Ma ecco che il 5 di marzo questa società e le sue trasformazioni si materializza sotto forma politica. Una società che molti di noi non riconoscono e nella quale non vogliono riconoscersi diventa evidente. Ma mettere la testa sotto la sabbia non serve a niente. Credo che anche in questa situazione si può essere comunisti o progressisti o anticapitalisti, forse questa società più di ogni altra ha bisogno dei contenuti della libertà, dell’uguaglianza, della solidarietà, dello spirito di accoglienza. Ma essere comunisti significa fare i conti con la società reale, non con una immagine di essa. Non intendo dire che la politica, in particolare la politica progressista e riformatrice possa essere un semplice adagiarsi sulle pieghe della società, deve influire, determinare, contenuti e senso di questa società a partire dalla precisa conoscenza della realtà e da un disegno di futuro. Chi ci dice che non sia più possibile fare progetti di futuro, in realtà ci vuole convincere , con successo, che non siamo padroni del nostro destino, altri penseranno e si adopereranno per noi.

Se il “populismo” è l’adesione alla pancia, come si suole dire, della gente, non occuparsi della pancia è sintomo di insufficienza politica. Una politica di progresso è una politica di ragioni, è una politica che fa ragionare, ma non basta avere ragione, questa deve diventare senso comune, deve essere patrimonio della maggioranza delle persone: è questo è il lavoro politico. È chiaro che in una società che cambia, mostrare le proprie ragioni è più difficile, ci vuole più impegno e intelligenza politica. Per andare contro corrente i vogatori devono non solo avere ragione, non solo cogliere la realtà, ma avere anche muscoli formidabili.

Il capitalismo ha ormai concluso la sua spinta progressiva, i sintomi sono molto evidenti; sempre più tende a trasformarsi in un regime di vessazioni e di violenza, la sua crisi come regime sociale si proietta negli individui, ne avvelena le relazioni, ne esaspera le aspettative individualistiche, frustra ogni speranza. I medici attenti ci dicono che cambiare si deve e si può, e che solo nel cambiamento sarà possibile utilizzare a beneficio di tutti le grandi risorse della scienza, della tecnologia e della cultura disponibili, ma che senza una modifica della natura della società questi elementi possono essere (sono) strumento di oppressione e di degrado sociale. La sapienza dell’homo sapiens ha consistito, in questi milioni di occupazione della terra, nella sua capacità di cambiare continuamente l’organizzazione sociale, e se questo non è avvenuto mai in forma egualitaria, per molte ragioni non ultima la dimensione delle risorse disponibili, oggi siamo al paradosso, abbiamo risorse per tutti, ma un’organizzazione sociale e di potere che discrimina e privilegia. Il rinascimento per l’intera umanità può avvenire soltanto abbattendo gli ostacoli individuati.

I risultati delle ultime elezioni sono state una sorpresa? In parte, le tendenze erano evidenti; per molti di noi un’enorme frustrazione, per i partiti di sinistra (sic!) e progressisti un terremoto solo in parte inatteso. Discettare su quale sarebbe stata una sconfitta onorevole, o quale cifra percentuale avrebbe segnato la disfatta sono i sintomi di un ottimismo di facciata che sperava nel miracolo che è mancato.

Cercare gli errori, accusare dei cattivi risultati gli scissionisti o, al contrario, l’incapacità di liberarsi del tasso di pduismo portato nella nuova formazione; cogliere difetti programmatici, carenze propagandistiche, ecc. pare il segno di una incomprensione: non avere consapevolezza del deficit di conoscenza accumulato circa la natura del sangue che scorre nelle vene della società. Continuare a pensare che poteva essere diverso, perché i piccoli aggiustamenti avevano garantito e avrebbero garantito di soddisfare la domanda popolare. Può darsi che mi sbaglio, faccio un errore di ottimismo, ma credo che le scelte delle persone sono state dettate dall’assenza di un disegno di futuro. L’assenza di una linea di costruzione tra passato, presente e futuro, la maggioranza ha scelto l’offerta più ricca, quella che sembrava liberarla dalla paura, quella che promuoveva un nuovo che più vecchio non poteva essere. Chi giustifica la sconfitta del PD perché riconosciuto partito della borghesia. Cosa pensa che siano 5* o FI o anche la Lega? E che dire allora del misero risultato di UeL? I giovani, le donne, i votanti aspettavano una narrazione, come si dice oggi o era già ieri, del futuro, ma questa la sinistra non è stata capace di offrirla, allora si lasciano affascinare da una identità meschina più rivolta al passato che al futuro, o un incerto baldanzoso giovanilismo (ormai in giacca e cravatta).

Credo che i problemi più grossi e rilevanti in un prossimo futuro li avranno i vincitori di oggi, le loro offerte sono miserabili e non al livello di quello che la gente sente nel profondo; non parlo della loro capacità di fare o non fare un governo, né della difficoltà di trovare le risorse per quanto promesso, si tratta di qualcosa di più profondo: del mantenimento di un sistema sociale che tutti sentono decrepito e in agonia (qualsiasi sia l’apparenza che offre). Gli sconfitti di oggi hanno nel loro dna, come si suol dire, ma più correttamente alcuni di loro hanno nella loro cultura i giusti elementi per affrontare la situazione, ma a due condizioni, da una parte avere coscienza e consapevolezza della realtà e dei suoi mutamenti (il che comporta qualcosa di diverso che tornare nel “territorio”), dall’altra parte, rielaborare gli strumenti e i mezzi necessari per trasformare questa realtà sociale, per immaginare e pensare che può esserci un mondo senza il Kapitalismo, ma liberarsene è impresa ardua, lunga e bisognosa di passaggi che non devono sembrare né oscuri né risolutivi.

A Napoli direbbero “hai detto un prospero” (fiammifero), ma di questo si tratta, di svincolarsi dalla dittatura del presente per immaginare un futuro attraente e desiderabile, sciogliere i nodi che ci legano a meccanismi di trasformazione ormai obsoleti per pensarne e sperimentarne di nuovi.

Category: Politica

About Francesco Indovina: Francesco Indovina insegna Analisi territoriale e Pianificazione presso l'Università IUAV di Venezia e presso la Facoltà di Architettura di Alghero. Da sempre è promotore di un approccio interdisciplinare agli studi sulla città e il territorio, coniugato ad un saldo impegno civile. E` autore di numerosi volumi e saggi, e direttore delle riviste «Archivio di studi urbani e regionali» e «Economia urbana - Oltre il Ponte». Nel 2005 è stato il coordinatore scientifico del progetto internazionale di ricerca dai cui studi è conseguita la mostra da lui stesso curata "L'esplosione della città" alla Triennale di Milano. Direttore della collana "Studi Urbani e Regionali" della Franco Angeli, co-fondatore della rivista «Archivio di Studi Urbani e Regionali» (ASUR). Si occupa delle relazioni tra i processi economici sociali e le trasformazioni del territorio. La "città diffusa" e la "metropolizzazione del territorio" sono i suoi più recenti contributi. Ha inltre pubblicato: Governare la città con l'urbanistica (2006, ed.Maggiori), L'esplosione urbana (insieme a L. Fregolent e M. Savino, ed.Compositori), Il territorio derivato (ed.F. Angeli). Il suo blog con cui siamo collegati è felicitàfutura.blogspot.com

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