Catia Leonelli: Aurelio Barbalonga. Il pittore venuto dal mare. Generosità, umiltà. libertà
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Il pittore venuto dal mare. Generosità, umiltà, libertà.
Pensando ad Aurelio Barbalonga, affiorano alla mente questi termini che meglio lo contraddistinguono.
Parlo al presente perché Aurelio c’è!
Il suo cuore, puro come quello di ogni vero artista, così come la consapevolezza di aver ricevuto in dono il linguaggio della bellezza, facevano sì che dedicasse il suo sapere e la sua conoscenza a chiunque fosse pronto ad accoglierli. In meno di un’ora poteva creare un’opera. La rapidità, la sapienza intrinseca del suo animo trasmessa alle mani grandi e forti, l’impeto dell’ispirazione, trasudavano in ogni sfumatura di colore.
Umile, come chi sa che c’è qualcosa, qualcuno di più grande, che dall’ Alto scrive i copioni e amministra le vite di ciascuno di noi.
Libero! Quanta sinergia tra noi, io giovane allieva piena di sogni e dolori, lui già Maestro già in là con gli anni. Ma accomunati, entrambi, dal desiderio di trasporre sulla tela emozioni, ferite, gioie, vitalità, paure, caparbietà e altre mille cose. Tutto ciò, nonostante la differenza di età e la mia inesperienza. Ma. Ad unirci, c’era la mia attitudine alla pittura che si era manifestata in me sin dall’infanzia. In nome di questa tanto agognata libertà abbiamo lottato, seppur in maniere, tempi e luoghi diversi, rinunciando a beni materiali per ideali più elevati, per non sentirsi preda di luoghi comuni e persone avide.
Ero poco più che ventenne quando portai con me tre opere per partecipare, per la prima volta, ad una collettiva da lui organizzata. Entrai in studio e lui si presentò col grembiule, i lunghi capelli neri. In quell’istante capii che Aurelio Barbalonga era lì, in persona, davanti a me e stava apprezzando quel che facevo. Il mio cuore sobbalzava, galoppava e l’emozione prese il sopravvento. Da quel giorno cominciai ad andare da lui per imparare ad affinare la tecnica (avevo fatto studi non finalizzati all’arte ed ero autodidatta). Trascorsero lunghi anni ove ogni sabato e domenica, di prima mattina, correvo in studio per osservarlo dipingere e incamerare il più possibile i segreti di ogni sua pennellata. Poi iniziai a dipingere lì, con lui, nella cantina, nello studio, all’aperto e nelle estemporanee di verismo; l’ho seguito fino all’ultimo dei suoi giorni.
Il gruppo di pittori della sua scuola era numeroso. Io ero la “bimba”, sia per lui che per la sua amatissima moglie, Eva. Oramai ero sempre con loro. Aurelio ed io dipingevamo scherzando continuamente, tra le risate di Eva, affettuosa e compiaciuta del mio affetto e della mia totale dedizione.
Iniziai anche ad aiutarlo nell’organizzazione di mostre collettive e campionati di pittura a livello nazionale.
Non era un periodo facile per me. Sebbene molto giovane, dovevo fronteggiare problemi di salute e un matrimonio male assortito. La pittura, era già allora la mia salvezza, la mia ancora di sopravvivenza. Aurelio lo capiva e sapeva che i nostri animo ribelli e impetuosi si somigliavano.
Quante volte ho pianto nel suo studio e quanti quadri impostati in poche decine di minuti; lui mi impartiva di apportarvi alcune correzioni, finché col tempo le correzioni non servirono più.
Mi ha insegnato la sintesi, dicendo che la pittura è un percorso psicologico, interiore. Aveva ragione. Così come aveva ragione quando mi apriva gli occhi sui critici d’arte e i meccanismi che regolano l’ambiente delle mostre, gallerie etc. suggerendomi come comportarmi; non è un mondo facile in cui addentrarsi.
Dipingevamo, giocavamo, sognavamo, trascorrevamo “il tempo a colori” insieme.
Ancora oggi, il sabato mattina presto, mi pare di dover correre da lui per dipingere insieme. Sento ancora il suo profumo di talco. L’ultima volta in cui ci siamo visti era di pomeriggio, nel suo studio. Parlammo a lungo e percepii, con malinconia, che quello sarebbe stato il nostro ultimo incontro su questa terra. Così fu. Ricordo nitido e indelebile. Le ultime sue parole furono ”devo dire che nel tuo caso l’allieva ha superato il maestro, perché tu sei libera e dipingi quello che vuoi”.
Mi spiazzò letteralmente.
La notte in cui è “passato di là” ho sognato due grandi navi, affiancate l’una all’altra: una enorme, rossa (Aurelio), l’altra più piccola bianca (io), ancorate sull’erba fresca e verde di un immenso prato punteggiato di fiori gialli, il cielo terso e azzurro al di sopra.
Ogni volta che dipingo il mio pensiero va a lui, lo sento vicino come se lavorassimo ancora insieme.
Aurelio amava molto le mie opere dedicate alla musica, le chiamava i “quadri matti”.
Devo tanto a lui, a quanto mi ha insegnato, a quanto è riuscito a far emergere nella mia ispirazione.
Aurelio è stato principalmente un maestro di vita, qualcuno che si è occupato di me, mi ha presa sotto l’ala, mi ha insegnato, mi ha ascoltata: insomma, mi ha dato tanto.
Mi raccontava molto del suo vissuto. Dalla mamma che lo aveva messo al mondo su un palcoscenico di teatro, lui figlio di artisti, pittore anche il fratello alla sua Palermo, Terra natìa, all’amore per il mare che era il nostro punto in comune. Quante barche ho dipinto dopo che ho conosciuto Aurelio!
Evase due volte dai campi di concentramento. Rientrato in Italia prese parte alla lotta partigiana. In seguito approdò a Bologna, cominciò a insegnare la sua pittura verista, fondando nel 1972 la Schola Pictorum, gratuita e aperta a tutti, indistintamente. Ha donato una serie di opere a tema all’arma dei Carabinieri sulla strage del Pilastro, evento che lo aveva toccato profondamente.
Non elenco tutte le sue mostre, le sue attività. Era un grande artista e il suo operato non ha certo bisogno di essere illustrato da me. Ho voluto dare la mia personale testimonianza su un uomo, un grande artista, ricordare la sua magnanimità, la sua levatura interiore, il suo contributo fondamentale non solo per me, ma anche per tanti pittori che attraverso la sua totale dedizione hanno potuto evolvere, lanciarsi, fare del loro hobby un mestiere e tanto altro, tutto nel nome del bene, del bello e in armonia col prossimo.
A breve un giardino porterà il suo nome a Bologna. Come per ogni grande uomo e artista, in quanto sua allieva gli sono infinitamente grata. Vorrei che il mondo della cultura gli dedicasse spazio, ricordi e mostre, in particolare un’antologica. Se n’è andato in silenzio ma la sua arte continua a parlare, anche se di nascosto, a chi la sa guardare, ammirare e amare.
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