Bruno Giorgini: Siamo in malissime mani, la restaurazione di Napolitano, la vittoria di Berlusconi

| 26 Aprile 2013 | Comments (1)

 

 

Fu scempio e grande tristezza vedere in diretta il parlamento più giovane della storia repubblicana quasi tutto plaudente il più vecchio capo dello stato del globo. Lo chiamerei un delitto antropologico. Meno fortemente, un drastico fallimento antropologico.

Fu scempio e grande tristezza vedere in diretta il parlamento quasi tutto plaudente il capo dello stato nel momento stesso in cui lo stesso deprivava i neoeletti della loro autorità libertà e autonomia. Lo chiamerei un delitto contro la democrazia rappresentativa e costituzionale. Meno fortemente una ferita larga e profondissima inferta alla democrazia rappresentativa e costituzionale, diciamo alla democrazia tout court.

Una perversione e una violenza della volontà popolare perpetrata dal palazzo, l’onnipotente oligarchia. Nè la volontà popolare ferita e tradita nel, e dal, palazzo, è riuscita a esprimersi nello spazio pubblico delle piazze. A mettere la ciliegina sulla torta c’ha pensato il grillo che abbaia ma non morde. Il “capo politico del movimento 5 stelle” come egli stesso pomposamente si autodefinisce, dopo avere chiamato a protestare “milioni di italiani”, annunciando il suo arrivo a Roma “contro il golpe”, ha desistito. Nel passaggio dalla retorica degli sproloqui alla realtà, il capopolo si è sgonfiato. Il rivoluzionario che voleva prendere la Bastiglia e mandare tutti a casa, a casa invece è rimasto.

Ma il grottesco Grillo lo ha raggiunto il giorno seguente con una conferenza stampa a Roma nè comica nè tragica, soltanto incolore, con un riferimento a Gandhi del tutto improprio “noi siamo gandhiani ma non coglioni”, ahimè invece voi siete coglioni ma non gandhiani, e ci torneremo. Poi doveva partecipare a  una semplice manifestazione con comune comizio in una piazza romana, ma “c’era troppa gente” e la digos gli ha detto di andare via, talchè il rivoluzionario che voleva prendere la Bastiglia e mandare tutti a casa, dopo essere per un breve momento salito sul tetto di una macchina, chissà forse pensava di imitare Berlusconi, a casa è tornato, lasciando il popolo a sbrogliarsela da solo. E il popolo guidato da alcuni baldi onorevoli sostituti capipopolo, si è dedicato a una turistica passeggiata da dopolavoro fino al Colosseo: Sic Transit Gloria M5S. Fu scempio, e grande tristezza vedere in diretta la mesta processione degli sperduti cittadini/e abbandonati dal grillo che abbaia ma non morde, migliaia di cittadini/e cui era stata tolta pure la possibilità, la voce per manifestare e gridare la loro indignazione.

Tornando sui banchi del parlamento si staglia un solo vincitore, Berlusconi Silvio da Arcore. Siamo così passati da un sistema bipolare di partiti a un sistema bipersonale, Napolitano Berlusconi, mentre il PD con la maggioranza assoluta alla camera e quella relativa al senato giace annichilito dalla sua stoltezza e dagli intrighi di palazzo.

Ma vediamo con ordine.

La vittoria di Berlusconi. Il PDL perde oltre sei milioni di voti e Berlusconi vince su tutti i tavoli, nella più totale torsione, perversione e disprezzo della volontà popolare. In primis il cavaliere vince sul tavolo dell’impunità per i molti reati di cui è accusato, tra l’altro l’acquisto con denaro sonante di alcuni parlamentari, di cui uno reo confesso, talchè cambiassero casacca mettendo in minoranza il governo Prodi. Questa vittoria era già stata preventiva, quando i parlamentari PDL invasero il palazzo di giustizia di Milano, iniziativa che Napolitano giudicò un poco scapestrata ma del tutto comprensibile, ammonendo i magistrati egli, in quanto presidente del CSM, acciòcchè non disturbassero Berlusconi con fastidiosi processi almeno fino al 15 Aprile. Così l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge andò a farsi benedire, messa in soffitta per voce dell’autorevole inquilino del colle, un tempo definito garante della Costituzione, oggi garante del cavaliere. Impunità che nel nuovo sistema bipersonale diventa permanente.

Poi Berlusconi in un colpo solo ha azzerato Bersani e Prodi. Bersani, l’unico che sul serio nel PD si opponesse alle larghe intese, tutti gli altri essendo corsi così svelti all’approdo del governissimo che c’è da credere non aspettassero altro se non che quel rompicoglioni di Piacenza fosse laminato; Prodi, l’unico che lo avesse sconfitto diventando premier al suo posto, lui unto dal signore vinto da mortadella, non poteva proprio sopportarlo. Per di più li ha eliminati, al modo che insegnano i saggi cinesi, cioè senza sguainare la sua spada, bensì affidando il compito di vibrare i colpi mortali al peggior nemico del suo nemico, Massimo D’Alema. Fuor di metafora, ordinando ai suoi di non partecipare al voto, e godendosi la scena di quei cento voti PD che D’Alema, in combutta forse con Marini forse con Letta, ha fatto mancare a Prodi. Lì Prodi rotolò giù dal colle mentre Bersani dovette col capo sparso di cenere salirci scusandosi per la sua insensata ostinazione a volere un governo di cambiamento, in aperta disobbedienza ai desiderata di sua maestà Giorgio Napolitano e del cavaliere del lavoro Silvio Berlusconi.  Così in parlamento e nel gioco politico il cavaliere non ha più nessun oppositore serio, i giovani turchi, ammesso che ci pensino, fanno ridere di fronte al caimano, e gli altri peggio che andar di notte, nani per giunta senza ballerine, mentre Renzi, per ora imita Fonzie da Amici, la trasmissione di Maria (De Filippi).

La terza vittoria il cavaliere l’ha ottenuta riconquistando l’egemonia nel suo proprio campo. Una parte della borghesia produttiva, finanziaria e professionale, il Corsera e il Sole, Montezemolo e Marchionne, scampoli di confindustria, qualche banchiere, le gerarchie cattoliche vaticane, alcuni resti dispersi della DC, Casini e Riccardi, nonchè della destra exmissina, Fini, tutti costoro tentarono con Monti, che salvò la patria dallo spreading tagliando brutalmente pensioni e diritti del lavoro, di fondare un partito di centrodestra diverso e alternativo al PDL, anzi che scomponesse il PDL e mandasse Berlusconi in pensione. Per di più Monti ostentando l’appoggio esplicito, e conclamato a ogni piè sospinto, dell’oligarchia europea, dalla commisione esecutiva alla BCE, e di molti governanti, la signora Merkel in testa, nonchè del partito popolare europeo. Ebbene di questo progetto non resta nulla. Fini, un altro cui il cavaliere l’ha giurata per il “tradimento” che  rischiò di disarcionarlo, ma non cadde anche allora salvato da Napolitano, ma che bravo presidente ma che bravo! Fini dicevo non è nemmeno stato eletto, scelta civica è un modesto partito di centro, la borghesia essendo tornata così tutta intera sotto le bandiere del PDL, e l’imperio di Berlusconi. Il quale adesso sistemato il governo, allontanato lo spettro di una legge sul conflitto di interessi, contro la corruzione e contro il falso in bilancio, il premier incaricato Letta (enrico e gianni, i Letta incaricati come ha dettoa Amato, che se ne intende) non ne ha fatto cenno alcuno, si occuperà dei suoi affari. Poi quando penserà che è il momento di staccare la spina al Letta istesso, avendo avuto cura di consultare i sondaggi, e misurando la decrescita infelice del PD, forse il suo sfarinamento, ordinerà di votare la sfiducia o, come fece con Monti, manderà Angelino Alfano a annuciarla in parlamento. Probabilmente Napolitano scioglierà le camere, ci saranno nuove elezioni che il PDL vincerà.

A quel punto, di fronte a un nuovo parlamento e a una vecchiaia ormai non più gestibile, il capo dello stato dovrà dimettersi, e Berlusconi potrebbe volere salire al colle terminando così in bellezza il suo curriculum politico (se anche non dovesse avere in proprio tutti i voti necessari, ci sarà sempre qualcuno che in nome della concordia nazionale convergerà sul suo nome). Nessuno la consideri una ipotesi da fantascienza, Berlusconi è oggi coram populo il dominus quasi assoluto della politica italiana, disse cinquanta giorni fa “governissimo” e governissimo fu, disse cinquanta giorni fa ma anche prima, Napolitano al colle, e Napolitano II fu; che la prossima volta al colle egli ci salga in proprio sta nei fatti, con buona pace dei voti questa volta persi e della attuale maggioranza di centrosinistra, assoluta alla camera e relativa al senato, maggioranza tanto inservibile quanto servile, nonchè con buona pace del grillo che abbaia ma non morde.

La sconfitta del PD. Molto se ne è parlato e scritto, cercando di capire come, a cominciare dalla campagna elettorale, il PD e Bersani abbiano potuto cumulare una serie tanto lunga e continua di errori, fino a giungere al risultato di un partito e una coalizione che, seppure maggioritaria, viene messa in un angolo e resa del tutto impotente a praticare una politica autonoma, diventando oggi, e probabilmente per almeno un paio d’anni a venire, la ruota di scorta della restaurazione di Napolitano II e della vittoria piena e totale del cavaliere. Nè basta l’arte sicaria di D’Alema a spiegare. Va misurata tutta la distanza dall’esperienza del compromesso storico che fu autonomamente da Berlinguer proposta in sintonia con Moro, mentre qui il centrosinsitra è stato sbriciolato, riducendolo a mangime per nutrire la restaurazione di Napolitano II e la vittoria di Berlusconi. Insomma una debacle di proporzioni inaudite. Sarebbe troppo lungo ripercorrere la lunga strada del calvario per cui mi limito a alcune osservazioni. La prima, che Bersani da Piacenza, cullatosi nella sua vittoria alle primarie, era molto meno forte dentro il partito di quanto credesse. Egli era forse l’unico contro le larghe intese, governissimo e/o inciucio che dir si voglia, e fu lasciato solo, o forse scelse di far da solo perchè sapeva di quale pessima pasta fossero i suoi compagni di viaggio.

Ma non basta. Egli era anche un parvenu nel mondo delle oligarchie romane. Uno sopportato arricciando il naso. L’uomo di Bettola, non dei Parioli a due passi dal quirinale. Tutt’altra cosa da Letta Enrico, fin da bambino uno di loro, uno della casta, e infatti giornalisti di grido, intellettuali da salotto, commis di stato si sbracciano a aprir loro, ai Letta le porte, stendendo tappeti. Vade retro Emilia rossa, con la sua filosofia del maiale, entri in scena l’anticamera vaticana, democristiana, alto borghese, lo spettacolo continua. La seconda osservazione è che comunque egli e tutti gli altri del PD hanno smarrito il gusto, la passione e la capacità di misurarsi con la battaglia politica. Berlusconi lotta sempre senza mai darsi per vinto perchè ne va della sua libertà, del suo potere, delle sue aziende, mentre i pallidi funzionari del PD, in genere yes men più o meno opportunisti allevati nella ridotta delle federazioni, degli enti locali, delle cooperative, delle aziende municipalizzate, comunque vada non perdono quasi niente del loro potere, un piccolo potere di cui si accontentano, mezzemaniche della politica. Essi sono al massimo in grado di produrre diplomazia, più o meno abile ma l’urto duro e feroce non lo reggono, nè sul piano psicologico nè su quello della tattica. Alla strategia hanno rinunciato da tempo. Il terzo appunto attiene proprio la filosofia del maiale, di cui non si tira via niente, in un modo o nell’altro tutto il maiale è commestibile e nutritivo comprese le setole. Una filosofia tutta emiliana di cui Bersani è portatore, forse inconscio, che nella lotta politica non vale. Egli avrebbe dovuto tagliare le unghie, se necessario anche rompere i denti, ai suoi avversari interni, talchè non potessero nè graffiarlo nè morderlo, liberarsene perchè nel maiale della politica ci sono pezzi che soni immangiabili e vanno scartati, anche  Napolitano se del caso. Ovvero quando Napolitano gli dette come elemosina un mandato che non era un mandato, un surrogato di mandato forse confezionato apposta per mettere in luce la debolezza di Bersani, il segretario del PD, forte dei milioni di voti ottenuti alle primarie, lì sì anadavano buttati sul piatto, avrebbe dovuto rifiutare e ingaggiare battaglia. Invece Bersani da Bettola accettò, mettendo la testa in un sacco pieno di gatti arrabbiati che volevano cavargli gli occhi a unghiate, come poi è accaduto.

Adesso il PD non è quasi nemmeno più un partito. Non si scomporrà o dividerà in modo palese, si rabbercerà alla bellemeglio, tenuto insieme solo da interessi di potere e economici. Non conviene prima di tutto a Berlusconi che il PD scompaia. Il PD gli è necessario, è la sua stampella, la sua vittima sacrificale, il topo con cui gioca il gatto. Con un padrone, Massimo D’Alema che ha stabilito un patto con Renzi il quale, dismesse le vesti del rottamatore, emerge per quel che è, un piccolo arrampicatore sociale, abile, con la lingua sciolta, le battute pronte ma ancora acerbo per il grande gioco. Sui giovani turchi et similia, nulla c’è da dire essendo essi il nulla. Per l’area popolare, i Letta la garantiscono, l’avventura dei prodiani essendo ormai irreversibilmente finita, spiaggiata come una balena che ha perso la bussola. Infine la traccia di Barca, interessante, ma coi tempi che corrono dovrà aspettare assai in un qualche cassetto, da cui verrà tirata fuori di tanto in tanto a salvamento delle coscienze infelici. A meno che Barca non decida di andare in campo aperto anche con l’ipotesi si costruire un nuovo partito, di sinistra e laburista, il che appare improbabile.

Ed eccoci al M5S, guidati dal grillo che abbaia ma non morde. Perchè se Atene, il PD, piange, Sparta, i grillini, certo non ride. Sono rimasti prigionieri del loro stesso gioco, della loro rigida ideologia del “tutti a casa” scandito come un disco rotto da Crimi davanti al parlamento, proprio mentre dentro il parlamento arrivava l’onda di Napolitano, e infatti a casa è rimasto Grillo. Cosa faranno gli eletti è difficile dire. Intanto si sono dedicati all’alto compito di espellere uno dei loro, colpevole di avere partecipato a non so più quale trasmissione televisiva, come dire: la betise par terre, intraducibile per significare il più stupido degli stupidi. Forse alcuni di loro tenteranno di portare in parlamento le esigenze e i bisogni dei movimenti che hanno contribuito a eleggerli, azione di testimonianza ma meglio di niente, altri immagino controlleranno il numero di caffè consumato alla buvette, traducendo così la somma indicazione strategica di aprire il parlamento come una scatoletta di tonno, e ci saranno quelli perduti nelle commissioni a fingere un lavoro di controllo o proposta, e quelli che cambieranno gruppo, insomma l’opposizione matura che hanno dichiarato, poveri noi. Ebbero la buona idea di candidare Stefano Rodota, poi non hanno saputo che farsene, coglioni ma non gandhiani. Se il grillo che abbaia ma non morde avesse dato un’occhiata a cosa fu la marcia del sale organizzata da Gandhi nel 1930 contro l’impero inglese, avrebbe evitato ancora una volta di parlare a vanvera. Fu una vera e propria insurrezione non violenta praticata da migliaia e migliaia di persone contro la dominazione britannica, che traversò l’India senza che, nonostante botte arresti e quant’altro, gli inglesi riuscissero a fermarla. Altro che andare a casa. La non violenza non significa rifiuto dell’uso della forza, è un altro modo di esercizio della forza, senza violenza certo ma durissimo, con contorno di disobbedienza civile a tutti i livelli. Non solo, ma Gandhi in modo esplicito afferma che la non violenza è compatibile con l’appoggio della violenza di chi non crede nella non violenza, quando la violenza è impiegata al servizio di una causa giusta. (M.K. Gandhi, Teoria e pratica della non violenza, Einuadi, 1996, un libro tutto da leggere).

E veniamo a SEL, che ha fatto il possibile con onesta coerenza senza riuscire a evitare il peggio. Ora dovrà decidere se tentare la strada di un nuovo partito, oppure se cercare di influenzare il PD sul fianco sinistro, lavoro che mi sembra improbo e del tutto inattuabile. Certo alle prossime elezioni l’Italia bene comune, slogan dell’alleanza PD SEL, socialisti e centro democratico, pare difficile da rieditare, a meno di non abboccare alla tiritera, ma se no vince Berlusconi, perchè stavolta Berlusconi che ha perso nelle urne ben sei milioni di voti, ha stravinto nel gioco del potere, diventando addirittura il pilastro fondamentale per l’elezione di Napolitano II, mentre i grandi elettori PD, che il Presidente avrebbe potuto eleggerselo quasi in proprio, svolgevano il ruolo di gregari portatori d’acqua ai due capitani della squadra della restaurazione, ripetiamolo a futura memoria: Berlusconi e Napolitano.

La restaurazione appunto. L’establishment e la casta degli oligarchi si sono comunque presi paura e andranno giù pesanti con gli sconfitti. Già dentro il PD, tal Boccia dicono di fede lettiana, minaccia l’espulsione per chi non voterà la fiducia, e il “capo politico del M5S” pare intimidito, se non spaventato (dice sempre Gandhi che la codardia è peggio della violenza). Ma soprattutto il martello picchierà duro sulle classi popolari a livello economico sociale, e in modo selettivo sui quei noccioli duri che ancora parlano di diritti sociali e del lavoro, di diritti democratici, di diritti civili. Se Rodota ha accettato la candidatura, non ritirandosi all’arrivo di Napolitano, e così compiendo un delitto di lesa maesà aspramente rimproverato dal corifeo sommo della casta dei restauratori, i reazionari insomma, Eugenio Scalfari, scaduto persino nella volgarità tanto era accecato dal livore, ebbene l’illustre giurista dei beni comuni dovrà pagarla. Si vedrà come, ma è certo. Lo stesso per la FIOM, e per gli altri che osarono. Tra l’altro nella scia della restaurazione istituzionale, CGIL,CISL, UIL hanno avuto la bella pensata per il primo maggio, di palchi comuni con i padroni, pardon: gli imprenditori, a preparazione immagino dell’accordo per salvare la patria, a suon di arbitrio padronale su licenziamenti e assunzioni, bassi salari, straordinari, precariato dilagante e tutto quello che i merca(n)ti, la BCE, la finanza nazionale e internazionale, Marchionne&C., riterranno congruo e utile per i loro fini e profitti. Senza alcun diritto al dissenso va da sè.

La sola cosa in dubbio è la quantità di violenza sociale che eserciteranno. Se fosse troppa, se gli scappasse di mano, potrebbero forse dover fare i conti con un sussulto democratico, e sociale. Non è probabile ma come diceva quel tale, la speranza è l’ultima a morire.  In realtà la speranza muore quasi con la telefonata a un amico che per tutta la vita ha operato con passione e intelligenza per il cambiamento nel senso di libertà e eguaglianza. Dice: Bruno sai qual’è il fatto tragico, che in Italia in questa situazione non c’è una facoltà occupata o una fabbrica in sciopero. Il fatto tragico è che non c’è più la società.


Category: Elezioni politiche 2013, Politica

About Bruno Giorgini: Bruno Giorgini è attualmente ricercatore senior associato all'INFN (Iatitutp Nazionale di Fisica Nucleare) e direttore resposnsabile di Radio Popolare di Milano in precedenza ha studiato i buchi neri,le onde gravitazionali e il cosmo, scendendo poi dal cielo sulla terra con la teoria delle fratture, i sistemi complessi e la fisica della città. Da giovane ha praticato molti stravizi rivoluzionari, ha scritto per Lotta Continua quotidiano e parlato dai microfoni di Radio Alice e Radio Città. I due arcobaleni - viaggio di un fisico teorico nella costellazione del cancro - Aracne è il suo ultimo libro.

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