Vauro: I bambini di Gaza tra polvere e sangue
Diffondiamo da Il Fatto Quotidiano, 10 luglio 2014
Ci sono luoghi della memoria e luoghi del cuore. Per me Gaza è ambedue. Nella memoria la polvere. Nel cuore visi di bambini, tanti bambini, di donne e di uomini. È attraverso la polvere sottile e acre che la rivedo nel pensiero oggi che la so devastata. Di nuovo ferita dal fuoco e dalle bombe. Attraverso la polvere mi apparve quando vi giunsi per la prima volta tanti anni fa, nel 1988, agli inizi della Prima Intifada. La “rivolta delle pietre” come la chiamarono. La polvere alzata dal vento del mare si infiltrava ovunque.
Lungo le strade dissestate, tra i cardini di ferro arrugginito delle botteghe chiuse per uno sciopero eterno contro l’occupazione israeliana. Nei labirinti infiniti tra le baracche degli immensi campi-profughi. Il mare non si vedeva. Celato dietro alle fitte costruzioni. Né se ne sentiva il profumo. Ché quello che impregnava l’aria era l’odore del fumo di copertoni bruciati per protesta, l’odore dei gas sparati dai soldati israeliani, la puzza dei mucchi di immondizia abbandonati in strada a imputridirsi al sole. L’odore della miseria insomma. Aliene torrette su alte zampe d’acciaio sorgevano agli incroci delle vie principali. Troneggiavano come astronavi atterrate da un pianeta ostile e lontano. Da quelle soldati israeliani, resi invisibili dai sacchetti di sabbia dai quali spuntavano minacciose solo le canne brunite delle mitragliatrici, sorvegliavano le strade deserte. Pareva che la città li negasse, negando la propria vita ai loro occhi.
Poi, imprevisti, improvvisi, sbucando a frotte dai vicoli e dagli angoli delle strade, stormi di ragazzini, bambini, irrompevano colmando delle loro grida e della loro vivacità il vuoto surreale dell’attimo prima.
ERANO LORO che lanciavano sassi contro le torrette o i blindati lontani. Eccitati dal gioco e dalla paura alzavano la mano con l’indice e il medio sollevati in segno di vittoria. Erano loro che ero venuto a cercare, affascinato da quella battaglia impari tra pietre e carri-armati. Non esistevano a quel tempo razzi Qassam né attentatori suicidi. Era facile per le nostre viziate e distratte coscienze occidentali parteggiare per loro. Era stato facile anche per la mia. Finché l’immagine era distante, appariva ammantata di eroismo esotico. La retorica del sasso contro l’acciaio ci faceva vibrare di emozione e commozione.
Adesso che ero lì provavo un’immensa vergogna per tutto questo. Erano solo bambini Cristo! Ai quali la brutalità dell’occupazione, le scuole e gli asili chiusi, il coprifuoco, l’umiliazione di una miseria indotta,non aveva lasciato altro gioco che quello macabro della guerra. Ai sassi la guerra rispondeva con l’acciaio, il piombo e il ferro. Il gioco era mortale.
ERANO OCCHI di bambino quelli che spalancati cercavano invano, per orgoglio infantile, di trattenere le lacrime. Un bambino di non più di 10 anni. Legato mani ai piedi. Incaprettato. Portato per la strada principale sul cofano della jeep dell’esercito israeliano. Esposto come un trofeo alla folla che popolava la via per fare i propri miseri acquisti in una delle brevi pause dello sciopero generale. “Spezzare le braccia all’Intifada”, aveva dichiarato il futuro Nobel per la Pace Rabin. Non era una metafora. I soldati avevano delle apposite mazze rafforzate da tondini di ferro. Erano braccia di bambini quelle che ho visto spezzare a bastonate.
“PER FAVORE portala fuori da qui”, mi disse nella penombra del chiuso della sua baracca la madre della piccola Buthaina. Mi mise in mano una foto della bambina (vedi foto inizio testo). Buthaina, aveva 4 anni quando era stata uccisa da un proiettile di gomma che le sfondò la tempia. L’ho portata fuori quella foto. Fuori dal carcere a cielo aperto che Gaza era ed è.
Mi capita di guardarla a volte. Fantastico sulla donna che oggi Buthaina sarebbe potuta essere. Ma poi la ripongo nel cassetto. Ché se fosse sopravvissuta a quel proiettile forse sarebbe morta bruciata dal fosforo bianco dell’operazione Piombo Fuso o in qualche altra “operazione dei difesa” con un nome diverso. O forse si sarebbe fatta esplodere uccidendo altri giovani come lei in un bus o in una discoteca in Israele. O forse sarebbe diventata una madre. Distrutta, come la sua, dalla perdita violenta di un figlio o di una figlia.
Altre volte sono tornato a Gaza. Le sue strade e i suoi vicoli sono ancora colmi di bambini. Sembrano non morire mai i bambini a Gaza. Dicono che i terroristi li usino come scudi umani. Ma in una striscia di costa assediata dove sono rinchiuse ed ammassate quasi 2 milioni di persone “scudo umano” non può non essere chiunque vi viva. Sembrano non morire mai i bambini di Gaza. E invece continuano a morire. Anche adesso mentre scrivo queste righe per “farli uscire” cercando di raccontarli.
Dalla missione della flotilla per Gaza del luglio 2011 Vauro Senesi è sulla lista nera e non può entrare in Israele
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