E’ possibile una sinistra per Israele?
La violenza degli attacchi israeliani nella striscia di Gaza ripropongono l’interrogativo se sia possibile una sinistra per israele. Questa posizione, non certo facile, è quella assunta dalla associazione “Una sinistra per Israele” (www.sinistraperisraele.it) di cui è presidente nazionale Furio Colombo che è stato direttore de L’Unità e attualmente è editorialista de Il fatto quotidiano. Ripubblichiamo le ragioni, ancora valide, che hanno portato a realizzare quella associazione.
1. Il MANIFESTO DI SINISTRA PER ISRAELE
(novembre 2005)
1. Sinistra per Israele si batte perché sia pienamente e definitivamente riconosciuto il diritto dello Stato di Israele ad esistere, a vivere sicuro e in pace con i suoi vicini.
2. Sinistra per Israele si batte perché si riconosca che in Medio Oriente non sono in conflitto un torto e una ragione, ma due ragioni: il diritto di Israele a esistere sicuro; il diritto del popolo palestinese ad una propria patria.
3. Sinistra per Israele vuole promuovere la conoscenza della realtà israeliana, intensificare relazioni con la sinistra e le forze progressiste israeliane e promuovere solidarietà nei confronti del “campo della pace” in Israele.
4. Sinistra per Israele intende combattere i pregiudizi antiisraeliani che albergano anche in una parte della sinistra italiana e promuovere una conoscenza corretta e valutazioni più equilibrate su Israele e sulle parti in causa nel conflitto .
5. Sinistra per Israele non ha alcun timore a esprimere critica e opposizione ad azioni dei governi di Israele, ma si batte perché tali critiche non si traducano in pregiudizio, in condanne generalizzate e in boicottaggi a tutta la società israeliana, l’unica società democratica e pluralista in Medio Oriente.
6. Sinistra per Israele combatte fenomeni di antisionismo – presenti anche a sinistra – che possono nascondere con troppa facilità una nuova e più sottile forma di antisemitismo.
7. Sinistra per Israele considera storicamente sbagliata e moralmente non accettabile ogni equiparazione del sionismo al razzismo, perché il sionismo ha le stesse radici di reclamo della patria per un popolo, che ha avuto il Risorgimento italiano e gli altri movimenti europei di fondazione e unificazione nazionale. Lo stesso reclamo di patria che è adesso la legittima aspirazione del popolo palestinese.
8. Sinistra per Israele ritiene il terrorismo un crimine inaccettabile, che deve essere condannato con forza e senza condizioni, e sollecita la dirigenza palestinese ad assumere atteggiamenti chiari, espliciti e coerenti di lotta al terrorismo. E, al tempo stesso, ritiene che ci si debba ispirare all’insegnamento di Rabin: “Portare avanti il processo di pace come se non ci fosse il terrorismo, combattere il terrorismo come se non ci fossero trattative”.
9. Sinistra per Israele appoggia le legittime rivendicazioni nazionali palestinesi e chiede alla dirigenza palestinese di superare definitivamente ogni diffidenza verso trattative di pace con Israele. Rifiuta atteggiamenti acritici che non distinguano nel movimento palestinese le componenti riformatrici che mirano alla costituzione di uno Stato palestinese accanto allo Stato di Israele dalle forze estremiste votate alla sua distruzione.
10. Sinistra per Israele si batte perché Israele sani le ferite prodotte dalla costruzione degli insediamenti in Cisgiordania, dalla barriera di separazione laddove essa penetra in profondità nel territorio palestinese e dagli atti di punizione collettiva che producono sofferenze e umiliazioni per la popolazione civile palestinese e auspica, insieme con molti cittadini e politici israeliani, il ritiro dagli insediamenti in territorio palestinese per incoraggiare condizioni di fiducia reciproca e rendere perseguibile una comune costruzione di pace.
11. Sinistra per Israele resta fedele al principio “due popoli due Stati” e sostiene ogni azione – come l’Iniziativa di Ginevra e la Road Map – utile al processo di pace e si batte perché, in sede europea e in ogni sede internazionale, l’Italia agisca per una pace giusta in Medio Oriente
Novembre 2005
I firmatari del manifesto: Giorgio Napolitano, Piero Fassino, Giuliano Amato, Sandra Bonsanti, Enrico Boselli, Peppino Caldarola, Furio Colombo, Umberto Eco, Emanuele Fiano, Gad Lerner, Adriano Sofri, Walter Veltroni, Franco Grillini, Giancarlo Bosetti Gustavo Zagrebelsky, Giorgina Arian Levi, Luciano Belli Paci Felice Carlo Besostri, Davide Bidussa, Daniele Bonifati, Ugo Caffaz, Marco Campione, Massimo Chierici, Gabriele Eschenazi, Claudia Fellus, Giuseppe Franchetti, Giorgio Gomel, Paola Jarach Bedarida, Stefano Jesurum, Tullio LeVictor Magiar, Francesco Mariotti, Enrico Modigliani, Fabio Nicolucci, Gloria Pescarolo, Francesca Romani
2. SINISTRA PER ISRAELE NON È UN OSSIMORO
1 – Sinistra per Israele Sinistra per Israele, che raccoglie il testimone dal gruppo omonimo costituitosi all’indomani della guerra dei sei giorni, si propone due obiettivi: sviluppare la conoscenza delle posizioni della sinistra israeliana e la solidarietà nei confronti del “campo della pace” in Israele, contrastare i pregiudizi antiisraeliani, antisionisti e talora perfino antisemiti che albergano anche in una parte consistente della sinistra italiana.
Questo antagonismo da sinistra verso Israele fonda le sue radici nella guerra fredda e oggi acquisisce nuovo vigore sull’onda di un rinnovato massimalismo terzomondista. Ritrovare e rinnovare le ragioni della solidarietà fra la sinistra e Israele è necessario, oltre che per non essere complici di una serie di falsi storici, anche nel nome della pace la cui costruzione non può prescindere dalla corretta interpretazione di ciò che è accaduto e di cosa sta realmente accadendo.
2 – L’errore del pregiudizio antiisraeliano Sempre più sovente le legittime critiche a talune scelte dei governi israeliani e le pur condivisibili rivendicazioni per i palestinesi degenerano in un sostanziale rifiuto di Israele come nazione. Riteniamo che questo atteggiamento sia da combattere politicamente; innanzi tutto perché noi, proprio perché di sinistra, sentiamo un legame particolare verso Israele, verso la sua storia, le sue istituzioni democratiche, la sua società pluralista. Israele è uno straordinario esempio di come una democrazia sia caparbiamente nata e si sia sviluppata, per scelta, in un contesto fortemente ostile.
Inoltre l’atteggiamento aprioristicamente antiisraeliano sposta l’attenzione dell’opinione pubblica dalla richiesta che il governo di Israele compia i passi necessari in direzione della pace, quali la creazione di un confine ed il ritiro dalle colonie, ad un generico e indiscriminato attacco allo Stato di Israele, (come testimoniano gli assurdi appelli al boicottaggio), con il risultato di rafforzare la destra israeliana, aumentando il senso di isolamento e l’illusione dell’autosufficienza.
Sinistra per Israele rifiuta che vi sia solo l’alternativa tra accettare qualsiasi decisione e comportamento dello stato di Israele, pena l’accusa di essere filoterroristi, ed il sostegno incondizionato alle posizioni ed alle rivendicazioni palestinesi ed alla conseguente mitizzazione della loro lotta. Entrambe queste posizioni non riconoscono l’avversario, giustificano i comportamenti della propria parte come reazione a quelli degli altri; in sintesi sono generate dall’accettazione della logica del conflitto e a loro volta generano conflitto.
3 – La politica Si può e si deve ricominciare a fare politica, chiamando per nome e distinguendo le legittime rivendicazioni nazionali da coloro che mirano alla distruzione totale dello Stato di Israele. Si può immaginare un MedioOriente coinvolto in un diverso equilibrio e che trovi nello Stato di Israele una componente non più estranea, ma pienamente integrata nello sviluppo della zona; così come nella nascita di uno stato democratico palestinese un elemento di stabilità.
Per arrivare a questo va costruito un percorso di “pacificazione” fra Israele e i Palestinesi, e con tutta l’area, che sia segnato da passi piccoli ma certi, realistici ed irreversibili.
Sul versante palestinese, la sinistra occidentale ha una credibilità che deve spendere per spingere ad un compromesso con gli Israeliani. Contemporaneamente per rafforzare il campo della pace la sinistra deve riavvicinarsi ad Israele come ad un paese amico, come quell’isola di democrazia non “altra” dalla sua tradizione.
4- Antisemitismo: l’Europa ancora nel buio Non è un caso che proprio in questo momento riaffiorino inquietanti segnali di antisemitismo. L’ansia per un nemico trova un sottile ma fortissimo canale di sfogo nell’attacco all’ebreo. Tornano così di moda deliranti visioni di “colpa collettiva”: tutti gli israeliani colpevoli per le scelte del loro governo; tutti gli ebrei colpevoli per ogni errore di Israele. Uno degli aspetti di questa tendenza, in certa sinistra in particolare, è la tesi di chi sostiene che gli ebrei (israeliani) stiano facendo ai palestinesi ciò che è stato fatto loro durante la Shoah, tesi peraltro di fatto riduzionista nei confronti della immane tragedia perpetrata nel cuore dell’Europa al popolo ebraico. Concordiamo sul fatto che l’accusa di antisemitismo non debba essere usata superficialmente, o addirittura in modo retorico per non rispondere nel merito a critiche di comportamenti del governo Israeliano. E’ altrettanto vero, però, che, prescindendo dal merito, viene usata la risibile argomentazione secondo la quale essere di sinistra sia un antidoto sufficiente per non essere suscettibili di antisemitismo. La sinistra ha vissuto nella storia europea e di essa ha contratto anche i morbi.
5 – La falsa simmetria I governi di Israele hanno gravi responsabilità a partire dalla costruzione e dal finanziamento degli insediamenti così come certe azioni di forza nei territori occupati; ancor più l’oppressione, le restrizioni e le umiliazioni che la rioccupazione dei territori infligge all’intera popolazione civile palestinese, non solo non avvicinano lo sbocco politico del conflitto, ma finiscono per alimentare il consenso al terrorismo. La radice del terrorismo, però, non può essere individuata nell’occupazione della Cisgiordania e di Gaza Il terrorismo nasce da un sentimento di totale rifiuto dello stato di Israele, e come tale non può essere giustificato, o anche solo considerato, come risposta ad una pur criticabile politica di repressione. Bisogna fare i conti con il dato storico che una parte della società palestinese non ha mai accettato e non è ancora oggi disposta ad accettare l’esistenza dello Stato d’Israele e non condivide la soluzione “due popoli due stati”.
6 – Le responsabilità del fallimento della “pace di Oslo” Occorre affermare che il rifiuto degli accordi proposti nel 2000 a Camp David e a Taba – un traguardo positivo finalmente raggiungibile dopo anni di progressi stentati, alternati da inadempienze e contraddizioni da ambo le parti – è stato un errore gravissimo che è responsabilità soprattutto di Arafat.
Sulla dirigenza palestinese andavano fatte, soprattutto da parte della sinistra e del movimento pacifista internazionale, forti pressioni per chiudere quell’accordo, e comunque perché non venisse abbandonato il processo di pace e perché non vi fosse la regressione al piano della violenza e del terrore.
Negare o non ricordare ciò significa porre le basi per il fallimento di futuri piani di pace.
7 – Democrazia e sviluppo in Palestina. La costruzione della pace non può prescindere da alcuni cambiamenti che devono maturare nella società palestinese. Sono fondamentali la democratizzazione ed il progresso sociale ed economico.
In passato tensioni derivanti da conflitti sociali endogeni alla società palestinese o legati a scelte politiche del mondo arabo sono stati scientemente fatti sfogare contro Israele.
Molte responsabilità concorrono nel mancato sviluppo della società palestinese. Le nazioni arabe e l’Onu, sia prima che dopo l’occupazione dei territori, hanno voluto mantenere i profughi palestinesi nella loro disperata condizione per sfruttare la situazione in vista di una “rivincita” contro Israele.
D’altra parte, l’occupazione israeliana, con l’appropriazione indebita di terre, gli insediamenti e quant’altro, ha favorito di fatto la crescita dell’estremismo e dell’odio in quelle popolazioni.
8 – Gli altri attori La questione israelo-palestinese non ha visto e non vede sulla scena solo due attori, ma una pluralità di forze e di interessi, troppo spesso dimenticati. In passato sulla scacchiera mediorientale è stata giocata una partita importante della guerra fredda. Di qui lo schieramento di una parte della sinistra contro Israele come riflesso condizionato.
Oggi tra i soggetti in campo forti resistenze al processo di pace sono venuti da alcuni paesi della regione, come la Siria, l’Iraq, l’Iran, che hanno continuato a giocare sulla pelle di palestinesi ed israeliani per perseguire le loro strategie di potere in politica interna ed internazionale. Questa politica è stata utilizzata per sviare le tensioni sociali contro “il nemico sionista”, al fine di mantenere i loro regimi autocratici.
9 – L’11 settembre e la retorica violenta dello scontro fra civiltà L’attacco suicida alle Torri Gemelle – la cui portata storica pochi hanno valutato con rigore- ha creato una nuova e più difficile realtà e ha imposto la guerra al terrore come prima necessità dell’agenda politica. In questa battaglia Israele è stata “arruolata” soprattutto dalla destra come avanguardia dell’Occidente contro l’Islam, nella retorica semplificatrice della guerra fra civiltà.
10 – “riprendere il processo di pace come se non ci fosse il terrorismo; combattere il terrorismo come se non ci fosse trattativa” Le parole di Rabin, che coniugavano lungimiranza e fermezza, ci indicano uno stile ancora valido, e non solo per Israele. Tutto il mondo deve dialogare e trovare una nuova forma di contratto planetario come se i nemici non ci fossero; ma al tempo stesso tutto il mondo dei diritti e della società aperta deve combattere con consapevole fermezza coloro che questa società vorrebbero distrutta.
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