Sabrina Ardizzoni: Leggere la Cina di oggi in otto parole

| 2 Luglio 2021 | Comments (0)

 

In una proliferazione di pubblicazioni che dimostra come il crescente interesse per la Cina sia accolto sia dalla comunità di osservatori sul vasto e complesso paese asiatico sia dagli editori mainstream, oltre che da quelli minori e indipendenti che da sempre hanno dimostrato maggiore coraggio nell’affrontare argomenti “delicati”, il libro della sinologa, docente di sociologia dei Paesi Asiatici all’Università di Bologna, Beatrice Gallelli, pubblicato dalla casa editrice Il Mulino, offre un prezioso contributo a questa ricca pletora di voci.

La prof. Gallelli dipana la complessa matassa della Cina dell’oggi, come dichiarato nel titolo, La Cina di oggi in otto parole, individuando otto concetti chiave: Fuqiang – prosperità e potenza; Nazione cinese; Sviluppo; Armonia; Civiltà; Spirito; Popolo; Democrazia.

Il lavoro sulle parole è una modalità gnoseologica ricorrente del pensiero cinese. Non possiamo non rilevare nell’approccio della Gallelli un credito ad alcuni saggi precedenti, altrettanto utili alla comprensione del continente Cina. Penso alla filosofa Anne Cheng, che nel suo Storia del pensiero cinese (1997, pubblicato in Italia da Einaudi, tradotto da Amina Crisma) individua le parole-chiave scaturite dalle scuole di pensiero già a partire dal sesto secolo a.C.; ma anche al Dizionario di Maqiao, di Han Shaogong, (pubblicato in Cina nel 1996, solo oggi pubblicato in Italia da Einaudi nella traduzione di Maria Rita Masci. Nella sua sperimentazione letteraria, l’autore raccoglie 115 voci lessicali che condensano la cultura del presente e del passato di un villaggio rurale dello Hunan). Da ultimo, è evidente il collegamento, che viene anche richiamato nel settimo capitolo, con La Cina in dieci parole, di Yu Hua, pubblicato nel 2011 in Italia da Feltrinelli (trad. Silvia Pozzi) ma scritto nel 2009.

Linguaggi diversi – quello della filosofa, dello scrittore di romanzi e dell’intellettuale cinese che ripensa alla propria storia mettendosi il relazione con la grande narrazione della Storia nazionale, mentre Gallelli utilizza qui il linguaggio della scienziata politica che, con attente contestualizzazioni, arricchite con un apparato di note precise e pertinenti, analizza la Cina contemporanea in maniera oggettiva, senza imporre a noi lettori una visione pregiudiziale, ma lasciandoci la responsabilità, l’onere e l’onore, di osservare il “Grande Altro” con occhio critico e consapevole.

Consapevole, in primis, della dimensione storica dei concetti come costrutti culturali: è vero che la Cina mette in gioco trasformazioni repentine e radicali, più di quanto l’occhio del singolo osservatore possa cogliere, ma è anche vero che le categorie che entrano nel discorso politico e nella storia del pensiero non nascono dal nulla, ma sono il frutto di reinterpretazioni continue che l’intellettuale compie nel flusso mutevole del presente attraverso dialoghi e dibattiti multidirezionali agiti verticalmente, in diverse stratificazioni sociografiche all’interno del paese, e orizzontalmente in un’area sempre più vasta, oggi globale.

L’analisi della Gallelli scardina alcune opinioni comuni, luoghi comuni, o stereotipi, con competenza e rigore scientifico. Primo fra tutti, il proverbiale “immobilismo” della “Cina millenaria”, il “paradigma della continuità” che ancora affligge molta parte della retorica italiana – ma non solo – sulla Cina. Una lettura attenta del libro, infatti, ricostruisce i percorsi semantici dei concetti che stanno alla base di queste concezioni e ne mette in luce la continua mutevolezza: il concetto di “Cina” stessa, ad esempio, è fondamentale per rispondere alla domanda “Di cosa parliamo, quando parliamo di Cina?”, e non si può comprendere se non mettendo in evidenza la differenza epistemologica tra il classico Tianxia e il moderno concetto di Stato-nazione come costrutto culturale globale che accomuna la giovane Europa di risorgimentale memoria alla Cina di poco successiva.

Alcuni punti chiave oggi sotto gli occhi dei riflettori della comunità internazionale, come la questione dei rapporti tra Pechino e le periferie, che sia il Tibet o il Xinjiang, o con le popolazioni di minoranza all’interno della Repubblica popolare cinese, oppure con altri paesi dell’area extraeuropea, osservati sul piano della storia, emergono come questioni che affondano le radici in un passato lontano. E qui è evidente il dialogo dell’autrice con l’intellettuale contemporaneo Wang Hui, che di queste cose ha ragionato molto, e che è anche disponibile in traduzioni italiane (da Il nuovo ordine cinese. Società, politica ed economia in transizione, Manifestolibri 2006 e Impero o Stato Nazione, Academia Universa Press nel 2009, entrambi tradotti da Gaia Perini, a La questione tibetana tra Est e Ovest, Manifesto Libri 2011, tradotto da Sabrina Ardizzoni).

È una questione linguistica: i termini in gioco sono continuamente negoziabili, come la definizione della Belt and Road Initiative come zhanlüe (strategia), che viene riformulata in changyi (iniziativa), per evitare un impatto troppo militarista sulla comunità internazionale. Operazione a cui, peraltro, non ci sottraiamo nemmeno fuori dalla Cina: la stessa “iniziativa”, infatti, diventa, in Italia, “Nuova Via della Seta”, come marchio di maggiore prestigio per un popolo (ma non nel senso cinese di renmin…) che tende a apprezzare la continuità con la storia e, almeno per ora, scarso valore attribuisce alle avventure militari; o la differenza tra Zhonghua minzu e i Zhongguoren nella Cina di Xi Jinping. Molto interessante è l’analisi delle accezioni del termine jingshen, tradotto come “spirito”, oggetto di analisi del sesto capitolo, in cui si mettono in evidenza i diversi significati di questa che può essere considerata a ragione una delle parole d’ordine del ventesimo-ventunesimo secolo. Dallo “spirito di Lu Xun” all’inizio del secolo scorso, a quello contemporaneo, di Xi Jinping, passando da Deng Xiaoping e da Lei Feng, un giovane eroe degli anni della rivoluzione, asceso a modello educativo da imitare e i cui manifesti e slogan si trovano in tutte le scuole di ordine e grado soprattutto negli ultimi vent’anni, l’analisi di questo concetto ci permette di attraversare gli eventi della storia contemporanea, da quelli più noti, ma non necessariamente conosciuti, come la Rivoluzione Culturale o gli eventi di Piazza Tian’an men del 1989, a quelli meno noti, ma cruciali, come il Movimento del Muro della Democrazia di Xidan di dieci anni prima, che ha fortemente caratterizzato il rapporto dello stato con le piazze negli anni Ottanta, prima di quegli eventi.

Il lettore di questo interessante e denso ma scorrevole saggio troverà inoltre numerosi spunti per smantellare il falso mito della Cina come entità “chiusa” al dialogo, al confronto con l’altro, con un Occidente aperto, ancorché all’avventura coloniale. La lettera dell’Imperatore Qianlong al Re britannico Giorgio III scritta in seguito al ricevimento del rappresentante della Compagnia delle Indie, Lord Macartney, alla corte imperiale, il 14 settembre 1793, viene assurta ad emblema della chiusura della Cina nei confronti del mondo. Ma a ben guardare, se questo poteva essere vero a livello di un governo debole, che stava, di fatto, cedendo le sue energie di fronte alle spinte globali, non era vero dal punto di vista degli intellettuali e delle persone che vivevano nel paese. A partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo, e fino anche ai nostri giorni, gli scambi, le interazioni, il dibattito sono stati – e sono tuttora –cruciali nel processo di nation building. L’analisi di come il potere centrale ha lavorato e lavora per la costruzione del popolo, per il raggiungimento e il mantenimento dell’armonia, arriva a toccare anche i cambiamenti in atto sotto la spinta dell’emergenza globale data dalla gestione della pandemia da Covid-19 e le implicazioni geo-politiche che sta avendo sul piano nazionale e internazionale.

In generale, con garbo e intelligenza, il saggio mette in luce i dispositivi culturali e politici che il nuovo corso del governo cinese dal 2013 mette in atto per la propria legittimizzazione, senza lasciare ampio spazio al pluralismo, al dialogo e al dibattito che hanno caratterizzato la Cina del passato, e che oggi mette al centro un sogno cinese, non negoziabile.

Quello che da questo libro appare chiaro è che solo attraverso una prospettiva storica e una profonda consapevolezza a tutto tondo, possiamo attribuire al pianeta Cina la giusta dimensione

Category: Libri e librerie, Osservatorio Cina, Osservatorio internazionale

About Sabrina Ardizzoni: Docente di cinese in Unibo dal 2005, dopo dieci anni di lavoro come interprete e mediatrice linguistico-culturale, ha iniziato lo studio della lingua cinese presso l'Università di Bologna nel 1986, con un periodo di studio in Cina presso l'Istituto di Lingue e Culture di Pechino e presso l'Università Normale dell'Anhui (1992-1995). Il lavoro di mediazione linguistico-culturale, dal 1998, si è svolto nelle scuole, negli enti locali e ONG. Dal 1995 lavora come interprete e traduttrice in ambito sociale, medico e aziendale. I suoi interessi si concentrano nelle nuove tecniche glottodidattiche, nelle indagini dei cambiamenti sociali in corso nella Cina rurale, con particolare riferimento ai movimenti migratori interni e internazionali e alle questioni di genere. Ha compiuto diverse spedizioni di inchiesta in Cina, soprattutto nelle aree rurali, dove, grazie anche alla collaborazione con istituzioni educative e culturali del Fujian e Jiangxi, sta sviluppando l'ambito di ricerca sulle donne nelle comunità di Hakka, in Cina e nella diaspora.

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