Loretta Napoleoni: L’Europa riscopre il populismo spicciolo. Come ha fatto Farage a prendere voti

| 4 Luglio 2014 | Comments (0)

 

 

 

Diffondiamo dal numero 184, aprile-giugno 2014 di “Inchiesta” 2014

 

Loretta Napoleoni ricostruisce le dinamiche che hanno portato Farage e l’UKIP a prendere voti puntando su i colletti bianchi che appartengono alla classe operaia e sulla valorizzazione delle tradizioni locali, il patriottismo con la p minuscola

L’Europa riscopre il populismo spicciolo, il placebo usato come antidoto per le prolungate malattie economiche del vecchio continente. Da un po’ di tempo l’inglese Nigel Farage e la francese Marine Le Pen, i moderni stregoni della politica europea, lo amministrano alle masse ed ecco uno dei motivi che hanno spinto l’elettorato a voltarli nelle scorse elezioni europee.

E’ importante capire le cause di questi risultati straordinari e sconcertanti allo stesso tempo, come hanno fatto Farage e Le Pren a risvegliare in Europa sentimenti che proprio la costruzione di un’Europa unita doveva aver cancellato dalla mappa politica dei suoi abitanti?

Il partito di Nigel Farage, United Kingdom Independent Party, meglio noto come UKIP, è il prodotto di una sorta di tempesta perfetta politico-economica iniziata con la rivoluzione ideologica di Tony Blair, leader del New Labour, rafforzatasi grazie all’alleanza tra Bush e Blair – che ci ha regalato il fiasco iracheno – e cementatasi attraverso lo scollamento tra il partito laburista e la base operaia, che un tempo ne costituiva l’ossatura.

L’identificazione di UKIP con la destra conservatrice è stata fino ad ora la norma, ma la recente vittoria è avvenuta a spese del partito laburista. Da un’analisi condotta da due accademici inglesi specializzati nei movimenti politici di nicchia, Mattew Goodwin e Rover Ford, risulta che il gruppo centrale dell’elettorato di UKIP è costituito per la maggior parte da membri della classe operaia, individui con problemi economici ed inclini ad ammettere di provenire da famiglie laburiste.

L’elettorato di UKIP non è dunque composto da ricchi giocatori di golf che rimpiangono il thatcherismo, ma per lo più dai colletti bianchi, che appartengono alla classe operaia. Ed è a quell’elettorato che il vice di Farage, Paul Nuttall, si è rivolto in piena campagna elettorale durante il programma radiofonico britannico più importante, il Today Programm,. Criticando l’establishment, Nuttal ha spiegato agli ascoltatori l’impatto dei giovani immigrati europei, che ha ammesso sono grandi lavoratori, nei confronti della giovane forza lavoro britannica nel nord ovest del paese, una forza lavoro che fatica a trovare un’occupazione. Ha poi aggiunto che la corsa verso il basso dei salari è legata all’immigrazione proveniente dall’Europa dell’Est disposta a lavorare per molto meno ed ad accettare lavori al disotto della propria qualificazione, pur di trovare un’occupazione in Gran Bretagna.

Il linguaggio usato non era xenofobico ne’ razzista, Nuttal ha semplicemente espresso una realtà prodotta dalla globalizzazione e di cui tutti sono al corrente. Ha anche ammesso che l’Unione Europea fa parte del processo di globalizzazione che ha danneggiato le classi più basse in Gran Bretagna, anche questi sono dati di fatto. Alla base del successo dell’UKIP, dunque, c’e’ il profondo senso di nostalgia ed empatia nei confronti delle vittime del cambiamento che i suoi membri hanno saputo trasmettere al pubblico. Questo almeno il messaggio che trapela dal filtro dei media.

Mostrando di preoccuparsi dei problemi dei colletti bianchi e degli operai e di volerli risolvere difendendo i loro interessi, l’UKIP si è abilmente appropriato del linguaggio della sinistrae dei vecchi laburisti.     Dall’atra parte dello spettro politico troviamo New Labour che ha incamerato la parte peggiore del Thatcherismo insieme ad alcuni dei suoi lati positivi. Tra questi c’è il concetto di mobilità sia geografica che sociale, estraneo al mondo del lavoro operaio e dei colletti bianchi prima dell’avvento della rivoluzione ideologica di Tony Blair. Sotto questo punto di vista l’immigrazione è altamente positiva perché muove la forza lavoro da un angolo all’altro del pianeta e questo porta ricchezza, almeno così è stato negli anni Ottanta ed in parte anche negli anni Novanta.

Mobilità vuol dire anche muoversi lungo la scala sociale, ciò che ha fatto New Labour. Oggi gran parte della vecchia corrente di Blair non ha alcun legame con la base lavorativa del partito, il sindacato o la classe operaia, ma ha come referente professioni quali l’avvocatura. Stesso discorso si puo’ fare a livello geografico, Londra è la meta di tutti, questo l’obiettivo della base del partito e del suo elettorato. Ma e’ proprio vero?

UKIP invece fa presa sulle masse che non vogliono lasciare le Midlands, il Galles, le vecchie zone industriali del Nord, gente che intende rimanere nelle cittadine e nei villaggi dove sono nati e dove vive da sempre la propria famiglia. Costoro chiedono un lavoro sicuro, come quello dei propri genitori, e guardano a Londra ed al sud Est come una parte della nazione a loro aliena. Costoro sono stati abbandonati da tutti i partiti tradizionali.

La febbre della globalizzazione ha portato i politici a credere che ormai siamo tutti senza radici, che è un bene non averle perché così si possono inseguire i propri sogni. UKIP rifiuta questa visione e torna a celebrare i vecchi valori locali, le realtà locali, le tradizioni locali, cosi’ la nozione di lavoro del passato, incluso quello operaio, diventa fonte di orgoglio nazionale.

Le metamorfosi del partito laburista, hanno aperto a sinistra un cuneo dove l’UKIP si è potuto intrufolare. Ma è improbabile che senza il trauma della guerra in Iraq, Nigel Farage avrebbe conquistato i voti di tanti laburisti.

Il disgusto della popolazione per una classe politica corrotta e senza scrupoli nasce con i fatti iracheni. Fino ad allora i politici britannici erano tra i più corretti in Europa, disposti sempre a dimettersi per pagare i propri errori. Blair non solo non si accolla la responsabilità delle false informazioni che hanno portato le forze di coalizioni a lanciare un attacco preventivo in Iraq, ma nega che tutto ciò sia avvenuto. A questo va aggiunta l’indifferenza mostrata nei confronti dei due milioni che il 15 febbraio del 2013 marciarono contro l’intervento armato in Iraq.

Gli scandali dei parlamentari relativi all’abuso dei fondi e provenienti da tutti i partiti hanno cementato la sfiducia nella classe politica tradizionale e distrutto a mano a mano la fiducia tra elettorato e partiti senza la quale il meccanismo della democrazia rappresentativa proprio non funziona.

Nigel Farage e l’UKIP sono andati a  riempire questo vuoto esistenziale, hanno pescato in tutti i partiti e lo hanno fatto usando una formula moderna, che ben si addice ad una società globalizzata e frenetica, ma anche soprattutto virtuale: ribellandosi contro l’establishment non come partito ma come ‘esercito del popolo’, usando parole chiavi simili, a mo’ di twitter, che hanno catturato l’immaginario collettivo.

Sotto questo punto di vista il legame con il Movimento 5 Stelle è forte. Farage come Grillo vuole innanzitutto distruggere ciò che secondo loro non va. L’immigrazione è solo la punta dell’iceberg, il problema è ben più complesso e si riferisce ad un sistema economico inadatto al mondo moderno, un sistema di produzione obsoleto perché necessita di meno forza lavoro quando questa non fa che crescere.

Ma ne’ Farage ne’ Grillo hanno la minima idea di come ristrutturare questo sistema, di come renderlo funzionate per le masse. La loro e’ una scatola vuota dove buttare le macerie di quanto distruggono e distruggeranno. A loro basta abbattere l’apparato politico che tiene in piedi il sistema, poi di vedrà. Ed è qui che ci imbattiamo nel populismo più spicciolo di cui noi europei siamo grandi esperti esperti.

La ribellione diventa il cavallo di battaglia su cui si muove la nostalgia, il patriottismo con la P minuscola, quel passato di stato nazione che la memoria ci dice ha funzionato meglio del presente globalizzato. Sulla base di questa retorica i nuovi stregoni della politica saccheggiano e riciclano icone laburiste e comuniste: Enrico Berlinguer sorride da Piazza San Giovanni al 5 Stelle ed i colletti bianchi delle Midlands diventano lo zoccolo duro dell’UKIP.

Questi fenomeni abominevoli sono frutto dello sfilacciamento della democrazia rappresentativa, del vuoto politico che si è creato nelle moderne democrazie. L’Unione Europea è solo il capro espiatorio, non è colpa di Bruxelles se Blair ha mentito al paese ed al parlamento riguardo alle prove che Saddam Hussein avrebbe potuto colpire Londra, Parigi o Berlino con l’arma nucleare in un batter d’occhio, ne’ è colpa di Bruxelles se la classe politica italiana si è fatta sedurre dalla corruzione e si è spostata in massa verso il centro abbandonando quella operaia e media ad proprio drammatico destino. La colpa è della crisi del sistema economico e politico attuale, neppure del capitalismo, come tanti affermano, poiché quello attuale non può più definirsi capitalismo ma una sua degenerazione.

Certo il populismo di Farage o il razzismo di Le Pen non sono la soluzione del problema, piuttosto è vero il contrario. E’ ora che la sinistra, quella vera, si interroghi su questi punti e faccia autocritica prima che sia troppo tardi.

 

Category: Osservatorio Europa, Osservatorio internazionale, Politica

About Loretta Napoleoni: Loretta Napoleoni (Roma, 1955) è una saggista e giornalista italiana. Si è occupata dello studio dei sistemi finanziari ed economici attraverso cui il terrorismo finanzia le proprie reti organizzative. Nata e cresciuta a Roma, vive da molti anni nel Regno Unito, a Londra. In Italia ha pubblicato, per il Saggiatore, i saggi Terrorismo S.p.A (2005) ed Economia Canaglia (2007). Nel 2009 ha pubblicato con Chiarelettere La morsa. Nel saggio la Napoleoni riprende e sviluppa le tesi dei due libri precedenti, legandoli assieme. Per la Rizzoli ha pubblicato nel 2010 Maonomics, una critica al sistema economico occidentale partendo dal successo cinese. Il libro ha vinto il premio Singapore Critics Choice Best Nonfiction on Economics e nel 2010 il Premio dell'Associazione per il Progresso Economico. Nel 2011 ha pubblicato per Rizzoli Il Contagio e nel 2013, sempre per Rizzoli, Democrazia vendesi

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