Lorenzo Cattani: I migranti possono salvare l’Europa?
Diffondiamo da www. pandorarivista.it del 25 luglio 2016
Nell’ambito del dibattito suscitato dalla crisi provocata dall’arrivo di cospicui flussi di migranti in Europa, una delle motivazioni più usate dai sostenitori di una forte limitazione dei flussi è quella economica. L’immigrazione, infatti, farebbe parte di una sorta di gioco a somma zero, poiché nelle attuali condizioni economiche non sarebbe possibile trovare lavoro per tutti. A questo aspetto si unisce anche quello della tenuta del nostro sistema produttivo, che verrebbe messa a dura prova davanti a flussi di grande intensità, prolungati nel tempo.
Sorvolando sul fatto che, secondo l’agenzia ONU per i rifugiati, l’Europa sia meta solo del 6% dei rifugiati (dei 4,4 milioni accolti, 2,5 si trovano in Turchia e 593000 provengono da altri paesi europei, in particolare dall’Ucraina) e che quindi sia interessata soltanto da una piccola parte di movimenti molto più complessi che coinvolgono per la maggior parte i paesi del sud del mondo, siamo sicuri che i migranti rappresentino un peso economico per l’Europa?
Un problema ancora più pressante per i paesi europei è infatti quello del calo, ma soprattutto dell’invecchiamento, della popolazione. Se durante il periodo 1945-1980, la popolazione europea è aumentata di 171 milioni, durante i 35 anni successivi, dal 1980 al 2015, questo aumento è drasticamente sceso a 48 milioni. L’edizione del 2012 dei World Population Prospects, effettuati dalle Nazioni Unite prevede, per il periodo 2015-2050, un calo di 34 milioni della popolazione europea. Questo però non è il dato più preoccupante. Tra il 1980 e il 2015, infatti, gli individui sotto i 30 anni sono diminuiti del 22%, quelli tra i 30 e i 60 sono aumentati del 21%, mentre quelli sopra i 60 anni sono aumentati del 58%. In un suo articolo dell’anno scorso, Massimo Livi Bacci afferma che questo gap sia destinato ad aumentare nel tempo e che i paesi più colpiti dal calo di giovani e adulti sarebbero Russia, Germania, Spagna e Italia. Tuttavia, il calo della popolazione attiva (in età da lavoro) risulterebbe più contenuto se venissero inclusi i dati sui flussi migratori. In che modo quindi la diminuzione della popolazione giovane, unitamente all’aumento di quella più anziana, possono essere dannose per l’economia? E in che modo i flussi migratori possono riequilibrare questa situazione?
Tra i tanti modelli macro-economici ne esistono alcuni chiamati “modelli a generazioni sovrapposte”, all’interno dei quali viene inserito l’impatto del ricambio generazionale all’interno di un’economia, permettendo di capire quale importanza abbia la demografia per la performance economica. Immaginiamo quindi di trovarci in un’economia semplificata, dove ad un determinato tempo sono vive solo due generazioni di individui, quelli nati al tempo t, in età da lavoro, e quelli nati al tempo z, non più in età da lavoro. Supponiamo anche che chi governa tale economia finanzi la spesa pubblica tramite la tassazione sugli individui in età lavorativa, per finanziare le pensioni di chi non può più lavorare. Si tratta di una semplificazione molto forte, ma utile per capire come mai l’invecchiamento della popolazione sia un fenomeno molto preoccupante. Se infatti gli individui in età lavorativa calano, a fronte di un aumento di quelli non più in età lavorativa, se lo stato vuole mantenere inalterato il livello delle pensioni dovrà aumentare la tassazione sugli individui in età lavorativa, rendendo quindi più problematica la sostenibilità del sistema pensionistico. Ma questo ragionamento può essere fatto non solo per le pensioni, ma anche per diversi programmi di welfare come i sussidi di disoccupazione o i sussidi d’invalidità ad esempio.
Tutto ciò sarebbe molto meno sostenibile se ad ogni nuova generazione, gli individui in età lavorativa fossero meno di quelli della generazione precedente. Davanti a questo scenario una soluzione può essere tagliare i programmi di welfare e le pensioni, un’altra quella di innalzare l’età pensionabile per aumentare la popolazione in età lavorativa. Tuttavia il Welfare State, che negli ultimi 35 anni ha anche subito gli attacchi di chi lo ritiene foriero di inefficienza economica, serve per ridurre l’incertezza che gli individui affrontano nella propria vita e per creare una società dove gli individui hanno simili possibilità di vivere al meglio la propria vita. Nello specifico, di fronte ad un taglio ai programmi di welfare il risparmio privato delle famiglie aumenterebbe a danno dei consumi, minacciando seriamente la performance economica.
È quindi chiaro come sia fondamentale invertire al più presto il trend demografico, prima che sia troppo tardi. Ma tale inversione non è affatto semplice da ottenere: le politiche sociali per incentivare la natalità non possono garantire un risultato certo, richiedendo peraltro diversi anni prima di condurre a risultati apprezzabili. Se quindi l’accoglienza è un dovere, di fronte a tanti migranti che scappano da situazioni di guerra e instabilità e che meritano di vivere dignitosamente, l’immigrazione economica (che è di gran lunga più osteggiata dalle classi politiche europee) è invece un’occasione per invertire questa tendenza e rilanciare l’economia europea. Il dibattito politico non dovrebbe interrogarsi sul danno economico arrecato dai flussi migratori, ma dovrebbe chiedersi in che modo i migranti possano essere inseriti correttamente all’interno del mercato del lavoro. Nello specifico, sarà fondamentale assicurarsi che i migranti possano inserirsi all’interno dei circuiti dove vengono formate le competenze della forza lavoro, lavorando sia sul fronte dell’istruzione scolastica e universitaria che su quello della formazione professionale, al fine di potersi collocare in quei settori “knowledge-intensive”, dalla cui performance dipende buona parte dell’economia europea.
Provando dunque a dare risposta alla domanda iniziale, i migranti possono essere non un peso ma una risorsa per l’economia europea. Ma, perchè questo avvenga, è fondamentale che l’inserimento all’interno del mercato del lavoro avvenga ordinatamente, in maniera coordinata e compatibile con le strutture istituzionali dei paesi membri. A dimostrazione di ciò, è interessante guardare ai dati dello studio “L’economia della migrazione: costi e benefici”, condotto dalla Fondazione Leone Moressa, che rileva come in Italia, davanti ai 12,6 miliardi di euro spesi per l’arrivo di nuove famiglie di migranti, lo Stato ne abbia ottenuti 16,5 (suddivisi tra contributi previdenziali per stranieri, pagamento dell’Irpef, imposta sui consumi, sugli oli minerali, su lotto e lotterie e per tasse e permessi). È quindi fondamentale osservare i flussi migratori sotto una nuova prospettiva e vederli come un’opportunità. In caso contrario il rischio è quello di vedere l’integrazione europea schiacciata dagli eventi dei prossimi anni.
Bibliografia
Atkinson, A. B. (1999), The economic consequences of rolling back the Welfare State, MIT press
Di Pasquale, E. (2014), l’economia della migrazione: costi e benefici, Fondazione Leone Moressa
Livi Bacci, M, (2015), La quarta globalizzazione, in Limes 6/2015
Livi Bacci, M. (2016), Demografia è destino, in Limes 3/2016
Michelotti, C. (2014), Quanto costano davvero i migranti, in The Post Internazionale 24/11/2014
Romer, D. (2012), Advanced Macroeconomics, McGraw Hill
United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division (2013). World Population Prospects: The 2012 Revision, Highlights and Advance Tables. Working Paper No. ESA/P/WP.228
UNHCR, 1 persona su 113 costretta alla fuga nel mondo: le migrazioni forzate raggiungono i livelli più alti di sempre, comunicato stampa del 20/06/2016
Category: Migrazioni, Osservatorio internazionale