Franco Avicolli: Valore e complessità. To America with Love di PierLuigi Olivi
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Valore e complessità: to AMERICA with LOVE di Pier Luigi Olivi.
L’opera di Pier Luigi Olivi è fatta di gesti che nascono da una complessità di cui tendono a diventare chiave, a suggerire il loro senso compiuto, a mettere in luce la consistenza reale di una qualche dimensione vistosamente sbandierata, a stimolare la ricerca della cosa in sé con le molte voci che concorrono alla sua rivelazione. I gesti non possono quindi essere collocati nella categoria della denuncia, sono fatti di una propria sostanza gentile, direi, più che di veemenza contrappositiva. All’apparenza le sue opere sembrano istantanee e, tuttavia, esse sono nello stesso tempo immagine visibile di un percorso carsico e codice di lettura, pietra che agita la superficie dello stagno che rivela lo spessore del contesto al quale rimanda. Si tratta di un atteggiamento che richiede il coinvolgimento di altri soggetti perché dicano quello che lui non dice. La complessità non è semplicemente un’idea, e in questo modo diventa visibile appunto con i codici appropriati, con altri soggetti chiamati e sollecitati a diventare in qualche modo complici del gesto e nello stesso tempo necessari per realizzare operativamente la complessità. Li sceglie con cura conoscendone la sensibilità. Per to AMERICA with LOVE, una mostra quasi essenziale allestita presso la “Bugno Art Gallery”, Olivi ha coinvolto il critico veneziano Stefano Cecchetto e la scrittrice cilena Marilú Ortiz de Rozas, coprotagonisti del bel catalogo che completa la proposta culturale della mostra, la costruzione del gesto artistico e la sua complessità che appartiene alle premesse, all’esecuzione e anche alla sua realizzazione.
Il testo di Cecchetto appare pertanto funzionale alla costruzione del messaggio ed è illuminante perché scava nelle origini circostanziali della mostra nel cui apparato simbolico rileva un atteggiamento che a suo tempo ha costruito la solidarietà dell’arte con il vissuto contemporaneo, per un verso schiacciandola in una qualche funzione impropria, per l’altro lusingando il sistema di riferimento “producendo oggetti autonomi, sempre più nevrastenici e destinati ad un collezionismo piuttosto debole da un punto di vista culturale”. Sono le condizioni di una reciproca dipendenza alle quali Pier Luigi Olivi attinge rimontando alle origini di quell’arte, all’apparato razionale in cui la loro consistenza si scioglie come neve al sole, giacché esse finiscono per mostrare da sole la materia di cui sono fatte e in fin dei conti la loro debolezza e il loro valore effimero. Ed è interessante l’uso intelligente e complesso che fa Cecchetto “del concetto di bandiera” che in Olivi diventa immagine ricorrente e preminente di una mostra dove appare evidente che la questione non è una semplice rivisitazione dissacrante o ironica dell’arte popolare americana, ma la volontà di ristabilire il concetto di valore, data una simbologia tendente a sacralizzare oggetti della quotidianità diventando “linguaggio della menzogna libertaria”.
In questo modo Olivi finisce per dire che il problema fondamentale è il valore con i suoi riferimenti a stabilire una oggettiva ed autonoma valenza dell’arte e il suo spessore referenziale, un po’ come dire che non è la realtà circostanziale a creare il contenuto dell’arte, in cui si sente l’eco dell’aforisma 198 di Konrad Fiedler, in cui il teorico tedesco afferma: “Non è vero che gli artisti debbano esprimere il contenuto di un’epoca: essi devono dare all’epoca un contenuto”.
Orbene, in questa direzione manca un passaggio per completare il quadro. Esiste una qualche dimensione, una qualche origine della formazione di un tale criterio valutativo? Qual è, insomma, il valore “vero” del gesto che svela i piedi di argilla di un’arte che “imita la realtà”, per dirla nella maniera più elementare possibile?
E qui interviene l’altro “complice”, la cilena Marilú Ortiz de Rozas che indirizza appunto l’attenzione all’opera di Olivi per dire del mondo da cui essa viene generata, con un incipit che riporta lontano “al tempo dell’infanzia”, quando l’immaginazione del poeta “volava…in una nazione che immaginava impregnata di una moralità superiore, piena di ideali carichi di etica e di fraternità. Inoltre, culla del cinema, dell’avanguardia in tutti gli ambiti della creazione…”, fornendo le ragioni esistenziali da cui il gesto artistico prende vita e si tratta di origini che affondano le loro radici in una Venezia simbolicamente intesa come valore di riferimento che porta la scrittrice cilena a suggerisce opportunamente di “leggere to AMERICA with LOVE come il canto antinomico del cigno di una civiltà in rovina” in cui si sente il cruccio che agita Pier Luigi Olivi, quella Venezia con tutte le simbologie in cui egli ritrova la dimensione del valore. Pertanto, conclude Marilú Ortiz de Rozas, “più che una critica, quella di Olivi è una dolorosa constatazione sulla città dei mercanti contemporanei…”, che riporta alla Venezia turistica, all’origine del valore e alla pratica che lo nega.
Venezia, 28 marzo 2022
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