Dalai Lama: Pregare non è sufficiente. Dobbiamo combattere il coronavirus con la compassione

| 4 Giugno 2020 | Comments (0)

 

L’immagine mostra Sua Santità il Dalai Lama che ha conferito in live webcast l’Iniziazione di Avalokiteshvara in due giorni, il 29 e 30 maggio 2020. Il primo giorno ha eseguito i preliminari all’Iniziazione, il secondo giorno l’effettiva Iniziazione. Il luogo è la residenza di Sua Santità il Dalai Lama, Dharamsala, HP, India Il testo è stato diffuso  dal sito ufficiale it.dalailama.com del 14 aprile 2020

 

A volte gli amici mi chiedono di aiutarli a risolvere qualche problema nel mondo, usando alcuni “poteri magici”. Dico sempre loro che il Dalai Lama non ha poteri magici. Se li avessi, non sentirei dolore alle gambe, né mal di gola. Siamo tutti  esseri umani uguali e sperimentiamo le stesse paure, le stesse speranze, le stesse incertezze.

Dal punto di vista Buddista, ogni essere senziente conosce le realtà della sofferenza, della malattia, della vecchiaia e della morte. Ma come esseri umani abbiamo la capacità di usare la nostra mente per vincere la rabbia, il panico e l’avidità. Negli ultimi anni ho sottolineato il “disarmo emotivo”: cercare di vedere le cose in modo realistico e chiaro, senza la confusione della paura o della rabbia. Se un problema ha una soluzione, dobbiamo lavorare per trovarla; se non ce l’ha, non dobbiamo perdere tempo a pensarci.

Noi Buddisti crediamo che tutto il mondo sia interdipendente. Per questo parlo spesso di responsabilità universale. Lo scoppio di questo terribile coronavirus ha dimostrato che ciò che accade a una persona può presto influenzare ogni altro essere. Ma ci ricorda anche che un atto compassionevole o costruttivo – sia che si lavori in ospedale o che si osservi solo la distanza sociale – ha il potenziale per aiutare molti.

Da quando è arrivata la notizia del coronavirus a Wuhan, ho pregato per i miei fratelli e le mie sorelle in Cina e in ogni altro luogo. Ora possiamo vedere che nessuno è immune a questo virus. Siamo tutti preoccupati per i nostri cari e per il futuro, sia dell’economia globale che delle nostre case. Ma la preghiera non è sufficiente.

Questa crisi dimostra che tutti noi dobbiamo assumerci le nostre responsabilità dove possiamo. Dobbiamo unire il coraggio che medici e infermieri stanno dimostrando con la scienza empirica per iniziare a ribaltare questa situazione e proteggere il nostro futuro da altre minacce.

In questo tempo di grande paura, è importante che pensiamo alle sfide a lungo termine – e alle possibilità – dell’intero globo. Le fotografie del nostro mondo dallo spazio mostrano chiaramente che non ci sono confini reali sul nostro pianeta blu. Pertanto, tutti noi dobbiamo prendercene cura e lavorare per prevenire il cambiamento climatico e altre forze distruttive. Questa pandemia serve come monito che solo unendoci ad una risposta coordinata e globale riusciremo a far fronte alla portata senza precedenti delle sfide che dobbiamo affrontare. 

Dobbiamo anche ricordare che nessuno è libero dalla sofferenza, ed estendere le nostre mani ad altri che non hanno casa, risorse o famiglia per proteggerli. Questa crisi ci dimostra che non siamo separati gli uni dagli altri, anche quando viviamo separati. Pertanto, abbiamo tutti la responsabilità di esercitare la compassione e di aiutare.

Come Buddista credo nel principio dell’impermanenza. Alla fine, questo virus passerà, come ho visto passare guerre e altre terribili minacce nella mia vita, e avremo l’opportunità di ricostruire la nostra comunità globale come abbiamo fatto molte volte in passato. Spero sinceramente che tutti possano stare al sicuro e rimanere calmi. In questo momento di incertezza, è importante non perdere la speranza e la fiducia negli sforzi costruttivi che tanti stanno compiendo.

Pubblicato sul Time Magazine – 14 Aprile, 2020
https://time.com/5820613/dalai-lama-coronavirus-compassion/

 

 

Category: Culture e Religioni, Epidemia coronavirus, Osservatorio internazionale, Osservatorio Tibet

About Vittorio Capecchi: Vittorio Capecchi (1938) è professore emerito dell’Università di Bologna. Laureatosi in Economia nel 1961 all’Università Bocconi di Milano con una tesi sperimentale dedicata a “I processi stocastici markoviani per studiare la mobilità sociale”, fu segnalato e ammesso al seminario coordinato da Lazarsfeld (sociologo ebreo viennese, direttore del Bureau of Applied Social Research all'interno del Dipartimento di Sociologia della Columbia University di New York) tenuto a Gosing dal 3 al 27 luglio 1962. Nel 1975 è diventato professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna. Negli ultimi anni ha diretto il Master “Tecnologie per la qualità della vita” dell’Università di Bologna, facendo ricerche comparate in Cina e Vietnam. Gli anni '60 a New York hanno significato per Capecchi non solo i rapporti con Lazarsfeld e la sociologia matematica, ma anche i rapporti con la radical sociology e la Montly Review, che si concretizzarono, nel 1970, in una presa di posizione radicale sulla metodologia sociologica [si veda a questo proposito Il ruolo del sociologo (a cura di P. Rossi), Il Mulino, 1972], e con la decisione di diventare direttore responsabile dell'Ufficio studi della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM), carica che manterrà fino allo scioglimento della FLM. La sua lunga e poliedrica storia intellettuale è comunque segnata da due costanti e fondamentali interessi, quello per le discipline economiche e sociali e quello per la matematica, passioni queste che si sono tradotte nella fondazione e direzione di due riviste tuttora attive: «Quality and Quantity» (rivista di modelli matematici fondata nel 1966) e «Inchiesta» (fondata nel 1971, alla quale si è aggiunta più di recente la sua versione online). Tra i suoi ultimi libri: La responsabilità sociale dell'impresa (Carocci, 2005), Valori e competizione (curato insieme a D. Bellotti, Il Mulino, 2007), Applications of Mathematics in Models, Artificial Neural Networks and Arts (con M. Buscema, P.Contucci, B. D'Amore, Springer, 2010).

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