Antonella Ceccagno, Amina Crisma: Durante e dopo il covid. Come la guerra di propaganda tra Usa e Cina sta cambiando le università nel mondo
1. Verso un’egemonia della Grande Narrazione cinese nel mondo accademico?
Quali saranno gli effetti di lungo termine della pandemia Covid-19 sugli assetti globali? E come e in che senso ne risulterà ridefinito il ruolo della Cina negli equilibri planetari? Forse è ancora un po’ presto per dare articolate risposte a tali interrogativi, ma c’è chi non ha dubbi: Michael Dunford, già docente all’Università del Sussex, ricercatore autorevole e autore di studi importanti, attualmente Full Professor all’Accademia Cinese delle Scienze di Pechino lo spiega diffusamente in un articolo cofirmato con il collega Bing Qi e uscito a luglio sulla rivista Research in Globalization con il titolo “Global reset: COVID19, systemic rivalry and the global order”.1
L’articolo descrive quali saranno le magnifiche sorti e progressive che attendono il mondo: si renderà sempre più visibile ed evidente il fallimento dei sistemi liberali occidentali, già avviati a un ineluttabile declino; la loro incapacità di governare la pandemia ne accentuerà definitivamente la crisi, e la Repubblica Popolare emergerà trionfalmente da questa situazione vedendo sempre più felicemente accresciuta la sua “armoniosa” leadership mondiale.
Ciò che soprattutto colpisce di questo testo è la sua totale adesione alla Grande Narrazione del governo della RPC, una narrazione che si è andata affinando, dopo le incertezze iniziali, proprio nella temperie della pandemia. La pandemia, da iniziale disastro nazionale, ha finito per diventare per Pechino un volano e un acceleratore del progetto cinese di proiettare la propria immagine di paese vincente, che ha cioè le carte in regola per aspirare all’egemonia globale. Più specificamente, forte della propria abilità nel contenere il virus sul territorio nazionale, la Cina, si è andata proponendo nei mesi scorsi in maniera sempre più esplicita come il sistema politico modello, un sistema politico – autoritario- che tutto il mondo dovrebbe adottare in ragione del fatto che sarebbe l’unico capace di avere la meglio sul virus grazie a un controllo totale sulla popolazione e le merci.
Il governo e il partito comunista cinese, insomma – alla stessa stregua di Donald Trump – hanno nei fatti messo in chiaro che la battaglia contro il Coronavirus non è mai stata un semplice fatto di salute pubblica, ma è piuttosto, e in primo luogo, una questione politica.2
Quella modalità cinese di controllo della popolazione (dentro o fuori dall’emergenza Coronavirus) e quel modello autoritario di governo sembrano avere una crescente presa su un mondo accademico non cinese che, come l’esempio sopra attesta, talora sembra esserne sedotto al punto da proporre alla comunità scientifica internazionale un’apologia priva della minima sfumatura di dubbio o di incertezza.
2. Didattica a distanza e controllo sul mondo accademico
Nella cornice di una pandemia che facilita un controllo crescente sulle persone e le loro mobilità, si inserisce il progetto cinese di controllo sulle università e gli insegnamenti che si focalizzano sulla Cina e/o sono rivolti a studenti cinesi.
La didattica a distanza diventa prominente in questi tempi di emergenza sanitaria, portando cambiamenti epocali nel gigantesco business dell’educazione a livello globale che ha le università dei paesi di lingua inglese al centro, ma che coinvolge anche università che abbiano più semplicemente insegnamenti in lingua inglese nella loro offerta didattica.
Negli USA, gli studenti cinesi sono il maggior gruppo di studenti internazionali: ben 370.000 nell’anno accademico scorso, prima della pandemia. Nel 2018-19 erano 160.000 in Australia, 141.000 in Canada e 120.000 in Gran Bretagna. Gli studenti cinesi, dunque, rappresentano una parte cospicua del budget di molte università occidentali.
Quest’anno – complice non solo il virus ma la sinofobia che negli USA non si è attenuata e gli ostacoli politico-burocratici che in quel paese vengono posti a ricercatori (cinesi) che hanno scambi scientifici e tecnologici con la Cina – buona parte degli studenti cinesi iscritti ad università estere seguirà le lezioni dalla Cina, attraverso la didattica online.3
Ma la rete in Cina, è il caso di rammentarlo, è sottoposta a un rigoroso controllo governativo, che si è ulteriormente accentuato in seguito a una dettagliata Regolamentazione varata lo scorso anno. Il governo ha accesso a qualsiasi comunicazione in entrata e in uscita. Inoltre, con l’applicazione a Hong Kong della recente Legge per la Sicurezza Nazionale, un vastissimo ambito di tematiche e di opinioni è passibile di esser considerato una minaccia alla sicurezza dello Stato, con le conseguenze penali che ciò comporta. I reati in tal senso sono perseguibili anche se commessi fuori dei confini della RPC.
E’ in questo contesto che si inseriscono le recenti politiche cinesi di controllo della didattica online, offerta da università straniere agli studenti cinesi in Cina, che impongono materiali di studio ad hoc, compatibili con le restrizioni cinesi su internet. Le università del Regno Unito hanno accettato di sottostare alle regole imposte da Pechino, attivando un pesante auto-condizionamento sui temi e i contenuti della didattica online.4 Potenza del business! Quello stesso business che non molto tempo fa, nell’agosto 2017, aveva spinto la Cambridge University Press a censurare sulla propria rivista China Quarterly gli argomenti sgraditi al governo cinese – da Taiwan al Tibet a Tian’anmen agli Uiguri – nella versione online per la RPC.5
Le implicazioni di questa svolta sono epocali: siamo infatti entrati in una epoca in cui non esiste più un insegnamento accademico rivolto a tutti gli studenti (provenienti da famiglie benestanti), qualunque sia la loro provenienza geografica e qualunque sia il sistema di governo nel loro paese. Oggi, i materiali di studio, e di conseguenza gli insegnamenti, vengono differenziati: ognuno impara quello che il governo del paese da dove proviene ritiene accettabile.
Più in generale, chi insegna si trova oggi in una congiuntura storica in cui la didattica online ci proietta al di là dei confini degli scambi tra docenti e discenti per esporci in un pubblico Zoom mondiale, dove tutto quello che diciamo e che taciamo, come professori o come studenti, può diventare immediatamente pubblico. Nel contesto attuale, dove secondo alcuni la Cina sta sempre più attuando una ‘diplomazia coercitiva’, e dove prevale una guerra di propaganda sempre più feroce tra le due principali potenze mondiali, il libero scambio di idee può essere percepito – su entrambi i fronti – come sempre più pericoloso.
Per questo, negli USA, dove le tensioni tra superpotenze si sentono maggiormente, gli accademici i cui corsi sono focalizzati o contengono riferimenti alla Cina si chiedono se cambiare i contenuti dei loro corsi, e in alcuni casi allertano gli studenti cinesi includendo nei loro sillaba online avvisi che chiariscono che gli argomenti del corso possono essere considerati politicamente sensibili dalla stato cinese; che i loro elaborati e la loro partecipazione a discussioni possono di conseguenza esporli a rischi; e che la sorveglianza può venire anche dallo stato americano ‘e dai media in collusione con lo stato USA’.6
In questo quadro, quale potrà essere il futuro degli studi sulla Cina nel mondo?
NOTE
1 Michael Dunford, Bing Qi, “Global reset: COVID19, systemic rivalry and the global order”, Research in Globalization, 2020 (https://doi.org/10.1016/j.resglo.2020.10002).di
2 Richard McGregor, 2020, China’s Deep State: The Communist Party and the Coronavirus, Lowy Institute, https://www.lowyinstitute.org/publications/china-s-deep-state-communist-party-and-coronavirus)
3 “How Distance Learning Could Put Chinese Students at US Universities at Risk” August 21, 2020, by Andrew Breiner Library of Congress (https://blogs.loc.gov/kluge/2020/08/how-distance-learning-could-put-chinese-students-at-us-universities-at-risk/
4“Post-Pandemic, Will China Use Its Students as Bargaining Chips?” by Joyce Lau for Times Higher Education, June 26, 2020 )
5 Era così stato bloccato l’accesso a più di 300 articoli, poi ripristinato in seguito alle indignate proteste di studiosi e ricercatori di tutto il mondo. Non ha invece avuto ripensamenti l’editore Springer, che nel novembre dello stesso anno 2017 ha depurato la versione online per la Cina delle sue riviste di un migliaio di titoli su temi sensibili, dichiarando inevitabile “la necessità di adeguarsi alle norme di distribuzione locali”.
6“The Future of China Studies in the U.S.: A ChinaFile Conversation”, Rebecca E. Karl, August 27, 2020 https://www.chinafile.com/conversation/future-of-china-studies-us
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