Amnesty International: Appello a favore di Meriam Yehya Ibrahim che in Sudan rischia la fustigazione e di essere messa a morte
Diffondiamo l’Appello di Amnesty International del 16 maggio 2014 invitando le lettrici e lettori di www.inchiestaonline.it a firmare la petizione sul sito di Amnesty International a favore di Meriam Yehya Ibrahim (nella foto il giorno del suo matrimonio e suo figlio).
Meriam Yehya Ibrahim, donna sudanese di 27 anni, di fede cristiana e all’ottavo mese di gravidanza, è condannata a morte per apostasia e alle frustate per adulterio. È una prigioniera di coscienza ed è attualmente in carcere col suo primo figlio di 20 mesi. L’11 maggio 2014, un tribunale di Khartoum ha condannato a morte Meriam Yehya Ibrahim per apostasia e alle frustrate per adulterio.
Il tribunale aveva dato alla donna tre giorni per rinunciare alla sua fede, ma la donna si è rifiutata. Era stata arrestata e accusata di adulterio nell’agosto del 2013 dopo che un suo familiare avrebbe riferito che la donna stava commettendo adulterio perché aveva spostato un uomo di fede cristiana del Sud Sudan. Secondo la legge della Shari’a, così come applicata in Sudan, a una donna musulmana non è permesso sposare un uomo non musulmano e questo matrimonio è considerato adulterio. Il tribunale ha aggiunto l’accusa di apostasia nel febbraio del 2014, quando Meriam ha affermato di essere cristiana e non musulmana. Meriam sostiene di essere stata educata da cristiana ortodossa, la religione di sua madre, perché suo padre, un musulmano, era assente durante la sua infanzia.
Il codice penale sudanese prevede, all’articolo 146, un massimo di 100 frustate per adulterio; l’articolo 126 prevede la pena di morte qualora vi fosse il rifiuto di rinunciare alla fede cristiana. Considerare l’adulterio e l’apostasia come reati di natura penale non è conforme al diritto internazionale dei diritti umani, tra cui il Patto internazionale sui diritti civili e politici di cui il Sudan è parte. Inoltre, considerare l’adulterio un reato viola i diritti alla libertà di espressione e di associazione e discrimina sempre le donne nella sua applicazione. Parimenti, la criminalizzazione dell’apostasia è incompatibile con il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Meriam Ibrahim, pertanto, è una prigioniera di coscienza, condannata solo per la religione che ha scelto di professare e per la sua identità e deve essere rilasciata immediatamente e senza condizioni.
La pena alla fustigazione viola il divieto assoluto di tortura e altri maltrattamenti del diritto internazionale dei diritti umani. Amnesty International considera la pena di morte una punizione estrema, crudele, disumana e degradante e una violazione del diritto alla vita, e si oppone al suo ricorso in tutti i casi e senza eccezioni, a prescindere dalla natura del reato.
Il codice penale sudanese include formalmente la legge della Shari’a tra cui l’articolo 126, il quale stabilisce (comma 1) che “Chiunque diffonda la rinuncia all’Islam o vi rinuncia pubblicamente attraverso parole esplicite o un qualsiasi atto di segnale definitivo commette il reato di riddah (apostasia); (comma 2) “A chiunque commette apostasia viene chiesto di pentirsi entro un termine stabilito dal tribunale e, se ha insistito sulla sua apostasia e non era un nuovo convertito sarà punito con la morte”; (comma 3)” La punizione per apostasia decade se l’apostata ritratta prima dell’esecuzione”.
L’articolo 146 sulla pena per adulterio afferma (comma 1) “ Chiunque commette il reato di adulterio è punito con: (a) esecuzione tramite lapidazione [con pietre] quando l’autore del reato è sposato; (b) 100 frustate nel caso in cui l’autore del reato non è sposato
Non ci sono casi noti di persone messe a morte per apostasia in Sudan da quando è stato promulgato il codice penale del 1991; in diversi casi le accuse sono decadute o le sentenze sono state rovesciate dopo che i condannati avevano abiurato alla loro fede. Nel corso degli anni Amnesty international ha documentato molti cas di persone condannate alla fustigazione nel paese.
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