Alberto Negri: Gli attentati a Parigi. E’ l’inizio di una nuova strategia del Califfato?
Diffondiamo da www.ilcaffégeopolitico.org del 17 novembre 2015 l’intervista di Emiliano Battisti ad Alberto Negri, giornalista e scrittore de Il Sole 24 ore
D. Partiamo dalla tattica degli attentati di Parigi, riflettendo poi su tempistica e motivazioni (alla luce di alcune difficoltà attuali sul campo di battaglia) e sul messaggio che lo Stato Islamico intendeva inviare. Qual è la sua visione in merito?
Innanzitutto bisogna chiedersi se è una tattica o una strategia. Se parliamo di strategia, bisogna chiedersi se questo è l’inizio di una nuova fase del Califfato, volta a portare il conflitto dal mondo arabo-musulmano a quello occidentale. Questo è un punto fondamentale. Qual è il significato di tale attacco? Rivela l’apertura di un nuovo fronte, o è un segnale di difficoltà del Califfato? Sul campo l’ISIL sta perdendo il suo valore tattico e strategico: dopo l’accordo sul nucleare con l’Iran, il Califfato non è più quello strumento così utile per esercitare pressioni su Teheran. L’accordo è stato firmato, e prima o poi verrà implementato. Inoltre, l’ingresso della Russia sul quadrante ha sparigliato le carte, obbligando gli americani a muoversi davvero in questa lotta al Califfato, anche semplicemente per contrastare l’influenza di Mosca in Siria. A questo punto il Califfato cosa fa? Manda un messaggio a quei Paesi che in qualche modo in passato avevano combattuto “per finta”, a quegli stessi occidentali che avevano favorito il passaggio degli jihadisti attraverso la Turchia di Erdogan, e agevolato l’afflusso di finanziamenti e di armi attraverso le monarchie del Golfo. Bisogna dunque capire se questo attentato fa parte di una strategia di apertura di un nuovo fronte, oppure se quest’apertura invece di rivelare una forza mostri una nuova debolezza dell’ISIL.
D. Quali reazioni vede possibili ora? Quali attori vanno osservati con maggiore attenzione?
Ci sono delle azioni ovvie, che sono quelle di prevenzione interna e di contrasto del terrorismo. Queste sono evidenti e riguardano tutti i Paesi europei. Sarebbe il caso che i Paesi europei si coordinassero da questo punto di vista, perché neanche i belgi e i francesi si sono coordinati tra loro. Poi c’è l’aspetto esterno. I francesi hanno replicato bombardando Raqqa. Ora bisogna vedere se dopo il G20 i due attori principali della scena internazionale, Stati Uniti e Russia, troveranno un accordo che porti da una parte a un’azione militare contro il Califfato, e dall’altra ad una azione diplomatica per convincere gli altri due protagonisti principali della regione, i sauditi e gli iraniani, a raggiungere un accordo sul futuro della Siria.
Questi fatti si sono verificati quando stava per arrivare il Presidente Rohani a Roma e a Parigi. È una coincidenza, certo, ma a volte le coincidenze in Medio Oriente non sono così casuali. Il G20 è un vertice che viene convocato per discutere di temi economici, ma è diventato un vertice antiterrorismo dopo i fatti di Parigi. È stata un’occasione per la riapertura di un dialogo diretto tra Putin e Obama; questo è stato il risultato fondamentale di quanto accaduto, che può far ripartire le cose dal punto di vista diplomatico e militare.
D. Certo il tutto rimane complicato, soprattutto se chi sostiene il Califfato è in realtà un nostro alleato…
Ho infatti una cosa da aggiungere al mio post che avete ripreso nel vostro editoriale. Dobbiamo anche rivedere quelli che sono i nostri rapporti e le relazioni con quella parte del mondo musulmano a cui l’Occidente è fortemente legato da interessi militari ed economici. In particolare, dobbiamo capire che cosa vogliamo. C’è sicuramente un rapporto da sciogliere con la monarchia saudita, che è quella che nel 1945 firmò l’accordo con gli Usa per la protezione in cambio del petrolio, e quell’accordo è rimasto per tanto tempo. Questa monarchia, in accordo spesso con gli Stati Uniti e i Paesi occidentali, ha in qualche modo fomentato la diffusione nel mondo musulmano di un messaggio arretrato, retrogrado, persecutore, destinato soprattutto a mantenere i guai lontani da casa propria. La monarchia saudita, così come le altre attorno, è familiare, priva di qualunque democrazia, e appoggia i movimenti radicali per tenerli, per l’appunto, fuori da casa propria. Sciogliere questo nodo così intricato è estremamente difficile, alla luce di tutti gli interessi economici e finanziari che ci sono con l’occidente. Per poterlo sciogliere bisognerà rinunciare a qualcosa, anche dal punto di vista economico. Siamo disposti a farlo? C’è un prezzo per tutto, anche per avere una politica migliore.
D. Una delle reazioni di pancia sentite maggiormente è stata “basta migranti, basta rifugiati, basta tentativi di integrazione, tutti a casa”. Cosa dire davanti a queste osservazioni?
La risposta è molto complessa. Vi sono almeno tre ordini di problemi.
Il primo è che alcuni Paesi devono affrontare il tema della marginalizzazione di vaste fasce sociali di origini musulmane, a Parigi, a Londra, a Bruxelles e in vari altri Paesi europei. Come e con quali mezzi affrontare questa marginalizzazione? Come controllare che i messaggi radicali non facciano proseliti, come venire incontro al disagio sociale, ma anche individuale (se andiamo a vedere, molti protagonisti di questi episodi erano in conflitto prima di tutto con la loro famiglia)?
C’è la necessità di affrontare un disagio. È un problema profondo, che investe poi le politiche diverse tra di loro di integrazione o assimilazione degli immigrati. Quanto alle reazioni che avvengono “dall’altra parte”, esse denotano il fatto che si voglia dividere il campo sociale, tra “noi” e “loro”. Questa è una cosa da evitare. Quando si comincia a dire “noi e loro”, vuol dire che si pone l’accento sulle differenze e non sul terreno comune. Bisogna lavorare su tale aspetto, sul disagio di alcune fasce giovanili, e su quello di chi si ritiene superiore, perché anche pensarsi superiori o in qualche modo migliori degli altri è una forma di disagio.
Vi è poi un terzo aspetto, che è quello di cercare di capire come affrontare in profondità i problemi che possono minacciare le società multiculturali. Occorre un discorso molto più profondo e allargato, volto a cercare di capire cosa genera tutto questo, che sostanzialmente proviene da un senso di ingiustizia sociale molto diffuso, e da una opinione negativa nei confronti di quello che è l’ordine mondiale.
Non c’è dubbio che l’Islam radicale abbia occupato uno spazio politico, lasciato vuoto in primo luogo dall’Islam meno radicale: pensiamo soltanto al fallimento dei Fratelli Musulmani in Egitto. Il fallimento di esperimenti di Islam moderato o di democrazia islamica hanno aperto spazi ancora maggiori al messaggio radicale. Questo deve farci riflettere molto su quello che abbiamo intono a noi, su quelle che sono le problematiche politiche sorte negli ultimi anni, e come queste siano andate ad intercettare il disagio sociale giovanile anche in Europa.
Questi diversi ordini di problemi da affrontare sono diventati dei vasi comunicanti tra la società europea occidentale e quella araba musulmana. Potevamo noi rimanere al balcone a vedere le guerre senza che accadesse nulla? L’arrivo di centinaia di migliaia di profughi era già un segnale che doveva metterci in allerta, e che ci doveva far pensare non che tra i profughi ci fossero terroristi (tutto può esserci ovviamente in masse molto vaste), ma che queste persone fuggivano da situazioni di guerre e di disagio profondo, là dove non era più possibile vivere.
Category: Culture e Religioni, Osservatorio internazionale