Aldo Ridolfi: Una memoria che non si dissolve: Ettore Castiglioni

| 19 Settembre 2022 | Comments (0)

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Una memoria che non si dissolve: Ettore Castiglioni

Ettore Castiglioni, di famiglia milanese, nasce nel 1908, si laurea in giurisprudenza, è redattore e autore di guide alpine per il CAI-TCI. Grande arrampicatore, apre più di duecento nuove vie. Vive spesso a Tregnago (VR) dove la famiglia possiede villa Adelia. Durante la guerra accompagna clandestinamente antifascisti in Svizzera attraverso le Alpi. Per questo è riconosciuto come “Giusto dell’Umanità”. Muore in una tormenta di neve nel 1944. Riposa nel cimitero della “sua” Tregnago.

Usciamo di buon mattino dall’albergo e guardiamo verso l’ampia testata della Valmalenco, in provincia di Sondrio. La pioggia notturna ha lasciato spazio ad un ampio rasserenamento ma anche ad un vento insistente, fastidioso. Intendiamo salire al Passo del Forno che mette in comunicazione l’Italia con la Svizzera. Da lì passa il confine di stato. Dall’altro versante Maloja, un valico e un villaggio. La geografia politica è una convenzione ma l’orografia, la geografia fisica sono un continuum senza pause, senza iati.

Guardiamo in alto, alla ricerca di un punto che è insieme topografia e storia, senso della vita e senso del “politico”, spiritualità e fisicità unite indissolubilmente. A compiere questa sintesi meravigliosa tra spirito e materia è un uomo, Ettore Castiglioni, nato nel 1908, «laureato in legge, perfetta conoscenza di quattro lingue, impareggiabile compilatore di guide alpine, medaglia d’oro al valore atletico»: così il suo amico Carlo Negri, vicequestore di Sondrio. Castiglioni era genio che poteva passare dall’arrampicata più impegnativa all’esecuzione di Debussy al pianoforte, dal confronto feroce con le grandinate in parete alla lettura delle poesie di Rilke i cui versi egli definiva «ritmati e melodiosi».

Siamo qui perché Ettore Castiglioni è sepolto a Tregnago, il nostro comune di residenza, in Valle d’Illasi, ai piedi dei Monti Lessini, nel Veronese. E perché la locale sede del CAI è dedicata a lui. E perché conosciamo la sua vita e un poco anche la sua anima. E soprattutto perché ci piace intrecciare fili con il passato, rimanere in collegamento con una dimensione ineludibile del vivere e dunque, in qualche maniera, far ritornare alla vita chi sembra essere scomparso. Sono un po’ i nostri discorsi mentre partiamo da Chiareggio. E saliamo, attraversando rade abetaie, verso i 2000 metri di Vezzeda: quattro malghe abbandonate, diroccate, testimoni silenziose di un mondo perduto. Tra le montagne Ettore era solito inveire contro il duce. Lo racconta il nipote Saverio Tutino:  «Lo vedevo riempirsi d’aria i polmoni e poi lanciare il grido: “Abbasso il duce!”» Forse lo avrà fatto anche tra queste rocce, tra questi dirupi e forse, nel silenzio assoluto di queste plaghe, se si ascolta con cura, si può sentirne ancora l’eco lontana.

Ad un certo punto l’erta per il Forno diventa impegnativa. Servono gambe buone ed energie fresche per salirci. Castiglioni le aveva. Nel ’44 quando incrociava su questi sentieri diretto a Maloja in Svizzera egli aveva 36 anni, era nel pieno della sua forza fisica e mentale. Conosceva la montagna, sapeva sciare da maestro, aveva missioni importatissime da compiere. Era perfettamente padrone di sé.

Dopo quattro ore di marcia ecco il “pertugio” che segna il passo. Ci affacciamo curiosi: una sassaia immane connota il versante svizzero. Un irriconoscibile sentiero vi è tracciato. Ci piacerebbe percorrerlo, ma sarà per un’altra volta. Immaginiamo che possa esserci un’altra volta.

Anche Ettore Castiglioni lo immaginava, anzi ne era sicuro, quando nel mese di marzo del 1944, per ragioni mai chiarite, superava il confine al vicino Passo del Muretto munito di un passaporto che non era il suo. Scrive Marco Albino Ferrari:  «Non possiamo sapere il motivo che lo spinse a recarsi in Svizzera per quel suo ultimo viaggio. Non ci sono né testimonianze, né documenti in grado di darci una risposta certa.» L’anno prima Ettore aveva lavorato instancabilmente al Berio, in Valle d’Aosta, per aiutare ebrei e antifascisti a fuggire in Svizzera. Ora, qui in Alta Engadina, continuava nel ruolo che si era scelto: contrastare il nazifascismo. La sera dell’11 marzo 1944 scendeva al paesetto di Maloja e si recava in un ristorante. Era sospettoso. Aveva  buoni motivi per esserlo. Tradimenti e denuncie non si contavano in quei giorni. La sua attività clandestina era certo nota alla polizia.

Infatti arrivarono le guardie, forse su suggerimento dell’oste. Venne arrestato e chiuso in una stanza dell’albergo Longhin, privato di pantaloni e scarponi. Ma durante la notte fuggì e si avviò lungo la valle del Forno: era un gesto temerario, ma Castiglioni sentiva dentro di sé una grande forza e insopportabile gli era la perdita della libertà, la chiusura in una camera di albergo in attesa delle mura di una prigione svizzera, per la seconda volta. Durante la salita venne sorpreso da una tormenta, raggiunse comunque il passo del Forno, lì dove siamo noi. Lo racconta il fedelissimo Carlo Negri: «Sotto pochi metri del versante italiano… l’inclemenza del tempo ebbe ragione della sua pur forte fibra e colà rimase impietrito sotto la neve che incessantemente cadeva.»

Lo rinvennero dopo tre mesi.

Ma Ettore Castiglioni lo possiamo incontrare in ogni momento, spegnendo la televisione – come suggeriva Italo Calvino in Una notte d’inverno – e leggendo i suoi diari pubblicati nel 1993  dalle edizioni Vivalda: Il giorno delle Mésules, a cura di Marco Ferrari.

Rimaniamo a lungo al passo. Ufficialmente per cercare un chiodo da arrampicata fissato sul roccione sotto il quale Ettore era morto. Fatichiamo a staccarci. Forse però la difficoltà di riprendere il sentiero per Chiareggio non è dovuta al mancato ritrovamento del chiodo che segna il punto esatto che fu fatale ad Ettore, ma a qualcos’altro, ad una emozione sottile, ad una speranza impossibile, ad un incontro che può essere solo spirituale…

Alla fine riprendiamo il sentiero. Scendere non è, però, un ritornare sui nostri passi, è se mai un passo avanti verso una mai definitiva comprensione del mondo.

A Chiareggio il Màllero scorre con il suo mormorio sempre uguale, incessante, in certi momenti persino ossessivo: impossibile trovare risposte in quel gorgoglio, né attorno alla terribile siccità di questa estate, né attorno ai destini degli umani.

 

 

 

Category: Osservatorio comunità montane

About Aldo Ridolfi: Aldo Ridolfi è nato e vive a Tregnago. Laureatosi in pedagogia ha esercitato la professione di insegnante effettuando con i suoi alunni numerose ricerche di carattere ambientale relative al proprio territorio. Ha prodotto diversi studi storico-geografici, tutti pubblicati su riviste locali; ha collaborato alla realizzazione di film e documentari, sempre di carattere locale; dal 2003 al 2008 è stato responsabile della Redazione della rivista Cimbri/Tzimbar. Ha collaborato a vario titolo alla realizzazione di libri e suoi racconti sono presenti su diverse antologie di premi letterari. Fa parte del GISM: Gruppo Italiano Scrittori di Montagna.

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