Danilo Masotti: Freak Antoni, un artista totale (intervista di Vittorio Capecchi, 12 febbraio 2014)
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Per ricordare a dieci anni dalla morte Roberto Freak Antoni ripubblichiamo questa intervista fatta a Danilo Masotti da Vittorio Capecchi e apparsa su Inchiestaonline il 12 febbraio 2014
D. Per me Freak Antoni è legato al 1977 a Bologna insieme a Radio Alice, il Pavese, i fumetti di Andrea Pazienza. Quell’anno a Bologna l’uccisione di Lorusso (avvenuta vicinissimo a dove insegnavo) segnò uno spartiacque politico e culturale profondo. Il mio amico Roberto Roversi si chiedeva nel 1977 in una sua poesia “A che punto è la città?” e di Bologna, dopo le reazioni scomposte del PCI e della giunta alla uccisione di Lorusso e alle “vetrine rotte”, scrisse su Inchiesta che vedeva nella sua Bologna diversa una crisi irreversibile con l’emergere della generazione dei neo burocrati per cui, concludeva, “la stagione d’oro di Bologna si è consumata”. La parte creativa che cercò di continuare quella stagione d’oro, quella Bologna diversa, ha per me i nomi di chi scrisse “Il cerchio di gesso”; ha i disegni di Andrea Pazienza, di Magnus, di Igort; ha le musiche di Freak Antoni. Tu che hai esattamente trenta anni meno di me quando hai incontrato Freak Antoni? E in quale spazio politico culturale lo collochi?
R. Freak lo colloco nel settantasette bolognese dei carri armati in Via Zamboni, delle radio libere nell’era dell’ostentazione delle “pere”, ma anche nei primi anni ottanta, nell’epopea di “Bologna sogna”e Il gran pavese. Anni interessanti. Per motivi anagrafici, Freak l’ho conosciuto da “sbarbo” verso la fine degli anni novanta. All’epoca ero il cantante dei New Hyronja, una band erroneamente definita di “rock demenziale”. Inutile dire che ero un suo fan. Diciamo che è proprio grazie agli Skiantos che ho preso il coraggio di formare un gruppo insieme ad una ghenga di incompetenti. Ci siamo conosciuti in una delle tante occasioni di condivisione del palco, ma è dal 2007 che abbiamo iniziato a collaborare estemporaneamente in solitaria per una serie di progetti fallimentari. Bellissimo!
D. Gli aforismi di Freak Antoni hanno accompagnato la mia vita. Da “La fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo” a “mangiate merda, un miliardo di mosche non si può sbagliare”. Tu che l’hai conosciuto come era nella vita privata? Quali regole si dava per rimanere così creativo?
R. Freak era un grande ritardatario, ma di quelli sfigati, di quelli che si colpevolizzavano. Quando ci si doveva incontrare sia per organizzare qualcosa o per trovarci in un luogo dove tutto era già organizzato, lui c’era sempre, però arrivava tardissimo e si scusava. Non mi sembra avesse regole particolari per essere “creativo”, lo era e basta. Una testa che frullava, frullava, frullava, che appuntava pensieri su fogli sparsi e apparentemente sconclusionati. O forse no. L’estate scorsa mi telefonò chiedendomi consigli per l’acquisto di un computer. Il grande passo. Mesi dopo mi comunicò il suo indirizzo di posta elettronica che usava pochissimo. Con lui era meglio telefonarci o vederci di persona. Si faceva prima, ritardi compresi.
D. Sul piano musicale come collochi il suo rock demenziale e l’esperienza degli Skiantos che ho sentito suonare e di cui ho ricordi molto belli? Come valuti le sue diverse esperienze musicali di questo ultimo ventennio?
R. Gli Skiantos sono il primo vero gruppo punk italiano “seminale”, sono un fondamentale per capire tante sonorità italiche che sono nate dopo di loro. Ho sempre apprezzato le diverse esperienze musicali di Freak, ma non l’ho mai considerato solo un musicista. Sarebbe stato riduttivo. Adoravo le performance di Freak con Alessandra Mostacci, pianista e sua compagna nella vita. Di recente mi ero innamorato del disco DINAMISMI PLASTICI registrato con la Freak Antoni Band e adoravo l’ultimo lavoro degli Skiantos dal titolo DIO CI DEVE DELLE SPIEGAZIONI, testamento della poetica di Freak che raggiunge l’apoteosi nel brano “Una vita spesa a stiva la fresa”, mantra fondamentale per gli uomini (e le donne) di buona volontà. Astenersi perditempo e PIL addicted. Ho avuto la fortuna di duettare con lui cantando insieme “laiv” IO SONO UNO SKIANTO e la canzone d’amore PERO’ QUASI, amata anche da Luca Carboni che nel CD di Freak Antoni & Ale Mostacci, pubblicato da CNI duetta con Freak intonando “Baciami, fammi passeggiare sulla porcellana dei tuoi denti…”. Poesia pura.
D. Che progetti aveva come artista e come musicista che avrebbe voluto realizzare e che questa morte ha interrotto?
Freak e Alessandra organizzavano tanti concerti e proprio in questi giorni stava uscendo la ristampa di DINAMISMI PLASTICI. Sulla pagina facebook di Freak e di Alessandra si poteva notare l’attività incessante e sono sicuro che ci fossero molti progetti in corso, buttati lì, su fogli scarabocchiati e sparsi qua e là nel cervello di quest’uomo geniale. Qualche settimana fa gli avevo chiesto di scrivere la prefazione del mio nuovo romanzo Chichén Itzá, ovviamente senza leggere e non sapere niente degli argomenti trattati. Me l’avrebbe consegnata in ritardo.
D. Quale eredità lascia?
Freak lascia musica, parole e opere a trecentosessanta gradi da archiviare, organizzare, recuperare e mostrare alle generazioni future che (forse) capiranno. Un artista totale, non particolarmente valorizzato in vita, una storia di insuccesso di successo troppo avanti per essere capita dalla mediocrità contemporanea troppo concentrata. “Una vita spesa a skivar la fresa”, altro che aumentare il PIL.
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