Paul Walden: Cile, stiamo vivendo una rivoluzione?
Paul Walden ricostruisce le ragioni della rivolta popolare con al centro il movimento studentesco che si ribella in Cile alla concentrazione neoliberistica politico industriale.
Quasi tre mesi fa una crepa attraversò tutta la società cilena, una frattura che ha compromesso i suoi vari strati. Da quel momento, in una notte della terza settimana di maggio del 2011, il Paese prese una svolta radicale. Quel modello strano che combina le presuntuose statistiche macroeconomiche con uno dei più alti tassi di disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza nel mondo, crolla per lasciare in una nudità impudica tutti i tipi di cicatrici, ferite e arti scomposti. Il modello neoliberista installato in Cile dalla fine della dittatura e alimentato e gonfiato dalla Coalizione per oltre vent’anni, finalmente in mezzo al rituale di sacralizzazione della destra come destinazione finale della politica, esibì tutta la sua malattia. La costruzione retorica basata sulla pubblicità e consumo di massa si sono capovolti dalla mattina alla sera. Un malessere cittadino cantato per le strade e in tutti gli angoli e le pieghe oscure dimenticate del sistema, ha rivelato le vere conseguenze del libero mercato non regolamentato. Centinaia di migliaia di cittadini hanno espresso i sentimenti di milioni di persone.
La retorica contro le statistiche. La pubblicità contro la realtà. Il Paese messo in rilievo come l’ “esempio” Latino Americano del neoliberismo think tank, le agenzie pubblicitarie, le imprese di investimento e le organizzazioni finanziarie internazionali, si nascose dietro la macroeconomia e i valori del mercato azionario, le statistiche della paura. In un paese dove il 10 per cento della popolazione ha assorbito quasi la metà della ricchezza, non era difficile prevedere che, ad un certo punto, l’altro 90 per cento avrebbe esatto la sua parte.
In tre mesi il discorso dominante circola solo tra i controllanti: il governo, i partiti, le cupole d’affari, amplificate dai media affini. Sulla strada, nelle reti sociali si discute l’ovvio, i problemi dei cittadini, oggi canalizzati come domande giuste e naturali. Che il 90 per cento della popolazione (ammettiamo che sia il 74 per cento, secondo quanto certificato dal sondaggio del Centro per gli Studi Pubblici, CEP) sa con certezza che negli ultimi venti o trenta anni è stato il cibo d’ingrasso per l’altro dieci per cento. Le statistiche utilizzate per molti anni come sonaglio politico ed economico per cittadini indottrinati nella cultura del consumo e del credito vengono finalmente capovolte. Le stesse statistiche che hanno debellato la oscenità e perversità istituzionale su cui è stato sostenuto il modello.
Non siamo un caso isolato. Il modello globale esplode in diversi angoli e frontiere. Quella frattura abissale attraversa Londra, Barcellona, Il Cairo, Damasco, Atene e Santiago … come risposta di umanità a uno sventurato progetto di azienda globale. Nonostante la loro diversa soggettività, tutti i movimenti di protesta hanno un fattore comune, che è l’abuso, l’oppressione e l’ineguaglianza.
Il nemico comune
La soggettività punta a un nemico comune: il patto politico-impresariale come responsabile dell’oppressione e dell’ineguaglianza. E se c’è un filo comune tra Madrid, Londra e Santiago, in Cile c’è anche tra Santiago e le province e tra esigenze apparentemente diverse. Se ci fosse un rapporto invisibile ma forte, tra le proteste di maggio per l’approvazione del progetto HidroAysén e il movimento studentesco, è molto probabile che si generino nuovi rapporti tra le richieste del popolo mapuche e i mutuatari truffati da banche e case commerciali. In tutti questi casi, il potere delle grandi imprese appare come la grande causa di afflizione. La concentrazione del potere in Cile, che ha raggiunto livelli di spudoratezza, trova qui le sue risposte. Le dodici ore di lavoro sottopagato, l’abuso contro le comunità tradizionali e l’avidità in tutte le sue espressioni avevano come obiettivo quello di arricchire il dieci per cento della popolazione. Quello che vediamo oggi è la risposta naturale del restante 90 per cento, intesa come una richiesta giusta d’indennizzo.
Il movimento studentesco ha iniziato nel mese di giugno a canalizzare la domanda settoriale, non ottenendo una risposta soddisfacente. Di fronte a un governo ideologicamente cristallizzato e attraversato da conflitti di interesse, e che ha potuto dare solo risposte tiepide, il movimento studentesco è diventato un simbolo della resistenza al modello neoliberista. Contrariamente a quanto sostenuto dal governo, le proteste limitate alle esigenze di formazione sono state estese ad altri molteplici settori sui quali converge il malcontento della popolazione. Se noi condanniamo il profitto nel campo dell’istruzione, perché non farlo nel campo della salute, dei farmaci, delle banche, dei mezzi di comunicazione, dei trasporti pubblici o della stessa politica?
Durante questi tre mesi, il Cile ha subito un processo di organizzazione cittadina. La società civile, atomizzata per decenni, ha iniziato a recuperare legami sociali e a creare rapporti organici. L’irrompere delle pentole, l’espressione più intima e domestica di disagio, ha permesso ai residenti anonimi dei quartieri di recuperare la propria identità e diventare soggetti collettivi. L’organizzazione avanza di giorno in giorno, minuto per minuto in quartieri, uffici, fabbriche e di certo scuole e università. Le molteplici richieste condivise dai cittadini hanno come asse comune il profitto in tutti gli aspetti della vita sociale ed economica.
Trasversalità del disagio
Si tratta di un movimento trasversale. Anche se il governo non è in grado di ascoltare né le padelle né i clacson, l’ampio supporto pubblico attraversa i quartieri del 90 per cento della popolazione, non favorita dal modello di mercato. I clacson emergono dai bus Transantiago, taxi, camion e anche costosi veicoli 4×4, le padelle possono essere ascoltate in Recoleta, Santiago Centro, La Florida, Ñuñoa o La Reina. È il sostegno trasversale alla causa degli studenti per un’istruzione pubblica, gratuita e di qualità, ma anche il risveglio della popolazione contro gli effetti di un sistema percepito come ingiusto. Presto questo movimento tenderà ad espandersi e organizzarsi, per articolare nuove esigenze. Perché insieme a quelle già presenti, ci sono molte altre latenti.
La crisi globale dei mercati finanziari dell’inizio del mese di agosto anticipano una nuova recessione. Se nei mesi di luglio i fondi pensione dei lavoratori cileni è sceso al 2,2 per cento, le informazioni di agosto prevedono riduzioni più pronunciate, che scuotono la pazienza dei lavoratori. Già nel 2008, dopo la crisi dei subprimes, i pensionati futuri avevano perso gran parte dei loro risparmi, che erano da poco stati recuperati. Il crollo della borsa del mese di agosto e le previsioni cupe per i prossimi mesi, torneranno a collocare i lavoratori come agenti di mobilitazione.
Le crisi economiche, che in altri tempi sono state minimizzate da parte dei governi di turno (“Il Cile è blindato”), sono attualmente utilizzate in senso inverso. Si può sentire un cambiamento nel discorso ufficiale in quanto il Paese è vulnerabile alla crisi attuale, che è un nuovo e ulteriore deterrente alle richieste dei cittadini. In ogni caso, una recessione che rallenta la crescita e genera disoccupazione potrebbe solo aumentare il malessere attuale. Il caso degli indignati spagnoli è un esempio immediato. Le proteste esprimono molteplici malesseri: un’economia con alta disoccupazione, perdita di potere d’acquisto, tagli alle prestazioni sociali, insieme con un aumento evidente della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza.
Verso lo sciopero nazionale
Lo sciopero convocato dalla CUT il 24 e 25 agosto, che coinvolgerà gli studenti, sarà l’espressione di come le diverse esigenze dei cittadini emergono come effetti del modello di libero mercato. Un flusso sociale di questa natura, che non punta alla fine dell’attuale governo di destra, ma ad un cambiamento più profondo nelle istituzioni politiche ed economiche porterà le richieste ad un nuovo livello. Ciò che gli studenti hanno già sollevato, dalla ri-nazionalizzazione del rame per indirizzare le risorse all’educazione, alla richiesta di un referendum nazionale per eliminare i profitti nel settore dell’istruzione e garantire la gratuità da parte dallo Stato, sono esigenze più profonde condivise da altri attori sociali e dalle organizzazioni del lavoro a quelle politiche , dal collettivo ai coordinatori e fronti sociali.
Il governo di destra è pietrificato di fronte alla crescente domanda cittadina. Così come tutta la classe politica, creata e sviluppata per l’usufrutto del modello neoliberista. Così per tre mesi non ci sono state risposte solide e affidabili per gli studenti. Le proposte architettate dall’esecutivo sono delimitate al quadro istituzionale attuale, che è la pietra angolare delle relazioni di mercato. Le richieste dei giovani, disprezzate dall’establishment in quanto “utopiche”, “liriche” o “massimaliste” non sono compatibili con una classe politica i cui interessi si trovano nel settore privato che ha beneficiato dell’attuale quadro istituzionale. È per questo che tutte le risposte del governo ed il Congresso puntano alla confusione e all’ambiguità, allo stesso modo di quello percepito dai “pinguini” nel 2006. Si fa rumore politico per sostenere l’essenziale. Nuovamente la politica del Gattopardo.
Se il governo ed i politici dicono che non possono accogliere le richieste dei cittadini perché bloccati dal quadro istituzionale, il coro si sente per le strade, è un cambiamento di questo quadro istituzionale che mette come prima cosa la costituzione dittatoriale neoliberista del 1980 rammendata dal governo di Ricardo Lagos, e la necessità di una Assemblea Costituente. Chiedendo i cittadini cambiamenti istituzionali si può parlare di un cambio di regime, una rivoluzione. Il Cile non ha vissuto questo tipo di manifestazioni da più di venti anni. Quelle d’allora finirono con la dittatura e inaugurarono il processo chiamato “transizione alla democrazia”, fase che sembrava avere un finale definitivo con il ritorno della destra al governo attraverso le elezioni e il consolidamento delle istituzioni ereditate dalla dittatura.
La forza degli eventi in corso ha invertito una tale diagnosi. L’arrivo della destra al governo era l’effetto collaterale della disperazione cittadina di fronte ad una coalizione incapace di soddisfare le richieste accumulate dall’inizio della dittatura. Con l’arrivo della destra al potere sono state aggravate tutte le grandi contraddizioni della falsa Costituzione spuria espressa nel sistema binominale ed il modello neoliberista. Il malessere nazionale non si ferma con il rifiuto di questa o quella coalizione politica: impugna l’essenza.
Di fronte a una pressione sociale in pieno fervore e vicino al suo scoppio, le uniche uscite sono il cambiamento istituzionale.
Questo testo è stato pubblicato su “Stop”, Edizione n ° 740, 19 agosto 2011.
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La traduzione è stata fatta da Pamela Sasso.
Category: Movimenti, Osservatorio America Latina