Ilenia Caleo e Andrea Gropplero di Troppenburg: L’occupazione del Teatro valle a Roma. La cultura è un bene comune
L’occupazione del teatro Valle a Roma è terminata nella notte tra il 10 e l’11 agosto 2014 dopo oltre tre anni di occupazione . Pubblichiamo questo testo scritto nel maggio del 2012 da Ilenia Caleo e Andrea Gropplero di Troppenburg in piena occupazione e ancora con tante speranze con il titolo “Istituzioni dell’imprudenza” perché porta a riflettere sulla cultura in una fase in cui anche come Fiom si riprende a parlare di 150 ore.
Il 14 Giugno 2011, noi lavoratrici e lavoratori dello spettacolo abbiamo occupato il teatro Valle.
Con la radicalità di questa azione abbiamo voluto affermare l’urgenza di portare la cultura nella sua accezione più ampia tra i beni primari, come l’aria, come l’acqua, come la giustizia sociale. In questi 11 mesi di occupazione il virus dell’insurrezione culturale si è diffuso nel paese.
Sono molte le realtà della conoscenza italiane che hanno deciso di condividere il percorso di lotta per la cultura bene comune. E’ tempo di capire e moltiplicare il significato profondo dell’insurrezione culturale per i beni comuni.
La nuova frontiera dei beni comuni è l’orizzonte della lotta dura e radicale, che le comunità e i cittadini auto organizzati dal basso, vedono come unica possibilità di liberazione da una politica succube della finanza e delle scelte di BCE, Fondo Monetario e Commissione Europea
Ci organizziamo dal basso perché non ci riconosciamo in quella sinistra prudente che condivide molte responsabilità del depotenziamento della democrazia nel paese, dove le modifiche costituzionali vengono dettate dal desiderio di compiacere la finanza casinò.
Il bene comune non va confuso con il bene pubblico in quanto è il processo di lotta, di insurrezione della cittadinanza che vuole sottrarre dalla dicotomia pubblico/privato, un bene che ritiene primario. E’ per questo che il Valle e la Valle di Susa parlano la stessa lingua.
In questi 11 mesi di occupazione, abbiamo scelto di alzare il cielo della politica nell’immaginare un sistema culturale nuovo, che assomigli alle donne ed agli uomini di questo nostro paese.
L’Italia detiene gran parte del patrimonio culturale dell’umanità e nonostante questo la cultura e la ricerca non vengono considerate come un’industria, ma come un peso inaccettabile ed i 500.000 lavoratori di questo settore, come non lavoratori, come parassiti, come gente da espellere da qualunque processo produttivo.
Noi pensiamo che Marchionne sia un peso inaccettabile per il paese e che in Italia non esista una industria culturale e che la forma reale, politica, della cultura, assomigli a un latifondo in cui due soggetti, operano grandi enclosures, e piccoli soggetti a loro connessi ne operano altre. La nostra è una società barocca, in cui l’eccezione, spesso negativa, diviene regola. Pensiamo un Paese in cui la cultura sia il principale motore di un’economia che vuole uscire dalla crisi e che i lavoratori, tutti i lavoratori sono una grande risorsa e non un peso. Pensiamo inoltre che nel tempo che gli economisti definiscono come “Economia dell’attenzione”, cioè quel processo per cui chiunque venga espulso dal processo lavorativo, dalle logiche del salario e del reddito, cercando lavoro in rete ( google, e qualunque altro motore di ricerca), si troverà a fianco ai risultati, spesso vani, della sua ricerca, una serie di offerte di vario tipo ( corsi di formazione, attrezzi, e quant’altro), proiettandolo a pieno titolo, dentro un meccanismo di accumulazione primaria, in cui le grandi enclosures della rete guadagnano miliardi mentre il lavoratore disoccupato resta senza reddito, senza salario, senza diritti.
Abbiamo deciso di bloccare gli orologi del neoliberismo che ci rubano il tempo della vita consegnandoci a un futuro di precarietà, di intermittenza senza garanzia di salario nei tempi di riposo, di maternità, di malattia, di disoccupazione, vogliamo riprenderci e riconoscere nella ricerca anche il tempo dell’ errore.
Vogliamo che ci sia riconosciuta la dignità di lavoratori e così come gli operai occupano le fabbriche, noi oggi occupiamo i teatri, i cinema e domani i musei, i monumenti, gli scavi archeologici, i set dei reality dove si consuma l’esangue racconto della realtà del neoliberismo.
Per trent’anni il racconto del neoliberismo ci ha resi soli, con il miraggio di una ricchezza che poteva arrivare solo passando con i piedi sulla testa del nostro vicino, che chiunque poteva essere scelto in un programma televisivo e con questo cambiare la propria esistenza, che chiunque poteva andare in parlamento se si fosse reso o resa disponibile…
Le loro finanziarie di crisi raccontano solo la loro debolezza e la fine della narrazione neoliberista. Non pagheremo il prezzo di questa crisi che hanno cesellato sulle nostre pelli. Ci batteremo fino all’ultimo respiro contro queste finanziarie che investono oltre 15 miliardi in cacciabombardieri e tagliano gli ammortizzatori sociali, i diritti dei lavoratori, la sanità, la scuola, la ricerca e la cultura. ci battiamo per il diritto all’insolvenza individuale e del paese e per il reddito di cittadinanza.
Oggi è necessario occupare il più antico teatro di Roma per salvarne la storia e restituirlo alla cittadinanza come bene comune. Mentre la legge, come nel caso delle ultime manovre finanziarie è dettata dai mercati si afferma la distanza tra ciò che è formalmente legale e ciò che è legittimo. Occupando il Valle ci siamo assunti le responsabilità necessarie per riaffermare la centralità dei diritti.
la rivoluzione è un fatto di linguaggio.
Occupando il Valle non abbiamo cercato una via d’uscita facile, sulla quale nei primi due mesi ci siamo interrogati,sarebbe stato semplice. uscire di lì da eroi, conquistando semplicemente un plauso da quelle istituzioni che non rappresentano più la moltitudine e della stampa che ne è l’espressione. Potevamo certo, mettere qualche punto sostanziale e formale sulla gestione dei teatri, invece abbiamo scelto di restare lì, di continuare ad occupare, di cercare di trasformare quel luogo in una istituzione della lotta, in una istituzione dell’imprudenza, forse nella prima istituzione del comune in Europa. Abbiamo spostato la questione, dalla semplice gestione di un teatro importante, alla trasformazione del più antico teatro di Roma in un laboratorio, in una sorta di piccola costituente della democrazia che vorremmo nel nostro paese. In pochi mesi abbiamo fatto passi da gigante: uno statuto partecipato in rete in cui chiunque può apportare le modifiche, sempre vagliate dall’assemblea. Un principio: l’assemblea è sovrana secondo la regola di una testa, un voto, indipendentemente da quanti soldi quella testa ha versato.
Per noi questo è un punto fermo della lotta: liberare la cultura dallo spoiling sistem della politica; liberare la cultura Bene Comune dalla accumulazione di potere e riportarla dentro un principio di potenza. Ridefinire il sistema della rappresentanza partendo da un luogo liberato con una forte vocazione emblematica, questo è il problema che ci siamo posti. Pensiamo di vivere in una società matura che non può più considerare se stessa dentro i parametri del capitalismo e dentro il racconto esangue del neoliberismo; una società che deve radicalmente cambiare paradigma, ovvero deve spostare il suo assetto produttivo. Quanti soldi dobbiamo dare ancora a Marchionne perché salvi la FIAT dalla chiusura, quanto debito simbolico dobbiamo ancora pagare ai mercati prima di un default selettivo? Il principio del debito e il principio della colpa sono strettamente connessi. Noi con l’atto di occupare il più antico Teatro di Roma ci siamo voluti affrancare dal senso di colpa e affermiamo con gioia la piega del peccato. Vogliamo stressare i diritto, anche attraverso aperte forme di illegalità, che però nel senso comune trovano una assoluta legittimità.
La battaglia si gioca oggi tra ciò che è legale e ciò che è legittimo. Il teatro Valle sa dove stare. Basta l’assenza di una vocale per trasformare il Teatro della Polis in un incubo, basta sottrarre una “A “al “Teatro” per renderlo “Tetro”, noi pensiamo invece che la bellezza non può attendere, che una rivoluzione del paradigma è possibile. È per questo che le parole più ricorrenti in questo anno di occupazione sono:
emergenza,urgenza,esperienza,permanenza,crisi,dismissione,conflitto,occupazione,riappropriazione,riconoscimento,istituzione dell’imprudenza,bellezza, pratica, rete, moltitudine,uso,attraversamenti, norma, inclusione,Bene Comune, restituzione, azione politica, produzione di senso che si realizza nell’essere insieme, forme autoregolanti, uso generativo, comunità.
Queste parole per noi hanno il valore di punti cardinali in una rotta che la nave pirata del valle sta cercando di seguire. Una rotta meticcia, imprudente e saggia al contempo.in questi mesi abbiamo attribuito un significato nuovo a parole antiche, abbiamo definito che per esempio che occupare non vuole più dire bloccare, fermare ma fare funzionare meglio, per tutti e con tutti. La questione dei Beni Comuni, sappiamo bene che si giocherà per tutto il prossimo decennio, sappiamo bene che è un tema che la politica politicante cercherà di svuotare di senso e di significato. Sappiamo anche che questo tema relativamente “nuovo”, porta dentro di sé meccanismi generativi e processi di sottrazione dalla crisi, che permetteranno ai movimenti dei Beni Comuni di non essere oggetto di un vocabolario politichese.
Elinor Ostrom, quando parla della cultura come Bene Comune usa un esempio efficace, parla delle comunità nepalesi che utilizzando un fiume, risorsa comune, ne ricavano dei corsi d’acqua che serviranno a irrigare i campi delle comunità che hanno partecipato a trasformare una risorsa comune in un Bene Comune. Fino qui tutto bene, il problema che Ostrom si pone successivamente riguarda chi di quel bene ne usufruisce senza prendersene cura. Anche qui tutto bene, ma in un anno di occupazione del Valle, vogliamo porre un problema ai teorici dei commons, un problema che pensiamo sia condiviso dai compagni americani, spagnoli e greci che in questa stagione hanno posto la questione della dignità, dei diritti, della redistribuzione della ricchezza, insieme a noi. È presto detto: benissimo i corsi d’acqua bene comune per irrigare i campi, ma il frutto di quei campi, il prodotto come viene redistribuito? Spesso quando si parla dei Beni Comuni ci dimentichiamo dei punti essenziali che sono alla base delle lotte del 99% e cioè: dignità, diritti, redistribuzione delle ricchezze secondo un principio ecologico di sostenibilità ambientale.
Al netto di tutto, Beni Comuni compresi, questi sono i temi della nostra lotta, di chi ha occupato Liberty square, Puerta del sol, piazza Sintagma, piazza Tahir. Questi sono i temi che riguardano oltre al teatro Valle, la Val di Susa, il cinema Palazzo, il teatro coppola, il teatro Garibaldi, e tutte le esperienze epidemiche che hanno preso forma in questa stagione di occupazioni per la cultura Bene Comune. Pensiamo cioè che un paese che detiene l’ 85% delle risorse culturali d’Europa, per uscire dalla crisi , debba riparametrare completamente se stesso operando una inversione di rotta, un cambio di paradigma. In buona sostanza una rivoluzione. Il diritto alla bellezza è strettamente connesso al reddito di cittadinanza ed è il vero processo in cui, non solo una comunità, ma l’intera società, si può sottrarre dalla crisi. È per questo che ogni volta che occupiamo dei luoghi meravigliosi, lasciati dal pubblico e dal privato alla derelizione, urliamo “la bellezza non può attendere” o “ come è triste la prudenza”, con questo urlo ci riappropriamo di ciò che è nostro, ce ne prendiamo cura e lo restituiamo alla comunità a cui è ecologicamente conferito. Le modalità che in questa lotta mettiamo in campo sono le modalità partigiane che ci hanno tramandato i padri fondatori della nostra Repubblica. I principi costituzionali su cui si sviluppa la nostra lotta sono scritti nell’articolo 4 e 43 della costituzione: il diritto inalienabile alla dignità e al lavoro, e la possibilità per una comunità di lavoratori ed utenti, di attribuirsi di un luogo, pubblico o privato lasciato alla derelizione. La costituzione pensata dai nostri padri partigiani prevede tutto questo, le leggi dello stato no. Dobbiamo immagina re una nuova costituente democratica che attui i principi fondamentali della costituzione repubblicana nata dalla resistenza e dalla guerra di liberazione partigiana.
Al Teatro Valle Bene Comune pensiamo al processo che dal 14 giugno 2011 abbiamo attivato, come una costituente, come una sorta di CLN, che occupando con i corpi e il pensiero un luogo così importante per la cultura cittadina e nazionale, non sia solo l’esempio di come si può condurre un teatro fuori dalle logiche di spartizione della politica, ma che giochi un ruolo attivo ed essenziale nel ripensare il Paese in cui vogliamo vivere.
È per questo che stiamo dando vita alla Fondazione Teatro Valle Bene Comune, per immaginare qualcosa che non c’è, una istituzione dal basso, una istituzione del comune, una istituzione dell’imprudenza.
Gesto e forma nelle lotte dei prossimi mesi.
I movimenti del 99% in tutto il pianeta hanno compiuto gesti (azioni) che grazie al costante attraversamento dei corpi in uno spazio dato, nel tempo, hanno determinato forme di lotta fluide ed in questo consiste la loro grande forza, reale, mediatica, politica. Forme di lotta fluide e relazioni agili e profonde, nella piena consapevolezza che la lotta senza quartiere al capitalismo finanziario non ha per obbiettivo semplicemente gli uomini chiave di questo sistema, quanto i software, le routine che autogenerano i meccanismi di rapina della finanza casinò. La componente nascosta dei movimenti del 99%, la parte clandestina, i gruppi di partigiani non sono certo i fantomatici black block che spaccano un bancomat, quanto quell’esercito di softwaristi che nei prossimi mesi si impadronirà dei documenti sensibili delle transazioni finanziarie e li pubblicherà online. Il general intellect che dichiara guerra al finazismo lo farà in due modi: generando un effetto wikileaks nella finanza casinò e riappropriandosi nel tempo, con un costante attraversamento dei corpi e delle relazioni, di ogni spazio di conoscenza e di linguaggio minacciato dal profitto e dalla privatizzazione.
Nella New York anni 80 se i graffitisti non fossero stati inseguiti dai gendarmi nelle metropolitane, trovando luoghi dove mettersi in salvo, respirare insieme e nel tempo organizzare i loro segni, i graffiti non sarebbero diventati una forma di arte e di lotta nelle metropoli del mondo, quanto un semplice ed estemporaneo gesto di insofferenza metropolitano.
Del resto, se al Teatro Valle avessimo occupato come azione dimostrativa per soli tre giorni, come era previsto il 14 Giugno, avremmo lanciato un segno, anche importante ma non avremmo determinato una forma di lotta fluida in cui il cuore è il palcoscenico (la barricata più esposta della lotta), e il cervello tutto intorno, nella attività assembleare, nei gesti di lotta, nei momenti di autoformazione e nella ricerca di produrre contagio. Il dispositivo Valle Occupato possiamo dire che al netto di tutto Beni Comuni compresi è una forma di lotta fluida grazie a quattro elementi: l’azione radicale, i corpi/relazioni, lo spazio definito, il tempo. Se volessimo azzardare una definizione della forma di lotta Valle, che però vale anche per Puerta del Sol e Zuccotti Park, ma vale anche per l’occupazione della Iris bus in Valle Ufita , per Fincantieri e Val di Susa, questa è: azione radicale di corpi e relazioni in uno spazio dato, nel tempo. Ma per fortuna si sa che le formule non determinano altro che le forme, ma che dietro queste c’è il lordo dei contenuti e gli obbiettivi che rendono la lotta del Valle vera.
Nei prossimi mesi la lotta contro la derelizione dei Beni Comuni, produrrà una radicalizzazione di nuovi gesti che in molti casi si faranno forma. Dopo i Teatri e i cinema occuperemo con archeologi ed ingegneri, studenti, ricercatori, quei siti archeologici abbandonati a se stessi, li metteremo in sicurezza, documenteremo il loro stato di abbandono e ce ne prenderemo cura per restituirli al mondo a cui sono ecologicamente conferiti. I medici e il personale sanitario, occuperanno ospedali per offrire il servizio necessario per la salute Bene Comune, fuori dalle regole del profitto, della speculazione e della privatizzazione.
Insomma nei prossimi mesi dovremmo fare davvero molte cose.
Dovremmo portare la comunicazione alla maggioranza della popolazione, quelli che non vengono alle dimostrazioni, e vanno al supermercato, al cinema. a teatro a messa, a scuola, alla stazione, in banca, preoccupati e un po’ mesti.
Dovremmo andare nei supermercati nei cinema, nei teatri, nelle chiese, nelle scuole nelle stazioni e nelle banche. Sederci insieme ad altri venti o cento o mille e ascoltare le frasi di una lavoratrice precaria o di un ricercatore che dice le ragioni degli sfruttati. E ogni frase dovremmo ripeterla ad alta voce con altri mille, in un megafono umano che si diffonde, sapendo che in un’altra banca un altro supermercato sta accadendo la stessa cosa.
Dovremmo andare alle inaugurazioni dell’Anno accademico e alle riunioni del consiglio comunale e del consiglio di amministrazione della banca e dell’azienda e dichiarare che fin quando non si sottrarranno all’ordine di sterminio che proviene dalla banca centrale gli impediamo di agire, di legiferare, di contribuire al crimine.
Dovremmo aprire la porta di qualche edificio vuoto di proprietà vaticana o di una compagnia di assicurazione e renderlo accessibile alla massa crescente di coloro che non hanno casa.
Dovremmo fare un censimento di tutti gli immobili di proprietà del demanio, del senato e della camera e renderle pubbliche, e quindi disposte ad una libera occupabilità, perché soggette a una prossima speculazione e privatizzazione.
Dovremmo occupare la RAI per affermare che il servizio pubblico è un Bene Comune e tenere l’occupazione fino a quando il consiglio di amministrazione non sarà eletto direttamente dai cittadini.
Dovremmo circondare la cassa depositi e prestiti e non mollare l’assedio fino a quando la sua vocazione di banca del Bene Comune non sarà compiuta ed effettiva.
Dovremmo occupare le strade metterci dei grandi tavoli e organizzare mense popolari, dove ciascuno paga il pasto con quello che può sborsare. Mangiare insieme costa meno e permette di riattivare i circuiti anchilosati dell’acting out solidale.
Dovremmo costruire delle strutture della sopravvivenza (ristoranti popolari, case collettive, strutture di autoformazione) che ci permetteranno di sottrarci al debito materiale della miseria e al debito simbolico della solitudine, insomma ci permetteranno di cominciare a vivere.
L’effetto della devastazione e del cinismo della classe dominante è questo: hanno rimesso in moto una dinamica sociale che da oltre venti anni era stata congelata, paralizzata, disgregata, polverizzata. Il corpo collettivo della società ha ricominciato a muoversi.
E’ l’inizio di un esorcismo di massa contro la depressione e contro l’isolamento: l’esistenza precaria e intermittente si fa gioia frugale di corpi che si accarezzano, e si connette al lavoro cognitivo: attori, studenti, ricercatori, insegnanti, tecnici, medici, ingegneri e poeti, fino ai programmatori del software proprietario e finanziario che presto inizieranno dall’interno il lavoro di sabotaggio.
Le occupazioni nei prossimi mesi prolifereranno, diverranno luoghi di aggregazione di un precariato diffuso che ha bisogno di riconoscersi, organizzarsi, e iniziare il processo di appropriazione della ricchezza che ci è stata sottratta.
Istituzioni dell’imprudenza
Il 20 ottobre il Teatro Valle occupato si è spinto oltre, presentando la bozza condivisa di statuto della Fondazione Teatro Valle Bene Comune di fatto si propone come istituzione dal basso.
Una bozza di statuto consultabile e modificabile online, che presenta una gestione partecipata del Teatro attraverso l’azionariato popolare, escludendo la politica politicante dalla gestione diretta del Teatro, affidando all’assemblea e solo all’assemblea la scelta degli organi direttivi secondo il principio di una testa, un voto. Un Teatro di chi lo fa vivere, di chi lo attraversa col corpo, infatti i soci comunardi devono partecipare alle assemblee di gestione e garantire la presenza nelle diverse fasi di gestione del Bene Comune. Un Teatro aperto 24 ore che pensa ad uno spettatore attivo, attraverso la direzione artistica turnaria e la formazione del pubblico, dei cittadini e dei professionisti. Un centro per le drammaturgie del contemporaneo e un comitato di lettura condivisa delle opere che la cittadinanza vorrà inviare. (per maggiori informazioni la bozza di statuto è consultabile sul sito Teatrovalle occupato.it).
L’istituzione dal basso, potenzia la lotta nei movimenti maturi, che cioè riescono a non coincidere interamente con l’istituzione da essi creata. La deriva identitaria dei movimenti che cercano una totale coincidenza delle pratiche con le istituzioni da esse determinate rischiano una ingessatura della capacità propulsiva delle lotte. La vocazione dei movimenti globali è nel moltiplicare le istituzioni di lotta mantenendo una forma fluida e non identitaria dei processi di liberazione.
I Beni Comuni che insorgono in una loro definizione giuridica nuova, spostano il diritto nella criticità del sistema creando conflitto, sono istituzioni dell’imprudenza che nascono da movimenti che rivendicano l’imprudenza come dovere politico.
Pensiamo alle istituzioni dell’imprudenza non solo come a un grimaldello giuridico che consenta alle lotte di di acquistare potenza nel conflitto, quanto ai luoghi di provenienza delle comunità nomadi, quei luoghi che i nomadi chiamano casa, in cui periodicamente si ritrovano per partire di nuovo.
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