Gianni Tognoni: La strage di Crotone e la guerra ai migranti

| 2 Marzo 2023 | Comments (0)

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Con i loro numeri che concentrano in un solo evento tanti giorni dello stillicidio che si prolunga da anni che nessuno più conta, con la ‘novità’ della geografia della loro tragedia, le prese di posizione surreali ed allo stesso tempo fin troppo note di responsabili di governo, i morti del naufragio nel mare di Crotone hanno letteralmente occupato tutte le cronache mediatiche dell’ultimo fine settimana di febbraio: sostituendosi completamente all’attenzione che era stata concentrata sulla ‘celebrazione’ del primo compleanno della guerra globale che ha preso come suo luogo di visibilità l’Ucraina, ed entrando in competizione con la ‘sorpresa’ dei risultati delle primarie.
Non c’è nulla da aggiungere alle tante analisi sulle cause e responsabilità di questa ‘strage’, che riassume e mette in evidenza tutte le caratteristiche di quel ‘crimine contro l’umanità’ che
accompagna ormai da anni la storia non solo dell’Europa (avendo come uno dei suoi epicentri l’Italia), ma tutti i nodi geopolitici che più esprimono la crisi di civiltà e di diritto del mondo globale: dalle frontiere degli USA contro i popoli dei loro tanti Sud, a quelle del Sud Est asiatico con il ‘genocidio in corso’ dei Rohingyas , ma non solo, alle migrazioni ‘interne’ ai diversi continenti, in primis proprio quell’Africa che più viene guardata come antica colonia, terra da cui estrarre materie prime, ed in cui garantire tante guerre ‘locali’ cui affibbiare aggettivi —etniche, tribali, dell’uno o dell’altro terrorismo…— che scagionano i mercanti europei o mondiali di armi per rendere i migranti africani, ancor più degli altri, sgraditi, responsabili oltre che vittime.
Essere migranti coincide con l’entrare in una categoria sociale, politica, giuridica che toglie a quella di essere ‘umani’ il significato di universalità (= nessuna/o escluso) e di inviolabilita’ che la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani aveva posto come la vera frontiera di appartenenza ad una civiltà ri-nata da una guerra tanto orrenda da richiedere che la guerra stessa dovesse essere proibita, non accettabile, se non in casi assolutamente eccezionali, tra i comportamenti ‘umani’.
Sono tanti i modi ed i termini con cui la frontiera ‘inclusiva’ dell’umano viene sostituita e trasformata in muro di esclusione, espulsione, eliminazione, semplice ‘cancellazione’.
Nei commenti che hanno accolto i morti di Crotone ( ed i tanti ‘altri’ sopra evocati) questi termini si sono intrecciati come se fossero parte di uno dei tanti dibattiti-conflitti politici, e non come la componente più decisiva del ‘crimine contro l’umanità’: il negarne l’esistenza e le responsabilità in nome di interessi, valori, obiettivi che vengono dichiarati gerarchicamente più importanti ed intoccabili. Essere migranti vuol dire essere la minaccia dei ‘nostri’ diritti, terroristi, genitori che mettono a rischio i loro figli su barconi insicuri (…la qualifica surreale di un ministro innominabile è stata consacrata dal pieno silenzio-assenso dei suoi colleghi di governo), conniventi di trafficanti, irresponsabili ed incapaci che non accettano di vivere, e morire, ‘a casa loro’.
È perfino offensivo riprendere certe analisi arroganti ed ignoranti che pretendono di giustificare non solo la normale-legalità della migrazione come componente da sempre essenziale di una civiltà fatta di relazioni-intrecci di diversità, ma perfino la sua ‘illegittimità’ quando esprime il diritto-bisogno di fuggire da guerre, dittature, trattamenti umani e degradanti… Sono tante infatti le forme di minacce non evitabili di vita che una logica di diseguaglianza  — senza limiti di dignità e di conseguenze sulla vita, ma eretta a principio-guida della globalizzazione — costruisce, considerando gli umani una ‘variabile’ che si può/deve trascurare ed ignorare se ci sono indicatori economici o interessi politici da ‘rispettare’.
Il lavoro fatto negli ultimi anni dal Tribunale Permanente dei Popoli, con il supporto e in rappresentanza di centinaia di organizzazioni e movimenti, ha documentato in modo estremamente dettagliato e diversificato per i diversi contesti (http://permanentpeoplestribunal.org/45-sessione-sulla-violazione-dei-diritti-delle-persone-migranti-e-rifugiate-2017-2018/ ) la gravità e la intollerabile impunità dei comportamenti dei governi europei nella gestione di un fenomeno che è strutturale. È fin troppo evidente, da tanti anni, che il problema della migrazione, al centro delle politiche europee, non può essere ricondotto ad ‘aggiustamenti’, più o meno adeguati, a misure di ‘sicurezza’, alla sorveglianza-chiusura dei confini: quasi una politica di apartheid estesa a livello continentale . Da sempre i migranti sono stati il segno della inevitabile, e benvenuta, permeabilità delle civiltà: perfino quando questa ‘contaminazione’ coincideva con tempi ed invasori ‘barbarici’. Farne la causa più importante e rigida di controllo ed espulsione in un mondo che per la prima volta è globale, indica una situazione di patologia di civiltà.
In termini di diritto questo si traduce in un ‘crimine di sistema’: che è categoria giuridicamente evocante una gravità eccezionale, ma nello stesso tempo una carenza drammatica a livello di responsabilità giuridica. Chi è da condannare, con strumenti che obblighino alla osservanza di una decisione di condanna, che il Tribunale Permanente dei Popoli ha (in modo tecnicamente ineccepibile, ma per definizione, simbolico) pronunciato nelle sue sentenze, dando qualificazioni giuridiche a violazioni e responsabilità che sono più che evidenti, e intollerabili, ma non riconducibili ai criteri classici del diritto penale, così come questo è esercitato, a livello di singoli paesi, e nelle corti internazionali?

I morti di Crotone sono certi: attorno a loro la ‘società civile’ , italiana ed europea, ripete le sue narrazioni ed i suoi riti. Nessuno è singolarmente responsabile: senza ovviamente poter negare la esistenza delle vittime, il diritto si dichiara non competente e non perseguibile, ‘affidando’ le vittime, di non importa quale paese e storia, ad una politica che fa le sue scelte che non prevedono tribunali né giudici indipendenti. La diagnosi di necropolitica è entrata nel linguaggio delle analisi più condivise, ma non entra nell’agenda delle priorità sistemiche dell’UE e dei singoli stati, che si trincerano nel ruolo di spettatori, coscienti della gravità dei dati di fatto, ma capaci solo di dichiararne la inevitabilità e di indicare nelle strategie più diverse di ‘respingimento’ e di raccomandazioni di ‘stare a casa loro’ o nelle mani di criminali riconosciuti ( da Erdogan ai Libici a non importa quale governo) quella che è per definizione una non soluzione. E la realtà, certa, ma marginale, e di un altro ordine, dei ‘trafficanti’ è presa come scusa per travestirsi di legalità, se e quando questo è possibile.
La tragedia di Crotone (con tutti i suoi retroscena di non trasparenza e di indecenza istituzionale anche nella qualificazione delle vittime) si è verificata in stretta continuità con la ‘celebrazione’ del primo anniversario di una guerra che è divenuta protagonista geopolitica dello scenario internazionale, oltre che strumento sempre più senza senso e senza orizzonti di stragi e torture
di massa in un contesto che evoca e riproduce scenari che si pensava appartenessero a guerre del passato. La continuità-contiguità cronologica tra la guerra guerreggiata e un episodio della guerra non dichiarata, ma altrettanto mortale, di cui è ancora una volta vittima (in un luogo preciso, ma che evoca la rete globale di tanti luoghi ) il popolo dei migranti è tragicamente simbolica. In ogni guerra la qualificazione di ‘nemico’ equivale a giustificarne la possibile, anzi dovuta eliminazione. L’agenda politica degli attori globali ha ormai da tempo ri-introdotto la guerra (opportunamente aggettivata come difesa della sicurezza e della democrazia ) come opzione nella gestione dei conflitti, e si sa che la guerra coincide con la sospensione dei diritti fondamentali : non solo per la concretezza delle vittime, ma ancor più a fondo per la cancellazione-proibizione di considerare una soluzione alternativa. Essere oggi per la pace per la pace coincide con l’essere ‘per’, ‘con’, ‘il’ nemico. Le scuse per non prevedere la pace come opzione per la guerra in Ucraina (o nelle tante guerre che affollano la mappa del mondo) assomigliano a tutte le scuse per considerare il popolo dei migranti non come un indicatore- soggetto di civiltà, ma un nemico da respingere, un invasore, da bombardare con decreti, muri, naufragi: quello che giuristi internazionali abbastanza indipendenti e disincantati chiamo ‘genocidio goccia a goccia”.
La contiguità cronologica dei due eventi sopra ricordati non è solo simbolica. Tollerare una guerra che perfino autorità militari come comandanti delle forze armate statunitensi giudicano una strada senza uscite per la pace corrisponde alla ottusità criminale della UE (e dei suoi membri) nel non fare della gestione della migrazione il test della civiltà complessiva delle società dove viviamo. Come l’ormai storico-antico disastro-naufragio di Lampedusa, anche quello di Crotone rischia
( è già deciso…?) di entrare nella storia che celebra gli anniversari di crimini intollerabili di sistema, senza farsi carico di modificare il sistema che li produce e la sua impunità.
Ci potrà essere anche (o almeno) a livello di competenze di organi giudiziari un sussulto di disobbedienza, di autonomia, di ricerca di alleanze con una resistenza civile e politica, per fare delle guerre in corso (contro il popolo dei migranti, e in obbedienza all’arroganza della economia militare: si tratta della stessa sfida) l’occasione per dichiarare inaccettabile, e capovolgere, la sottomissione della legittimità dei diritti fondamentali dei popoli alla pretesa di legalità di poteri- stati che hanno fatto della legalità formale un ordine giuridico che garantisce l’ingiustizia?
La apparente utopia della domanda, che indica un cammino di ricerca e lotta molto concreto, è meno ‘strana’ della surreale obbedienza a progetti che assumono (nei fatti, con l’ipocrisia fin troppo scoperta di mantenere le affermazioni formali) che il tempo dei diritti fondamentali è scaduto.

Gianni Tognoni è segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli (http://permanentpeoplestribunal.org/45-sessione-sulla-violazione-dei-diritti-delle-persone-migranti-e-rifugiate-2017-2018/ )

 

Category: Migrazioni

About Gianni Tognoni: Nato nel 1941 a Gorla Minore (Varese). Nel 1964 Dottore in Filosofia e teologia nella Facoltà Teologica di Roma. Nel 1970 laurea in medicina e chirurgia nell'Università di Milano. E' ricercatore dal 1969 presso il Laboratorio di Farmacologia dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano di cui diventa responsabile nel 1976. Dal 2001 è direttore del Consorzio Mario Negri Sud e dal 2004 è membro della Sottocommisione Sperimentazione Clinica della Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). E' esperto al livello internazionale di Epidemiologia clinica e comunitaria per la valutazione dell'efficacia clinica e delle epidemiologia della prescrizione dei farmaci. Tra le sue più recenti pubblicazioni, importante anche per chi non ha competenze mediche ma di tipo socioeconomico, il libro Epidemiologia di cittadinanza (scritto insieme a Massimo Campedelli e Vito Lepore), Il pensiero scientifico Editore, Roma 2010. E' segretario del Tribunale Permanente dei popoli.

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