Luciano Berselli: L’inverno di Monti visto da Sapelli
Questa condizione economico-sociale dell’Italia, e il determinato assetto della sua rappresentanza politica, espongono di nuovo il paese al destino di sottrazione di sovranità. Non soltanto come nuovo episodio, nuova tappa che riassume e ripete il corso della vicenda storica. A livello mondiale, la crisi ha aperto una frattura la cui ampiezza non è ancora totalmente visibile, ma che con certezza si intuisce drammaticamente profonda, tale da cambiare radicalmente, riqualificare e porre su nuovi piani tutti i termini fondamentali delle relazioni internazionali. Da una parte, l’oligopolio finanziario internazionale (“che comunemente viene chiamato mercato”) ha perso fiducia nei confronti dell’intera regione dell’euro, come zona economica e come moneta possibile, all’interno della quale la Germania ha tradito il senso fondamentale del suo ruolo storico con il take-over successivo all’unificazione, “scatenando le ire della memoria storica da un lato, e il delirio dell’onnipotenza della classe politica dall’altro…e questo ci dice che non è escluso che l’era delle dittature europee sia chiusa per sempre, come invece molti credevano”. Dall’altra parte, non esiste a livello mondiale una guida, un punto di riferimento a cui affidarsi di fronte alle scosse tremende della crisi. Al contrario, “Gli USA non sanno che fare…Obama ha scelto il Pacifico: il patto militare con l’Australia dimostra che questa scelta non può che aprire una nuova Guerra Fredda, speriamolo, con la Cina. …Una situazione di profonda instabilità e d’incertezza permanente. Qui appare tutta la miseria dei nostri tempi. Qui si rivela la tragicità di una situazione. Tutto è instabile, tutto rischia di rovinarci addosso. E proprio in questa situazione il Presidente della Repubblica italiana pensa di sortire da essa con una sorta di imitazione della dittatura romana…”. La figura del professor Monti (infinito frammento del finito), amaramente e beffardamente accostata a quella di Napoleone, visto da Hegel a Jena andare a cavallo verso il campo di battaglia, avanza in bicicletta per ricostruire il legame nazionale/internazionale. E’, appunto, come un dictator della Repubblica romana. Suo compito essenziale è di regolare i conti con la plebe. Il suo programma è costituito dal tentativo di ritrovare un rapporto realistico con il potere tedesco, rinegoziando le regole europee, per aprire il passaggio da un asse di politica deflattiva ad una politica inflattiva. Questo programma si scontra “…con una realtà internazionale paurosamente lontana da un regime spartitorio egualitario delle sfere di influenza e da una rappresentanza politico-tecnica mista e dimidiata…Veramente non all’altezza”. Come l’antico dictator dispone di un enorme potere, che usato senza la consapevolezza delle conseguenze sulle persone, non fa che aumentare le sofferenze, che diventano disperazione e rivolta. Avvicinandosi al termine della sua analisi, il tono di scrittura di Sapelli diventa sempre più teso e drammatico. Il bisogno della politica, a cui si richiama il titolo del suo pamphlet, compare come una invocazione, l’invito ad un realismo delle scelte politiche “…che appaiono impossibili e che sono per questo le sole praticabili e giuste: si riformino le banche, si esproprino i patrimoni delle Fondazioni Bancarie per trovare i denari per rifondere lo stato imprenditore e si riprenda la via dell’economia mista…”. Un’invocazione, un bisogno di politica che non incontra una risposta. Quando parla del capitalismo, e di quello italiano, delle sue forze interne, Sapelli sa ciò di cui parla. Il suo sguardo, alla fine, torna alla stagione di Monti, “…ora è il più freddo degli inverni…”, chiudendo con una citazione dei Quattro Quartetti di Eliot. “o buio, buio, buio. Tutti vanno nel buio…Ho detto alla mia anima: taci, e lascia che scenda su di te l’oscurità/del buio/che sarà l’oscurità di Dio”. Un’invocazione delle scelte politiche impossibili, su uno sfondo di immensità, che suona al tempo stesso realistico e consolatorio. Nessun dubbio che viviamo in tempi di oscurità, di gravi, tragici, pericoli. Non può che essere apprezzato il contributo che Sapelli porta per vederli e che io riassumo nella crisi, nell’estremo logoramento della democrazia, che precipita, per il crescere della disuguaglianza e del disagio, verso esiti drammatici, che suscitano paura. Fuori dal suo impianto di analisi resta il dato costitutivo che ha caratterizzato i processi sociali, politici ed economici attraverso cui si è affermato l’attuale modello di capitalismo: l’annullamento del vincolo sociale rappresentato dalla soggettività dei lavoratori e delle lavoratrici, la possibilità per il capitalismo di non tenerne conto, e di giocare come se, liberato da questo vincolo, tutto fosse possibile. Questo modello, con le sue strutture di potere nelle relazioni interne ed internazionali, la sua gerarchia sociale, e i suoi meccanismi di governo rivolti a mettere il conflitto sociale fuori dalla dinamica democratica, è alla base della crisi, e viene proposto al tempo stesso come soluzione. E’ evidente il potenziale distruttivo enorme, sul piano della condizione materiale e su quello dell’assetto democratico, che è contenuto nelle politiche che perseguono questo obiettivo. In particolare per l’Italia, la sottrazione di sovranità, la drastica ristrutturazione del suo apparato industriale, reso funzionale ad un ruolo subalterno nella divisione internazionale del lavoro, sono state potentemente favorite dall’estrema riduzione dei diritti e dei poteri contrattuali dei lavoratori. Non a caso il professor Monti, fin dall’inizio, ha seguito la linea indicata nella “lettera della Banca Centrale europea”, e, dopo la devastazione delle pensioni, sta ancora occupandosi di portare a compimento la cancellazione di diritti fondamentali come quelli previsti dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Nell’inverno di Monti, il bisogno della politica rappresenta una domanda inquietante, angosciosa, che giustifica pienamente l’attenzione, gravida di un senso tragico di allarme, di Sapelli. Ben difficilmente, tuttavia, si può pensare ad una risposta che non punti, ostinatamente e concretamente, contro lo “spirito del tempo” che appare dominante, alla costruzione di un nuovo blocco di forze sociali, con valori diversi, con una nuova idea di società e di democrazia.
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