Giangiorgio Pasqualotto: Una riflessione su “La diversità feconda”, dialogo etico fra religioni

| 16 Novembre 2021 | Comments (0)

 

 

 

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Il volume a cura di Simone Morandini, La diversità feconda. Un dialogo etico tra religioni nella città (Bologna, EDB 2021) offre un’ottima occasione per tornare a riflettere in più direzioni sui problemi impliciti in ogni teoria e in ogni pratica dialogica:

  • In direzione di un tipo di dialogo tra diverse religioni e diverse confessioni religiose che sia in grado di superare il livello dei semplici rituali d’incontro tra autorità ufficialmente incaricate di rappresentare tali diversità;
  • In direzione di un tipo di dialogo che può svilupparsi concretamente nell’ambito delle nuove realtà metropolitane attraversate e condizionate da importanti mutamenti antropologici e culturali dovuti in gran parte (ma non solo) dai fenomeni dei flussi migratori che stanno mettendo in crisi le frontiere e le certezze non solo dell’Europa, ma di interi continenti.
  • In direzione di un tipo di dialogo che affronti non solo le tradizionali questioni etiche delle esistenze individuali e dei comportamenti collettivi, ma anche quelle, sempre più impellenti, derivanti dalle colossali – e forse irreversibili – trasformazioni climatiche ed ambientali.

In Italia le prime due direzioni erano già state prese e percorse nei loro tratti salienti dal compianto Pier Cesare Bori, che aveva raccolto le proprie intuizioni e riflessioni soprattutto in tre mirabili volumi: Per un consenso etico tra culture (Genova, Marietti 1991); Per un percorso etico tra culture (Firenze, Nuova Italia 1996) e Pluralità delle vie. Alle origini del Discorso sulla dignità umana di Pico della Mirandola (Milano, Feltrinelli 2000).

La terza direzione, sempre limitatamente all’Italia, è stata presa da numerosi studiosi di varie estrazioni e di diversi orientamenti[1].

Ebbene, in tutti questi lavori, alcuni dei quali davvero pregevoli per ampiezza di documenti e per acume argomentativo, manca tuttavia una riflessione sistematica e radicale sull’ idea di individuo, riflessione che riteniamo preliminare rispetto ad ogni discorso sul dialogo, sia esso di natura religiosa, filosofica o più specificatamente etica. Tale riflessione andrebbe intesa non soltanto in relazione al concetto di singolarità personale, ma anche in relazione alla categoria maggiormente estesa di identità, la quale interessa e fonda ogni entità sovraindividuale come una comunità, una società, una cultura, ecc. In altri termini, più generali, ciò che sembra sia stato lasciato intenzionalmente da parte è proprio il tema, assolutamente cruciale, dell’identità. L’emarginazione di tale tema è presente in varia misura anche in molti recenti studi italiani sull’intercultura[2], ad eccezione di alcuni contributi di M. Pagano in cui si tematizza in modo teoreticamente rilevante il rapporto tra universale e particolare nella prospettiva di un’ermeneutica interculturale.[3] All’estero le riflessioni  sui concetti di ‘individuo‘, ‘dialogo’ e ‘intercultura’ sono state ben più ampie ed approfondite di quanto sia avvenuto in Italia: per il primo basti pensare a G. Bataille, G. Simondon e J.L. Nancy; per il secondo a  M. Buber, M. Scheler, H. Jonas, V. Frankl e P. Ricoeur; per il terzo a R. Fornet-Betancourt, H. Kimmerle, R. A. Mall, F. M. Wimmer, G. Stenger, e H. R. Yousefi.

Ora, tornando al volume La diversità feconda qui considerato, è interessante notare che al suo interno è ospitato un contributo di M. Raveri dal titolo “Le illusioni sono già illuminazione”. La riflessione buddhista sul male e la salvezza (pp. 117-129), in cui si sfiora soltanto il tema dell’identità nel pensiero buddhista, ma lo si fa in modo talmente efficace da evidenziare l’enorme portata teoretica ed etica di un’idea del Buddha che ritroviamo in forma massimamente concentrata in Dhammapada, XX, 279: “tutti i dhamma sono privi di sé (anattā)”.  Ricordando che ‘dhamma’ significa ‘realtà’ intesa ad ogni livello – da quelli sensibili a quelli sovrasensibili -, se ne deduce che non soltanto le cose, ma anche i soggetti umani vanno considerati privi di sostanzialità, non autonomi, non indipendenti, non ab-soluti. Ora, se questa assenza di sostanzialità viene intesa in senso positivo, conduce a capire immediatamente che ogni singola cosa ed ogni singolo individuo esiste solo in quanto è in relazione a qualcosa o a qualcun altro. Anzi, a ben vedere, non è “in relazione” a qualcosa o a qualcun altro, ma è costituito da questo ‘altro’. Infatti, se fosse solo “in relazione”, si dovrebbe presupporre, in prima istanza, l’esistenza di un elemento separato da un altro, e, in seconda istanza, l’esistenza di una relazione che li connette. Invece, in base al concetto buddhista di anattā, si viene configurando un’immagine dell’intera realtà costituita non da una serie virtualmente infinita di punti ‘atomici’, autosufficienti, ma da una rete virtualmente infinita di punti risultanti dall’incrocio di un numero virtualmente infinito di linee. Si può immaginare questa realtà come un immenso tappeto costituito da innumerevoli nodi, ciascuno dei quali non può dirsi esistente in sé, per il semplice motivo che è formato da almeno due fili. Analogamente, in termini antropologici, nessun umano può dirsi autonomo, se non altro perché risulta esistere grazie all’intervento di altri due umani; e poi, nel corso della sua vita, continua a dipendere da elementi che sono ‘altro da sé’: dalla forza di gravità, dal calore, dall’atmosfera, dalla lingua e dalla cultura del luogo in cui è nato, dalle culture e dai luoghi in cui va a vivere; e infine, dalle condizioni che lo condurranno a sparire. Il concetto di anattā mostra la propria forza innovativa non soltanto nell’ aprire una nuova visione della realtà, ma anche nel dare un senso nuovo all’impegno etico. Su di esso infatti si fonda la massima buddhista “curando me stesso curo gli altri, curando gli altri curo me stesso” (Samyutta Nikaya, III, 19), massima che risulta decisiva soprattutto in caso di epidemie o, peggio, di pandemie, quando la tracotanza degli egocentrismi narcisisti scoppia e dilaga fino ad infettare e corrodere addirittura qualche acuta intelligenza.

Se poi l’utilizzazione del concetto di anattā viene estesa per comprendere le dinamiche del dialogo, appare evidente che il tradizionale quadro di riferimento viene radicalmente trasformato: i due interlocutori, infatti, non possono più essere intesi come due ‘monadi’ senza connessioni, ma devono venir compresi come due entità ontologicamente intrecciate. Persino nel caso in cui uno di essi parli e l’altro sia muto, risulta comunque che hanno entrambi un corpo assai simile, dotato di mani, braccia, occhi, ecc. con cui possono realizzare una benché minima comunicazione. Sollevandoci ai livelli più alti, quelli del dialogo tra idee diverse o addirittura opposte, si potrebbe constatare come l’uso di anattā sia in grado di sciogliere ogni presunzione di separatezza e di svelare le connessioni intrinseche che costituiscono gli interlocutori. L’esempio che in Occidente rimane più celebre e più forte per illustrare questa possibilità di dialogo radicale, è stato fornito da Socrate che, “sapendo di non sapere”, fu in grado di cogliere le opinioni dei suoi interlocutori non come monolitiche prese di posizione, ma come occasioni per una ricerca comune della verità. Questo metodo dialogico socratico è stato rivitalizzato nella cultura contemporanea, in ambito sia filosofico che religioso, da Raimon Panikkar.[4] Ed è lo stesso Panikkar ad aver coniato l’espressione “equivalente omeomorfico” per indicare quelle idee che, pur essendo fiorite in culture lontane nel tempo e nello spazio, hanno avuto e continuano ad avere una portata ed un valore talmente potenti e pervasivi da poter venir considerate ‘universali’ alla pari dell’idea di ‘diritti umani’ nata in Occidente ma estesa a tutti i Paesi.[5] Tra queste idee ‘straniere’ ma universalmente feconde possono essere annoverate quelle cinesi di ren e di dao, come ha opportunamente suggerito Amina Crisma in La diversità feconda.[6]

Tutte queste raffinate analisi e riflessioni sul dialogo e sull’intercultura, sui diritti umani e sui valori universali sembrano però non aver avuto alcun effetto sulla realtà. A livello planetario le dinamiche degli scontri politici e sociali, delle emarginazioni violente, delle persecuzioni etniche, dei conflitti armati, ecc., si sono fatte sempre più gravi ed estese, tanto da far pensare che abbiano preso una direzione diametralmente opposta rispetto a quelle analisi e a quelle riflessioni. Ancora una volta, quindi, si ripropone l’enorme (ed eterna) questione dei rapporti tra principi e fatti, tra cultura e storia, tra teoria e prassi.

[1] L. Battaglia (a cura di), Etica e ambiente, Torino, Satyagraha, 1992.; L. Battaglia (a cura di), Filosofia ed ecologia, Roma, Abelardo, 1994; S. Bartolommei, Etica e natura. Una «rivoluzione copernicana» in etica?, Bari, Laterza 1995; F. Viola, Dalla natura ai diritti. I luoghi dell’etica contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 1997; S. Morandini, Nel tempo dell’ecologia, Bologna, EDB 1999; A. Postiglione, Etica ambiente sviluppo. La comunità internazionale per una nuova etica dell’ambiente, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001; L. Battaglia, Alle origini dell’etica ambientale, Bari, Dedalo 2002; P. Donatelli (a cura di), Manuale di etica ambientale, Firenze, Le Lettere, 2012; S. Iovino, Filosofie dell’ambiente. Natura, etica, società, Roma, Carocci, 2004; C. Quarta, Una nuova etica per l’ambiente, Bari, Edizioni Dedalo, 2006. S. Morandini, Abitare la terra custodirne i beni, Padova, Proget 2012; M. Mascia, S. Morandini, Etica del mutamento climatico, Brescia, Morcelliana 2015; A. Poli (a cura di), La persona nelle filosofie dell’ambiente, Milano, Limina Mentis Editore, 2012; M. Andreozzi (a cura di), Etiche dell’ambiente. Voci e prospettive, LED Edizioni Universitarie, 2012.

[2] Cfr. V. Cesareo, Per un dialogo interculturale, Milano, Vita e Pensiero, 2001; C. Baraldi, Comunicazione interculturale e diversità, Roma, Carocci 2003; A. Campodonico-M. S. Vaccarezza, Gli altri in noi. Filosofia dell’interculturalità, Soveria Mannelli, Rubbettino 2009G. Cacciatore-G. D’Anna Interculturalità. Tra etica e politica, Roma, Carocci 2010; C. Vigna-E. Bonan, Multiculturalismo e interculturalità. L’etica in questione Milano, Vita e Pensiero 2011; R. Diana- S. Achella, Filosofia interculturale. Identità, riconoscimento, diritti umani, Milano, Mimesis 2011; A. Chiricosta, Filosofia interculturale e valori asiatici, Milano, O Barra O Edizioni 2013; M. Sghirinzetti, Ragionare tra le differenze. Per un’etica del dialogo interculturale, Pisa, ETS 2014; G. Cognetti, Con un altro sguardo. Piccola introduzione alla filosofia interculturale, Roma, Donzelli 2015; R. Roni, Il flusso interculturale. Pragmatismo etico e peso della storia nella filosofia emergente, Milano, Mimesis 2017; G. Cunico – E. Colagrossi, Etica interculturale e interreligiosa, Milano, Mimesis 2017; M. Fiorucci-F. Pinto Minerva-A. Portera (a cura di), Gli alfabeti dell’intercultura, Pisa, Edizioni ETS, 2017; A. Pirni, La sfida della convivenza. Per un’etica interculturale, Pisa, Ets 2018; M. Pagano – L.  Ghisleri (a cura di), I fondamenti dell’etica in prospettiva interculturale, Brescia, Morcelliana 2018.

[3] M. Pagano, Interpretazione e concetto nell’ermeneutica interculturale, in AA. Vv., Il campo della metafisica. Studi in onore di G. Nicolaci, Palermo, Palermo U.P. 2018; M. Pagano, Ermeneutica e interculturalità, in “Annuario filosofico”, 26, 2010 e M. Pagano, Un contributo ermeneutico per la filosofia interculturale, in “lo Sguardo. Rivista di filosofia”, 20 2016, pp.187-198.

[4] Alle riflessioni di Panikkar sul dialogo è stato dedicato di recente un volume intitolato Le pratiche del dialogo dialogale (a cura di M. Ghilardi e S. La Mendola), Milano, Mimesis 2020.

[5] Su questo tema ci siamo soffermati in G. Pasqualotto, Diritti umani e valori universali in Asia, in Le pratiche del dialogo dialogale, cit. pp. 233-254.

[6] A. Crisma, Confucianesimo e taoismo: quali risorse per un’etica interculturale?, in La diversità feconda, cit., pp. 89-105.

Category: Culture e Religioni, Libri e librerie, Storia della scienza e filosofia

About Giangiorgio Pasqualotto: Giangiorgio Pasqualotto insegna Estetica e Storia della filosofia buddhista presso l’università di Padova. Tra le sue pubblicazioni più importanti: Estetica del vuoto (1992); Illuminismo e illuminazione (1997); Yohaku (2001); East & West (2003); Figure di pensiero (2007); Dieci lezioni sul Buddhismo (2008); Oltre la filosofia (2008); Tra Oriente e Occidente (2010); filosofia e globalizzazione (2010

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