Gian Enrico Rusconi: Vito Mancuso e Dio, un corto circuito teologico
Diffondiamo da La stampa del 18 settembre 2011 questa recensione di Gian Enrico Rusconi al libro di Vito Mancuso Io e Dio
Non è chiaro che cosa sia «il ritorno della religione» oggi. Quello che è certo è che non poggia più sulla teologia nel suo senso tradizionale. Sembra anzi non averne neppure bisogno. Il «ragionare su Dio» anziché mirare a solidi argomenti «razionali» (anzi questo termine è guardato con estremo sospetto), è diventato un parlare a ruota libera, un eclettico accostamento di emozioni più o meno profonde e di pensieri edificanti.
La rilevanza pubblica della religione oggi è dovuta quasi esclusivamente al fatto che offre una dottrina morale – sia che essa venga accolta e (apparentemente) praticata o che venga politicamente strumentalizzata. In ogni caso non è più una dottrina che poggia su concetti teologici forti – peccato (originale), redenzione, salvezza. Questi sono concetti che i moralisti e i pastori d’anime non sono più in grado di spiegare in modo convincente.
Lo fanno solo in modo metaforico, allusivo, letterario. Al posto dei ragionamenti tradizionali ci sono discorsi di carattere psicologico, antropologico. Persino un certo uso della parola «spiritualità» dissimula la fine della teologia. I più sofisticati parlano di «teologia narrativa», confondendo esegesi biblica con fondazione teologica.
In questo contesto da alcuni anni si muove polemicamente con grande verve Vito Mancuso, «il teologo fuori le mura», come volentieri si lascia chiamare. Il suo ultimo libro – dal titolo impressionante Io e Dio (Garzanti, 488 pp., 18.60 euro) – è un ambizioso, denso, appassionato tentativo di proporre nientemeno che una nuova «teologia fondamentale». L’impianto del lavoro è dato da un lato dal rifiuto della dottrina dogmatica tradizionale, la cui forza starebbe esclusivamente nell’autoritarismo della Chiesa, e dall’altro dalla proposta di una teologia fondata sulla libertà. «Questo libro difende la libertà contro la duplice minaccia dell’autoritarismo religioso e dello scientismo negatore del libero arbitrio».
Il libro si presenta quindi con una «pars destruens» e una «pars construens». La parte critica contro l’autoritarismo religioso è articolata in modo fermo, efficace e competente (evidentemente Mancuso conosce bene l’oggetto di cui parla…). La parte positiva invece rischia di essere una continua rassicurazione della centralità e della insostituibilità della religione («unico pensiero forte», «energia intellettuale che oltre a riempire la mente, tocca la vita, scalda il cuore, alimenta la passione, muove i popoli»). Ma gli argomenti offerti per questa nuova concezione non sono convincenti.
Faccio un esempio. Mettendo in guardia dall’associare immediatamente Dio ad un essere personale nel senso della dottrina tradizionale, Mancuso parla di Dio come della «sorgente e porto dell’essere-energia, nonché la sorgente dell’informazione che consente all’energia di strutturarsi in materia organizzata così da diventare vita, vita intelligente, vita come spirito creativo». Si tratta di espressioni enigmatiche (Dio-energia, sorgente dell’informazione che struttura la vita) che rimandano ad altro libro di Mancuso, L’anima e il suo destino, 2007. Qui con ingegnose e spericolate innovazioni espressive, liberamente prese dal linguaggio dell’evoluzione, l’autore propone il ritorno della «finalità della natura-physis ad una teleologia iscritta nell’essere naturale, coincidente con lo stesso presentarsi dell’essere-energia, già da sempre in essa presente».
Questo tortuoso modo di esprimersi di Mancuso è il tentativo di replicare al deficit più serio della dottrina della Chiesa – quello del concetto di natura. Retaggio di un modo di pensare metafisico, il concetto di natura che innerva l’intera dottrina morale della Chiesa, è incapace di tenere testa allo sviluppo delle scienze dell’uomo (dalla teoria dell’evoluzione alle neurobiologie) che vengono semplicemente diffamate come «scientismo». Ma non è chiaro come Mancuso possa tenere insieme una teleologia naturale che rimanda ad un Dio-energia, con il Dio che è in intimo rapporto con l’io-persona. («L’io che raggiunge la dimensione dello spirito-libertà, può infrangere la struttura che l’ha generato e che lo mantiene in vita, spezzando la forza di gravità biologica e sociale»).
Confesso che questi ragionamenti mi paiono avventurosi. Fortunatamente nel libro ci sono molte lucide pagine di analisi realistiche della dottrina della Chiesa e della sua storia dogmatica. I corposi capitoli centrali (dal III al VIII) affrontano le questioni cruciali della figura storica di Gesù, le controversie legate alla risurrezione di Cristo, la storia della redazione dei Vangeli. Intendiamoci: in Mancuso che non ci sono novità interpretative, ma la ripresa di critiche storicamente consolidate che danno luogo a puntigliose contestazioni di alcune posizioni della Chiesa (compresa una brillante «Disputa immaginaria con il card. Ruini» sulla consistenza delle prove tradizionali dell’esistenza di Dio).
L’autore si muove con sicurezza nei testi evangelici, analizza criticamente i passaggi classici di Paolo, Agostino, Tommaso su su sino a Benedetto XVI. Mostra i loro punti deboli o sbagliati – ma alla fine è volontaristicamente solidale con loro nella comunanza della fede che non intende affatto abbandonare. Va detto che con altrettanto impegno rilegge e ricupera i classici laici, in particolare Kant. Ma questa operazione è inficiata dalla esclusiva preoccupazione di Mancuso di guadagnare strumentalmente i grandi autori laici (credenti) alla sua idea della centralità assoluta della fede presentata come unico modo autentico di fare domande e dare risposte di senso alla vita. Non c’è traccia significativa del riconoscimento dell’autonomia del pensiero laico.
Vorrei chiudere riportando un passaggio rivelatore. Nel cuore di un’argomentazione decisiva che affronta la figura storica di Gesù e del suo ebraismo, Mancuso scrive «Alla domanda sulla legittimità della connessione tra Gesù-Yeshua e Gesù-il-Cristo è la fede personale di ciascuno a rispondere. Ancora una volta non c’è niente che si frappone tra Io e Dio».
Mi chiedo come si possa costruire una solida teologia critica su questo corto-circuito soggettivo.
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