Gian Antonio Gilli: Una lettura “politica” del “Manuale di ex voto”.

| 3 Ottobre 2016 | Comments (0)

 

E’ uscita recentemente in libreria un’opera sugli ex voto, ossia quelle tavolette dipinte raffiguranti una grazia ricevuta, che si incontrano spesso nei santuari (Gian Antonio Gilli, Manuale di ex voto, Fusta editore, Saluzzo, 2016). Gli ex voto parrebbero, a prima vista, piuttosto lontani dai temi di cui si occupa solitamente Inchiesta: l’autore, tuttavia, dà di questo oggetto tradizionale una lettura in un certo senso ‘politica’. Per questo, e per il carattere di ricerca che il lavoro presenta, ci è sembrato interessante presentare questo libro, e rivolgere all’autore  alcune domande.


D. Nella percezione comune, l’EV appare, semplicemente, come una forma di devozione tradizionale; qualcosa, insomma, che non solleva domande particolari, e che può essere al più utilizzato come documento (peraltro secondario) di storia sociale. La tua impostazione si muove in questa prospettiva, o vi sono altri elementi ?

In effetti, è vero che nell’opinione generale l’EV è unicamente considerato una modalità devozionale, e si deve anzi aggiungere che la stessa letteratura sugli EV si colloca in questa prospettiva. L’EV  esprimerebbe insomma una devozione, e una devozione condivisa, sicché il donatore non farebbe altro che rendersi tramite della devozione della comunità cui appartiene. Nel mio libro ho invece cercato di introdurre, su entrambi questi punti (= devozione e condivisione), considerazioni nuove. Intanto, la devozione è un fenomeno ambiguo, e questa ambiguità – quantomeno nel Cristianesimo – era già stata segnalata in modo allarmato dal suo stesso fondatore. “Quando pregate – dice il Vangelo – non siate come gli hypocritai che amano pregare stando ritti in piedi nelle sinagoghe o agli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini”. Va anche aggiunto che, a parte la preghiera segreta suggerita dal Vangelo, non è facile trovare altri esempi di devozione ‘pura’: tutti quanti, svolgendosi nel sociale, presentano un qualcosa di eccedente, vale a dire, l’intenzione di mostrarsi agli uomini in una luce particolare, e di ricavare da ciò dei guadagni sociali. Va subito aggiunto, tuttavia, che in nessun’altra espressione devozionale, come nell’EV, è presente l’aspirazione a “essere visti dagli uomini”. I donatori di un EV non si limitano infatti a qualche preghiera, ad accendere un cero, a far dire una messa. L’EV va molto più in là: l’intervento dall’Alto viene minuziosamente ‘narrato’ in un’immagine, legando graziato e Entità soprannaturale in un rapporto che, per la natura del mezzo, verrà visto da molti, ed è destinato a durare. Tradotto in termini sociologici, l’EV è in qualche modo una comunicazione di ascesa personale, una comunicazione indirizzata alla comunità di appartenenza del donatore. E questa conclusione solleva molti dubbi sul fatto che l’EV possa essere considerato una manifestazione di devozione condivisa.

 

D. Puoi spiegare meglio questo punto ?

Chiediamoci quali erano le caratteristiche della comunità in cui fiorì l’EV. Era la comunità contadina, quella peasant community su cui si è lungamente soffermata l’antropologia, mostrando come fosse una comunità statica, in cui erano assenti meccanismi endogeni di sviluppo (e, ovviamente, i relativi valori), – tesa dunque alla conservazione dello statu quo; una comunità dove le amicizie erano piuttosto alleanze, dove governavano il riserbo assoluto, la dissimulazione di emozioni, sentimenti, intenzioni e così via, – il silenzio insomma su tutto ciò che avrebbe potuto apparire una minaccia all’equilibrio preesistente. Una condizione che, nell’espressione molto felice di Foster, era governata dal Principio del Bene limitato, alla cui base sta la persuasione che tutte le cose buone del mondo (denaro, terra, status, amore, eccetera) esistano in misura limitata, e che la prescrizione rivolta a ciascuno sia quella di conservare immutata la propria quota, senza perderla, naturalmente, ma anche senza cercare di accrescerla, perché ciò avverrebbe a scapito delle quote di altri. E’ allora evidente perché la comunicazione di ascesa individuale contenuta nell’EV costituisce una minaccia all’equilibrio statico di questa comunità. L’EV appare, sotto questo aspetto, quasi una espressione di hybris, e la sua presentazione – lungi dall’essere una pacifica manifestazione di devozione condivisa – viene guardata con sospetto dal resto della comunità.

 

D. Se così stanno le cose, in che modo, nel tuo modello, il  donatore può presentare al santuario il proprio EV senza essere sanzionato dalla comunità ?

Perché l’EV sia accettabile per la comunità (che non significa certo: gradito), la narrazione votiva effigiata sulla tavoletta deve soddisfare dei requisiti. Mi sembra di averne individuati tre: quello della gravità, quello della non-responsabilità, e quello della moderazione devozionale. Li riassumo brevemente. L’evento da cui si è salvati deve essere grave (la presenza di medici, spesso numerosi, al capezzale significa anche questo). Secondo, il graziato non deve essere responsabile dell’evento dannoso: non a caso, gli EV che presentano infortuni successi a bambini piccolissimi, e conclusisi  felicemente, assai raramente mostrano la madre che accorre tardivamente (il che sarebbe inescusabile), ma ‘mandano avanti’ il padre, che nella società di allora non è direttamente responsabile dei bambini di quell’età.  Terzo requisito, l’EV non deve mostrare nel graziato una devozione immoderata, il che significherebbe attribuire la grazia a meriti del graziato: questo suonerebbe indirettamente a biasimo di chi, in analoghe circostanze, non ha saputo esibire analoga devozione. Questo terzo requisito è il più importante, e tutti i dati da me raccolti mostrano che esso è tenuto presente in modo particolare nella classe sociale maggiormente sottoposta al principio del Bene limitato, i contadini.

 

D. Sicché, riassumendo, se l’essenza dell’EV non è la devozione, così’è l’EV ? Cos’è l’altro-da-sé della devozione ?

L’EV è sostanzialmente un’espressione di individualismo, esercitata nei confronti di quella che, per questi soggetti, è la controparte ‘politica’ più importante: non la società generale, non le classi superiori (tutte entità lontanissime), ma la comunità di appartenenza, – ossia il soggetto più capace di soffocare, capillarmente e in modo diffuso, qualsiasi pulsione individualistica. L’EV rappresenta dunque un capitolo mai scritto nella storia dell’individualismo: un capitolo che non tratta di grandi movimenti intellettuali e di grandi nomi, ma di soggetti in condizione subordinata, con risorse materiali e simboliche modeste (il grosso dei donatori di EV è così). Nessun altro mezzo, a parte l’EV, era loro disponibile per realizzare una presentazione del sé così forte, fino al punto di effigiare se stessi, e di farlo in interazione col Divino, consegnando poi tale effigie a un luogo pubblico. Mi sembra dunque questo, nell’EV, l’altro-da-sé della devozione, e non è un caso che la Chiesa sia sempre stata tiepida, se non ostile, nei confronti dell’EV. Certamente una chiesa tappezzata di EV  rappresentava un valore agli occhi dei fedeli, ma la Chiesa in qualche modo avvertiva bene il carattere di ‘auto-certificazione’, di auto-gestione del divino (e, in fondo, di sua strumentalizzazione) che la pratica dell’EV comportava.

 

D. Oltre a questa nuova proposta di lettura dell’EV, di cosa parla il tuo libro ? Ti chiedo questo perché il titolo – Manuale di ex voto –suggerisce non solo l’illustrazione di un’ipotesi, sia pure generale, sull’EV, ma anche una presentazione per così  dire ‘sistemica’ di tutte le conoscenze in materia. E’ così ?

In effetti, Manuale di ex voto ha anche un’ambizione di questo tipo, di organizzare in un quadro integrato le conoscenze in materia di EV, o meglio, le conoscenze fornite dalle scienze sociali. Ho infatti cercato di illustrare sistematicamente i principali aspetti socio-antropologici della scena dipinta, dalle caratteristiche del graziato a quelle dell’evento, dall’Entità soprannaturale evocata alla devozione mostrata nei suoi confronti, e persino al modo in cui tale Entità ‘reciproca’ questa devozione. Tutto questo materiale deriva (e anche questa è una novità rispetto alla letteratura precedente) da una ricerca che ho appositamente condotto su circa 1200 EV appartenenti a nove santuari (o gruppi di santuari) sparsi per la penisola: certamente la ricerca più articolata mai condotta in materia. Ciascun EV è stato ‘tradotto’ in una scheda, in cui erano ovviamente codificate tutte le caratteristiche anzidette. Sono i dati forniti da questa ricerca che hanno prodotto le conoscenze anzidette, oltre a costituire il supporto di tutta la parte ‘qualitativa’ (di cui ho parlato prima) del lavoro.

Ovviamente, tutte queste caratteristiche sono non solo illustrate, ma anche (questo interessarà forse i lettori di Inchiesta) quantificate, e soprattutto incrociate fra di loro, generando un centinaio di tavole statistiche (che in grande maggioranza vengono nel testo solo commentate, e sono state rese disponibili a tutti sul sito online dell’editore). Anche questa attenzione ai numeri è una novità forte nella letteratura dell’EV, con un solo precedente: il lavoro di Cousin (1983) sugli EV provenzali: un’opera classica, molto citata ma poco influente sulla letteratura degli EV, che ha continuato a ignorare qualsiasi preoccupazione quantitativa, che sola consentirebbe uno sviluppo ‘cumulativo’ di questo campo. Cousin aveva proposto qualche distribuzione incrociata (quasi scusandosene con il lettore), ma sotto diversi punti di vista il suo lavoro presentava dei limiti: a parte alcune incertezze metodologiche, non si poneva problemi di comparazione. Nel mio lavoro invece tutti i dati quantitativi emersi dalla ricerca vengono confrontati con i (seppur rari e saltuari) dati quantitativi reperibili in pubblicazioni precedenti; inoltre, in una appendice dedicata alla metodologia della ricerca sugli EV, vengono affrontati problemi fondamentali quali rappresentatività, validità e attendibilità.

 

D.Un’ultima domanda, relativa all’oggi. In questa epoca di laicizzazione della società si assiste ad una crisi di molte espressioni devozionali, e quindi anche (come il tuo libro documenta) ad una crisi ‘quantitativa’ dell’EV. Sembrerebbe insomma che l’EV sia un fenomeno prevalentemente ‘storico’.

E’ vero: quello che era, nel 700, l’800, e ancora nei primi decenni del 900, un vero e proprio fiume di EV, si è, se non inaridito, drasticamente ridotto, e gli EV ancora presentati sono spesso EV fotografici, che hanno poco a che fare con l’EV tradizionale. La spiegazione abituale di questa caduta drammatica è che si tratti di una conseguenza, o di una espressione, della laicizzazione, che avrebbe compresso drasticamente l’esperienza devozionale. Certo, per chi pensa che l’EV si esaurisca nell’essere un’espressione di devozione, è la laicizzazione ad avere determinato la crisi dell’EV. Da parte mia credo invece che, anche qui, la devozione c’entri solo in parte. A parte il fatto che la crisi dell’EV è ben più forte della crisi devozionale (che quindi non basterebbe a spiegarla), io credo, come ho detto,  che la devozione non sia che lo sfondo dell’EV. In un certo senso, l’EV è sempre stato ‘laico’ (la Chiesa l’aveva capito bene), e andrebbe letto come una delle più forti espressioni di individualismo nei confronti di una comunità. E’ allora alla situazione attuale di queste comunità che occorre riferirsi per capire cosa è successo agli EV. Queste comunità sono scomparse, o sono diventate al più comunità di seconde case: scomparsi i loro valori, positivi o negativi che fossero, scomparsi i meccanismi sociologici che ne consentivano la permanenza. Esse non hanno più alcuna capacità normativa, e non rappresentano più, per il soggetto ‘individualista’ di oggi, una controparte significativa. Come bersaglio all’invidualismo, la comunità tradizionale è scomparsa; altre ‘comunità’, virtuali e non, le hanno sostituite. Anch’esse, naturalmente, possono essere bersaglio della pulsione individualistica, ma le modalità disponibili oggi per esprimerla sono ovviamente assai diverse dall’EV.

 

Category: Culture e Religioni, Libri e librerie

About Gian Antonio Gilli: ì GIAN ANTONIO GILLI, professore ordinario di Sociologia presso l’Università del Piemonte Orientale, lavora da decenni su due temi. Il primo riguarda lo schema corporeo e le sue ‘patologie’, e la ricostruzione delle sue origini. Il secondo (di cui il presente volume rappresenta il prodotto più recente) riguarda l’esperienza religiosa nelle sue manifestazioni più ‘materiali’, quali le pratiche corporee di devozione, o, appunto, l’offerta votiva. Tra i suoi libri: Come si fa ricerca, Oscar Mondadori, Arnoldo Mondadori, 1971; Origini dell’eguaglianza - Ricerche sociologiche sull’antica Grecia (Einaudi, Torino 1988); L’individuazione – Teste date per molti (Scriptorium, Torino 1994); Arti del corpo - Sei casi di stilitismo (Gribaudi, Cavallermaggiore 1999); Manuale di sociologia (Bruno Mondadori, Milano 2000); Genesi dell’universalismo - Sociologia della società arcaica (Nicomp, Firenze 2005); “Cycles of life of charisma: the case of Jesus” (in Rivista di storia e letteratura religiosa, XLV, 2009, pp. 395-432); “Sul versante della domanda” (in L. Berzano e C. Loschi, Liberami dal male. Una famiglia di guaritori nelle campagne astigiane (SEI, Torino 2013), pp. 211-227); Membra Vagavano (workshop a cura di, Torino 2013) Sulla colonna – Le basi corporee dell’esperienza ascetica (Mimesis, Milano 2015); “What are renouncers renouncing? Asceticism and body map” (in Norm and Exercise: Forms and History of Christian Asceticism in Late Antiquity, Brepols, Turnhout, Belgium, 2016); Manuale di ex voto (Ed. Fusta , 2016)

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