Eloisa Betti: La flessibilità post-fordista tra retorica e politica di Ilaria Possenti
Il volume di Ilaria Possenti (Flessibilità. Retoriche e politiche di una condizione contemporanea, Ombre Corte, 2012), affronta un tema largamente indagato dalla letteratura economico-sociale dell’ultimo quindicennio, ma ancora scarsamente oggetto dell’interesse degli umanisti: il fenomeno della flessibilità nella società post-fordista. La conoscenza approfondita della letteratura sulla flessibilità e delle sue basi teoriche consente a Possenti di affrontare l’argomento nella sua costitutiva essenza interdisciplinare, ma è nell’approccio squisitamente filosofico adottato dall’autrice che sono racchiusi i tratti di maggiore originalità del volume.
Nelle prime due parti del volume, il lettore viene guidato alla riscoperta delle premesse teoriche della flessibilità attraverso un percorso che si snoda tra i classici della sociologia e della filosofia: dal più noto Bauman si passa a Georg Simmel e Gregory Bateson, rivisitando Marx, Arendt ma anche Ricoeur, Dewey, James. Tra critica delle grandi narrazioni sulla post-modernità, a partire dal mondo liquido di Bauman, e rivalutazione di alcuni tratti tipici della modernità, come il concetto di abitudine nelle sue molteplici derivazioni (James, Dewey, Bourdieu), l’autrice svela progressivamente la capacità pervasiva della flessibilità sull’individuo-soggetto e sul cittadino-soggetto. La tesi sostenuta è che la flessibilità, una volta interiorizzata dagli individui, li priva della possibilità di formarsi come soggetti poiché mette in discussione l’opportunità stessa del formarsi delle abitudini in un mondo in continuo cambiamento. E’ proprio il concetto di abitudine che l’autrice rivaluta, sulla scorta del pensiero filosofico contemporaneo, slegandolo dalla connotazione negativa della routine e ampliandone il campo semantico in stretta correlazione al concetto di plasticità.
La lenta decostruzione dei presupposti teorici alla base del paradigma della flessibilità produce nella terza parte del volume un disvelamento dei meccanismi di potere che costituiscono, al di là della retorica, la vera ragion d’essere della flessibilità. Qui, essa viene indagata, analogamente a quanto fatto dall’autrice nel volume da lei dedicato al tema dell’immigrazione, in qualità di “dispositivo”, attraverso un’esplicita rielaborazione della definizione del termine data da Foucault. La flessibilità di cui parla Possenti non è, per sua stessa ammissione, “astorica e astratta”, bensì storicamente situata nella società post-fordista e ad essa funzionale come “dispositivo di espropriazione della nostra plasticità personale”. Le implicazioni non solo socio-economiche ma anche psicologiche, antropologiche, politiche del dispositivo di “flessibilità” sono oggetto di un’attenta riflessione, che pagina dopo pagina insinua dubbi sul bagaglio retorico utilizzato per promuoverla, evidenziando lo iato tra le retoriche sulla flessibilità e suoi effetti materiali e immateriali. Tra le “false retoriche” oggetto di critica figurano l’equazione tra flessibilità e libertà soggettiva, decostruita a partire dalla condizione di espropriazione sperimentata dai lavoratori della conoscenza, ma anche la tesi della flessibilità come un processo di “femminilizzazione del mondo”, mettendo in evidenza i limiti di alcune letture che vedono nel passaggio tra fordismo e post-fordismo l’ascesa di lavori e competenze femminili.
Proprio nelle conclusioni, che tutt’altro che casualmente sono “sul caso europeo”, il processo di svelamento dei meccanismi di potere insiti nel dispositivo di flessibilità giunge al culmine, mettendo in discussione, nella loro stessa radice semantica, i presupposti della strategia europea sull’occupazione a partire da concetti come life long learning e flexicurity. Analizzando i principali documenti europei sull’occupazione, Possenti evidenzia come a partire dagli anni Novanta sia stata promossa a livello europeo una retorica che prefigurava una sintesi tra richieste avanzate dalla società e quelle avanzate dall’economia, di cui il paradigma della flessibilità rappresentava il fulcro. I lavoratori e le lavoratrici, non sono più visti come cittadini, ma come risorse da adattare in virtù di un processo di continua flessibilizzazione necessario alle imprese e alla competitività del sistema. Sono in primo luogo le pratiche di cittadinanza e il suo lessico che vanno a perdersi nella strategia tesa a fare dell’Europa l’economia della conoscenza più competitiva e dinamica al mondo.
Le politiche di flexicurity sono funzionali al “dispositivo di flessibilità”, poiché l’instabilità del lavoro è accettata come normale meccanismo di funzionamento del sistema. Lo shift semantico da occupazione a occupabilità nasconde un passaggio più importante: l’individuo non è più un soggetto titolare di diritti, quali il diritto al lavoro, che le politiche devono garantire, ma diviene un soggetto caricato di doveri e responsabilità, in primis quello di essere occupabile, dovendosi adattare alle richieste dell’impresa attraverso processi continui di formazione per il lavoro. La riflessione di Possenti, nella sua radicale critica delle basi teorico-filosofiche della strategia europea per l’occupazione, svela la vera natura delle politiche europee, il cui obiettivo non è quello di creare lavoro e migliorarne la qualità bensì quello di supportare la competitività dei lavoratori per conquistare un lavoro e riconquistarne un altro quando il primo necessariamente sarà perduto.
Il carattere innovativo di questo volume consiste proprio nel processo di disvelamento dei meccanismi di potere e dei presupposti teorici che si celano dietro alle retoriche sulla flessibilità, contribuendo a fornire un apporto di primo piano al dibattito in corso ormai da due decenni sul rapporto tra flessibilità e precarietà. Ciò che Possenti dimostra sul piano teorico è che non esiste una “flessibilità buona” e una “flessibilità cattiva”, perché sono i presupposti stessi di una flessibilità giocata unicamente a favore dell’impresa ad espropriare l’individuo-lavoratore post-fordista.
Articolo pubblicato in “Inchiesta”181, luglio-settembre 2013
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