Cristina Biondi: 16 Nuovo dizionario delle parole italiane. Da “Aiutiamoli a casa loro” a “Signore e signora”

| 22 Luglio 2019 | Comments (0)

 

AIUTIAMOLI A CASA LORO

L’esortazione suona bene se siamo Missionari Comboniani o Medici Senza Frontiere che prendono armi (tipo bisturi) e bagagli per andare a operare in giro per il mondo bambini nati con la labioschisi. Beato il paese che non ha bisogno di santi ed eroi che tengano alta la reputazione nazionale, accattando la delega di tutti coloro che proclamano: “armiamoci e partite!” (la pistola rimane nel comodino, per difesa personale). Sta di fatto che le mele del Trentino difficilmente giungono in Senegal o in Angola, mentre noi mangiamo ananas e banane, senza nemmeno pensare che loro ci stanno aiutando a casa nostra. Le società avanzate sono consapevoli della complessità dei rapporti internazionali e non si sognano nemmeno di far ricadere sui singoli cittadini una qualche responsabilità per quello che combinano i loro connazionali all’estero. Molti sono i faccendieri, gli avventurieri che fanno altrove quello che non mancano di fare a casa propria, il disagio di vivere in un mondo difficile e corrotto si combatte dotandosi di poche e semplici opinioni, recintando il giardino e piantando nelle aiuole fragole e fiori, portatori di bellezza e ignari della profondità del misterium iniquitatis. C’è qualcosa di sottilmente diabolico nell’espressione “a casa loro”: che struttura sociale avranno mai questi popoli migranti? Vengono da luoghi di povertà, immaginiamoli con un tetto di lamiera sulla testa, raccolti intorno a un rudimentale focolare; di cos’altro potrebbero aver bisogno, se non di un piatto di minestra? È a noi che servono uranio, iridio, rodio, tellurio, rutenio, osmio, palladio…

 

L’UNIVERSO E LE MELE

Uno scienziato ha sostenuto che, volendo fare dal nulla una torta di mele, bisognerebbe prima creare l’intero universo. Ora la civiltà umana è stata forgiata da mani maschili, hanno fatto tutto loro, eccezion fatta per la torta di mele. Nell’inferno di Dante le donne sono praticamente ignorate e ne ricordiamo una sola: Francesca, che invece di amare il sapere interruppe una lettura, nemmeno particolarmente istruttiva, per sbaciucchiare Paolo, incline a dare più attenzione a una donna che allo scibile umano.

“Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse”: sono dell’idea che anche all’inferno dovrebbero venir introdotte le quote rosa, rappresentate dalle autrici di romanzi per fanciulle.

La grande competenza in fatto di torte di mele applicata all’intero universo maschile ha portato a elucubrazioni filosofiche e a exploits letterari molto interessanti: cito Hannah Arendt, Simone Weil e Irene Nemirovsky; le tre donne hanno qualcosa in comune, il ché non è affatto casuale.

Exploit” in informatica indica un codice che, sfruttando una vulnerabilità, porta all’esecuzione di un codice non previsto (chi ci capisce qualcosa è bravo), mentre l’etimologia del termine ci porta al verbo latino explicare: portare a termine (vorrei tanto evitare le ripetizioni, ma al momento non trovo nemmeno una porta per uscire dalla situazione).

Ora c’è da sperare che le donne conservino il segreto per far bene la torta di mele senza distruggere l’intero universo e, se spettasse a loro il compito di portare a temine qualcosa, lo sappiano fare nel pieno rispetto dell’ambiente.

 

ADULTERIO

Da duemila anni si sa che in caso di adulterio sarebbe bene astenersi dal lapidare la moglie, anche se per lungo tempo i mariti, soprattutto se intervenuti in medias res, hanno ucciso entrambi gli amanti o uno di loro a scelta. Avviene sempre più raramente che il coniuge intervenga sulla scena del tradimento, non più ritenuto il movente dell’omicidio, ma l’antefatto dell’abbandono, oggi punito con la morte.

Sino a quando il matrimonio è stato indissolubile, al tradimento non seguiva il divorzio ed era opportuno mantenere uno stretto riserbo sui propri affari di cuore e mentire sempre, anche di fronte all’evidenza. Nulla vieta di continuare tutt’ora così, tenendo il piede in due staffe. Le donne hanno mentito e mentono meglio degli uomini, servendosi del silenzio piuttosto che delle bugie, che, come si sa, hanno le gambe corte. Chi è abile nel non dire nulla e nel dissimulare le proprie emozioni rimane padrone del gioco, con buona pace di tutti, anche se chi è all’oscuro della propria situazione può rendersi conto di sapere di non sapere. Non tutti i confessori fanno domande precise sul “quante volte, dove, come, quando, con chi”, ritenendo che il render conto delle proprie colpe sia qualcosa di diverso dal tenere aggiornata la contabilità dei propri atti peccaminosi.

Spesso avviene un improvviso voltafaccia: si mantengono i propri segreti sino al momento in cui conviene scoprire le carte e solo allora alle bugie si sostituisce la verità, lodevole in quanto tale se non corrispondesse a una visione della vita di coppia del tutto unilaterale: “Non ti amo più, quindi ti lascio”. Il fedifrago, vantando una maggiore esperienza di vita e un sano senso del limite, si assume il monopolio della verità (io la dico adesso e tu taci per sempre). Le visioni del tutto unilaterali sono state una prerogativa maschile e quando avviene un’inversione dei ruoli, nulla meglio dell’omicidio ristabilisce in via definitiva la tradizionale asimmetria all’interno della relazione coniugale.

 

DELITTO PASSIONALE

Otello e Desdemona: la gelosia è nera, primitiva e sovrana. Nei secoli ha perseguitato anche donne immacolate, pazienti e succubi, la cui unica colpa era la bellezza, unita a un animo gentile al quale era difficile perdonare l’aspirazione a una vita ultraterrena meno vessata dalla prepotenza. Ove però vi era prova di colpevolezza, di tradimento, la scure cadeva per evitare a tutti, mogli, mariti e amanti, di infilarsi in quel ginepraio di complicazioni emotive che oggi mantiene stuoli di psicoanalisti e di avvocati.

Da quando l’adulterio non è più un delitto, al delitto passionale si è sostituito il delitto abbandonico e l’incapacità di stare da soli, dal momento che motiva l’omicidio, non può che essere una pessima cosa. Bisogna essere indipendenti, avere la forza di ricominciare, portandosi dietro, inappagato per tutta la vita, il desiderio di uccidere.

FAMIGLIA FELICE

Oggi diamo per scontata la scomparsa della famiglia patriarcale e stiamo affrontando la disgregazione della famiglia nucleare, attendendo che prendano forma sociale le famiglie costituite da singoli protoni. Esistono anche altre particelle subatomiche, ma non rappresentano ancora gli oggetti di un sapere condiviso, mentre grosso modo tutti abbiamo sentito parlare di protoni, neutroni, elettroni. E di vuoto: la famiglia nucleare è circondata dal vuoto e quasi nessuno si sente più soffocare all’interno di legami troppo stretti, semmai avverte un freddo siderale.

Eppure a livello teorico viene valorizzata sempre più la funzione positiva, strutturante, dei rapporti umani, dei legami, del rispetto all’interno delle relazioni uomo-donna (è l’attenzione che si dedica a ciò che è sull’orlo dell’estinzione?).

Chi ha inneggiato all’amore libero nella sua giovinezza, ora deve fare i conti con le infinite incomprensioni seguite ai tentativi di stabilire un contatto profondo tra i sessi. È stato aperto il vaso di Pandora (una donna alla quale gli dèi avevano fornito ogni talento: oggi le avrebbero permesso persino di laurearsi, evitando che la sua curiosità avesse come oggetto esclusivo quel benedetto scrigno).

La speranza non è mai uscita dal vaso ed è l’ultima a morire e quindi non dobbiamo rinunciare a una famiglia felice: l’empatia e l’arricchimento emotivo vanno cercati relazionandoci con il cane o con il gatto di casa e impegnandoci a decostruire le nostre identità. Se vi sembra un’idea balzana leggete la teoria del divenire-animale di Gilles Deleuze. In ogni caso è meglio se ci accontentiamo di coccolare Fido e Fufi, facendoci a nostra volta coccolare e condividendo i loro stati mentali, piuttosto che stringere rapporti emotivi con Moby Dyck (nemmeno lei desidera far parte della nostra famiglia).

 

TELEFONINO

Ha più risorse di Eta Beta, ma c’è chi sostiene che serva soprattutto per scrivere SMS: è sempre meno piacevole mettere in gioco la propria voce. Siamo tracciabili ed è comprensibile che non si voglia essere rintracciabili in cielo, in terra e in ogni luogo. Non potendo avere la verità in tasca, teniamo lì il cellulare e perderlo comporta ciò che un tempo succedeva a causa del peccato mortale: si rimane esiliati dalla società dei viventi. I confini della nostra persona sono diventati un enigma da quando il telefonino ci ha fornito una seconda anima, duplicato immateriale della nostra realtà corporea. Facciamo un mare di fotografie e cloniamo noi stessi per sfilarci dalla situazione, mandando in giro un nostro alter ego sorridente in pizzeria, allo stadio, abbracciato a chiunque si presti a fare un selfie con noi. La banalità ci sommerge, l’irrilevanza consuma i nostri giorni mentre lasciamo messaggi nel tentativo di depistare i dispositivi altrui, ma non si sfugge, ci si può dare alla macchia solo per breve tempo dove non c’è campo (talvolta succede di non aver campo tra i campi, e la differenza tra il singolare e il plurale del sostantivo segna il labile confine tra l’astratto e il concreto). Il telefonino è indispensabile come l’aria, ma mentre l’aria e l’acqua ci sono necessari da sempre, lui lo è diventato e c’è da temere che a breve ci capitino tra capo e collo altre diavolerie capaci di tenerci prigionieri. Non siamo noi a tenere i contatti, sono i contatti a tenere noi.

 

POLVERE

La polvere simbolizza bene il rapporto della casalinga con il tempo: la polvere c’è e la polvere ritornerà. I lavori domestici consistono nel fare e rifare sempre le stesse cose: cucinare, pulire; ogni giorno la clessidra viene rovesciata e, se tutto va bene, la casa torna a essere com’era prima, come è sempre stata e sempre sarà. Tutti torneremo polvere, eccezion fatta per il conte Dracula che non si preoccupa nemmeno di rimuoverla dagli arredi del suo castello, permettendo che i lampadari vengano velati da innumerevoli strati di ragnatele. L’effetto è macabro e fa presagire che il padrone di casa si conceda di vampirizzare anche le donne che, armate di piumini e ramazze, si incarichino di contrastare il suo stile di vita, orientato a una virile noncuranza per i problemi quotidiani.

Anche oggi è difficile che una signora venga del tutto esonerata dai suoi compiti tradizionali, delegando ad altre le proprie mansioni, e se lo fa non può evitare di occuparsi della supervisione; solo le dame di alta nobiltà hanno vissuto senza curarsi di come procedesse il loro ménage, affidato a uno stuolo di servitori che non ritroviamo più nemmeno negli alberghi a cinque stelle.

Da quando la metà del genere umano che faceva e disfaceva la tela di Penelope si è proposta per ruoli di architetto o di ingegnere, c’è il rischio di un’escalation che riempia il mondo di realizzazioni e impianti non biodegradabili. Dallo stato delle cose si deduce che le donne dovrebbero limitarsi a fare le restauratrici, garantendo, almeno ai nostri luoghi più belli un buon stato di conservazione.

 

SIGNORE E SIGNORA

Donna viene dal latino domina; nella lingua italiana si conserva una traccia di rispetto, di ossequiosa gentilezza nel saluto: “Buongiorno signora”, mentre raramente avviene di apostrofare un uomo chiamandolo signore.

Non distinguiamo più l’homo, l’essere creato dalla terra (da humus), dal vir, il maschio coraggioso; chi non trova una differenza significativa tra i due termini, chi non rileva una perdita di espressività del linguaggio, osservi con attenzione i bronzi di Riace.

Mentre della donna si producono milioni d’immagini, non permettendo alcun nascondimento (arcana dominae revelo secreta: traducetelo da voi), l’uomo moderno rifugge dalla nudità e chi si espone in tutta la sua bellezza per reclamizzare un profumo (pour homme), viene sospettato di essere gay.

Nella nostra cultura la nudità rimanda alla spoliazione, al possesso carnale, all’oggettivazione da parte dell’osservatore, mentre un bronzo di Riace, se potesse parlarci, ci direbbe: “Io sono mio”. Napoleone, il vir moderno per eccellenza, è stato ritratto da David a cavallo: solo il viso è scoperto, lo avvolge un panno rosso mosso dal vento che, più che un indumento maschile come potrebbe essere una cappa nera, sembra il manto di una Vergine in gloria. Ha persino i guanti, è lontano dalla nudità quanto un esploratore spaziale; il ritratto, nonostante le disavventure dell’imperatore, è rimasto alla Malmaison.

Diverso è stato il destino della statua di un nudo, realizzata dal Canova, conosciuta come: Napoleone Bonaparte come Marte Pacificatore. A parte l’equivoco sulle intenzioni di Marte, Napoleone non gradì affatto di trovarsi sans culottes e la sua statua, invece di finire in un panteon greco o romano, si trova nella casa del duca di Wellington, il vincitore della battaglia di Waterloo. Mi astengo da ogni commento.

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