Cristina Biondi: 12. Nuovo dizionario delle parole italiane. Da La pioggia e le farfalle a Il primo Re

| 26 Marzo 2019 | Comments (0)

 

 

LA PIOGGIA E LE FARFALLE

L’essere umano esprime la follia del mondo, non riesce mai a trovare una posizione equilibrata, soprattutto dove è in gioco la propria e altrui responsabilità. Si è passati dal “Piove, governo ladro” al “Se una farfalla batte le ali a Pechino, a New York arriva la pioggia invece del sole.”

Nell’uno e nell’altro caso i politici sono considerati degli irresponsabili o per eccesso o per difetto d’incisività. Nelle società antiche vi era la tendenza a vedere nella cattiva condotta dei regnanti la causa delle calamità naturali, nelle società moderne vi è la consapevolezza che i disastri ecologici sono bombe a orologeria che nessuno può, e spesso nemmeno vuole, disinnescare, quindi è iniziato il conto alla rovescia e il volo della farfalla, se non fa la differenza, può almeno simbolizzare quel battito d’ali che annuncerà l’arrivo dell’angelo sterminatore.

Quando i politici tendono a esagerare si impadroniscono di elementi mitici in modo trionfalistico senza afferrarne quella logica profonda che potrebbe renderli lungimiranti. I figli della lupa erano destinati a opporsi l’uno all’altro in una guerra civile, sull’esempio di Romolo e Remo, a loro volta emuli di Caino e Abele. Per concludere il secondo conflitto mondiale ed evitare che avesse luogo una faida interminabile sull’esempio di Eteocle e Polinice, sono intervenuti gli americani. Abbandonato il loro orizzonte mitico, che ha fatto volgere il loro sguardo sempre a Ovest, sono tornati a Est, terra dei padri e dei nonni. Per aggirare la terribile logica della nemesi che rischia di investire chiunque torni sui suoi passi, Edward Norton Lorenz, un americano, si è inventato la teoria del caos secondo la quale una farfalla che batte le ali a Pechino può provocare la pioggia a New York, senza nessuna responsabilità dei ladri al governo. Pur dotato di un grande ingegno, di certo non era del tutto consapevole di essere il profeta della globalizzazione. La farfalla che batte le ali a Pechino turba il sonno degli statunitensi e, se anche la nemesi riuscisse ad assumere dimensioni globali, sarebbero incubi per tutti: provate a immaginare cosa succederebbe se a battere le ali in Cina fossero gli antichi draghi, senza che nessuno in Occidente riuscisse a capire da quali miti traggono la loro forza.

LA SCIENZA E I PROFETI

La scienza ammette di avere dei geni che militano nelle proprie file, mentre disconosce i propri profeti. Gli atei sono del tutto inconsapevoli di agire per ispirazione divina, ma questo non è un problema, la loro stella rifulge come un faro nella notte.

Freud, passato alla storia come il padre della psicanalisi, si è incaricato di traghettare parte del popolo di Israele dalla discendenza di Davide a quella di Edipo, compiendo un’impresa che a suo confronto l’attraversamento del Mar Rosso è stata una passeggiata.

Davide ed Edipo si macchiano degli stessi crimini: entrambi uccidono il marito di quella che diverrà la loro moglie, e subentrano a re destinati a perdere rovinosamente la loro corona. Entrambi divengono sovrani dopo essere sfuggiti ai progetti di morte dei loro predecessori. Il destino di Davide si compie col favore di Dio, che gli concede la stessa benevolenza che in futuro avrebbe accordato al figliol prodigo, Edipo è perseguitato dalla sfortuna, dalle profezie, vittima di un inanellarsi di coincidenze tanto atroci quanto improbabili. Davide fa disastri fidandosi della propria buona sorte, delle benedizioni e dei favori del Cielo, Edipo fa disastri, e nel farli li subisce, cercando di sfuggire alla cattiva sorte. Oltre alle notevoli coincidenze, entrano in campo opposizioni, perfettamente speculari: Davide riconosce re Saul addormentato e lo risparmia, Edipo non riconosce re Laio e lo uccide, Davide ragazzino viene unto sulla testa, Edipo neonato viene tenuto per i piedi.

Freud capovolge il mondo anticipando l’evento più traumatico del secolo scorso: il popolo che, godendo dei favori di Dio era stato salvato dalla schiavitù in terra di Egitto e condotto nella terra promessa, è stato quasi sterminato nei campi di concentramento. Da Davide a Edipo: dall’esodo all’olocausto.

 

TRAUMA

L’animus è l’archetipo maschile presente in ogni donna. Fino a ieri potevo dubitare della sua esistenza, oggi il mio animus mi ha dato una dimostrazione di quanto esso possa determinare i miei pensieri, orientati al più reazionario maschilismo.

Ma come, può succedere che un ragazzo venga molestato sessualmente da un’attrice, bella e affascinante? Quando mai un topolino si è mangiato il gatto? Secondo la testimonianza di Dacia Maraini, in Sicilia il sesso dell’uomo agisce in piena autonomia dai centri nervosi superiori, seduce e stupra per un semplice riflesso spinale, è possibile che altrove esso si armi sotto costrizione, obbedendo all’imperioso desiderio di una donna? Non bastava il vittimismo femminile, adesso anche i maschi si lamentano di venir abusati dalle donne?

Il sesso dovrebbe essere solo piacere, gioco, conquista, sana esuberanza. Un po’ di crudeltà non guasta: la prepotenza è una manifestazione di salute, non può che generare ammirazione. Ci manca solo che un ragazzino viva la sua iniziazione come un trauma!

Non riesco proprio a capire come io, donna, possa pensarla così. Il mio animus merita di venir censurato, condannato a una pena pecuniaria, obbligato a dieci anni di psicoterapia e bombardato con un bolo di estrogeni.

Una volta il trauma rimaneva seppellito nell’inconscio ed era compito degli psicanalisti, discreti come confessori, conciliare i pazienti con il proprio destino, liberandoli dall’oppressione di sintomi e angosce.

Oggi il professionista del trauma è l’avvocato, la vittima va risarcita, il suo dolore e la sua rabbia chiedono comprensione e condivisione. I due procedimenti convergono solo su una finalità: liquidare il trauma. Va constatato che i colpevoli sono quelli di sempre, mentre le vittime non sono più quelle di una volta.

BREXIT

Brexit: la Gran Bretagna esce dalla Comunità Europea, pur sospettando di aver fatto una gran cavolata (chi è grande sbaglia alla grande). Il problema è che l’exit nella società moderna ha sostituito l’exitus e se un tempo era la morte a separare i coniugi e gli inglesi prendevano le distanze da francesi e tedeschi battendosi a Waterloo o sbarcando in Normandia, oggi la Signora con la falce tarda a giungere e non ha più un aspetto così minaccioso, quindi bisogna ricorrere al divorzio e alla Brexit, invece di seguire in gramaglie il carro funebre o arrossare di sangue i campi di battaglia.

Forse un tempo il rischio concreto di perdere i coniugi e i figli rinsaldava le unioni e gli affetti o per lo meno consigliava di portare pazienza, mentre l’odio che ha sempre serpeggiato nel mondo riceveva un tributo ben più significativo di quel pugno di persone che cadono vittime di brevi attimi di follia.

Separarsi oggi è pensata come la soluzione delle soluzioni e i fedifraghi si liberano dei loro legami senza nemmeno necessitare di un’assoluzione che riconosca la colpa insita nel tradimento e nell’abbandono.

Brexit: conviene o non conviene? Ci sono ancora in giro politici, poeti, navigatori e santi che riescano ad accedere a forme più nobili di pensiero?

BANCHE E BREXIT

I risparmi vanno depositati in banca o messi sotto il materasso. Bisogna anche dare a Cesare ciò che è di Cesare: su alcune monete da un euro è raffigurato l’uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, inscritto tanto nel cerchio quanto nel quadrato. Se pagassimo i tributi a lui, forse sarebbe in grado di far quadrare anche i conti dello Stato.

Restare nell’euro rende poco probabile che i soldi sotto il materasso diventino presto carta straccia, mentre il denaro affidato agli istituti di credito è una realtà virtuale, essendo le banche strutture assai complesse, troppo complicate perché i comuni mortali possano sapere se i loro risparmi esistono ancora o si sono perduti tra le infinite cifre contenute nei computer. Ci sono e non ci sono, in linea di massima danno pochi interessi ed è meglio non essere avidi, non ascoltare i consigli del gatto e della volpe, ma sperare di riavere i propri zecchini a tempo debito.

Tutti vorremmo che il denaro fosse ancora protetto in edifici solidi e austeri, inespugnabili, con caveaux dotati di pesanti porte in acciaio. Era così bello quando ci s’illudeva di saper distinguere le guardie dai ladri! Se le banche entrano in sofferenza sono tutti cavoli dei risparmiatori, ma chi rimane imbrogliato reclama un risarcimento dallo Stato che, se non riesce a fare da garante, faccia almeno da consolatore degli afflitti.

L’Unione Europea è un’organizzazione sovranazionale politica ed economica sempre a rischio di secessione e nel clima d’incertezza c’è chi sente l’esigenza di rifondare il patto sociale, chi sogna sussidi e solidarietà e chi va a comprarsi un fucile. Non è giusto che le cicale e le formiche condividano lo stesso destino di povertà e gli inglesi hanno deciso di starsene per conto loro, ma è poco probabile che il loro formicaio sia a prova di crisi, anche nell’ipotesi che Dio salvi la regina. Chi ha avuto un impero non ama le organizzazioni sovranazionali (anche Trump le detesta), ma non è facile andare d’accordo nemmeno in casa propria: i britannici hanno litigato persino sulla Union Jack che mette insieme le croci di San Giorgio (patrono d’Inghilterra), di Sant’Andrea (patrono di Scozia) e di San Patrizio (patrono d’Irlanda, in ottimi rapporti con Roma). Non c’è quindi da meravigliarsi se oggi come oggi non sappiano a che santo votarsi.

Gli ideatori della bandiera dell’Unione Europea potrebbero essersi ispirati alla “Stars e Bars” degli Stati Confederati d’America, notoriamente secessionisti, e questo non porterebbe bene. Si è discusso a lungo su quale immagine potesse rappresentare gli ideali di unità, solidarietà e armonia dell’Unione Europea, alla fine si è deciso per dodici stelle d’oro su campo blu: dodici i mesi dell’anno, dodici i segni zodiacali. Sembra che il disegnatore, Arsène Heitz, avesse pensato alla corona di dodici stelle sul capo della Donna dell’Apocalisse. È difficile stabilire se sia un segno di buono o cattivo auspicio, di certo è un segno grandioso.

BANCA DEL SEME

Chi vuole comprare una casa senza avere i denari necessari va in banca e accende un mutuo, chi è a corto di spermatozoi va alla banca del seme (che non è un credito agricolo). Il prezioso materiale viene congelato, più o meno come si fa alle isole Svalbard per garantire il futuro alle piante di tutto il mondo, così un padre volontario può donare la vita anche a centinaia di individui, cosa un tempo possibile solo a coloro che possedevano un harem.

Donare lo sperma è un gesto di generosità, non ha nulla a che fare con il rifiuto di chi decide di non assumersi le proprie responsabilità, restando padre ignoto. C’è da notare che non c’è la minima sfumatura di riprovazione nel termine “ignoto”, infatti il milite ignoto è un eroe al quale vengono tributati i più alti onori. Chi scappa di fronte al profilarsi di una nuova nascita dovrebbe risultare all’anagrafe un padre vigliacco e disertore, mentre chi lo vuol biasimare fa ricadere la sua colpa ancora una volta su una donna: sua madre, colpevole di aver messo al mondo un figlio di puttana.

In alcuni paesi alla donna oggi viene riconosciuto il diritto di procreare affrontando la maternità da sola o al fianco di un compagno sterile. Genitori senza figli possono adottare figli senza genitori e oggi si tende a non mantenere il segreto su questa circostanza: meglio sapere. Tutti i bambini prima o poi sospettano di non saperla tutta sulle proprie origini e fortunatamente a nessuno viene più in mente di consultare l’oracolo di Delfi.

Chi accetta il seme di un donatore anonimo probabilmente ha una smisurata fiducia nella bontà racchiusa in ogni spermatozoo. I 46 cromosomi umani non veicolano malvagità o stupidità, la vita è un’esperienza meravigliosa e se è la sorte a farti dono dei suoi geni, è meglio non sapere ciò che nessun oracolo, o impiegato alla banca del seme, è disposto a rivelarti.

QUESTA CASA NON È UN ALBERGO

Nessuna casa è più un albergo, manca infatti del personale necessario per creare quell’ordine e quella pulizia che gli adolescenti sarebbero ancora portati a pretendere in maniera del tutto passiva. Non è il loro amore per il disordine e per il caos che ha avuto la meglio, la strenua lotta educativa si è esaurita per il convergere dei desideri delle nuove e vecchie generazioni su un nuovo il modello di abitazione: la casa magazzino, dotata di cucina spaccio alimentare, di camera deposito, di bagno profumeria. La pubblicità insiste nel presentare i supermercati come ambienti a vocazione familiare, ottenendo che gli spazi domestici assomiglino in tutto e per tutto ai supermercati. Il consumatore dimostra la sua fedeltà vivendo tra scaffalature e borse della spesa, circondato da montagne di biscotti, piramidi di lattine e mucchi di vestiti. Purtroppo il lavaggio del cervello causato dalla pubblicità è a senso unico, il cliente non ha modo di difendersi, e sarebbe bello se la nonna, espropriata del proprio nome da una ditta che produce frollini, avesse la possibilità di vendicarsi magnificando in televisione la decina di additivi e il buon numero di coloranti che rendono così speciali i suoi (o i loro?) biscotti. La casalinga potrebbe evitare di compiacersi dei pavimenti tirati a specchio, ammettendo che non gliene frega niente degli strisci e delle macchie opache visibili guardando in controluce i marmi e i parquet. I bambini potrebbero dichiarare davanti alle telecamere di non credere in Babbo Natale, di non volere i canditi nel panettone e di detestare i bastoncini di pesce; i mariti avrebbero la possibilità di affermare che, dal momento che la moglie ritiene di valere la spesa, di qualsiasi cosa si tratti, potrebbe cominciare a documentarsi, a interessarsi di politica invece di tingersi i capelli di rosso.

La casa è indispensabile all’economia capitalistica, funziona come un inconscio dalle insondabili profondità, alimentando tanto le nevrosi consumistiche, fondate sul conflitto con gli oggetti acquistati, quanto le psicosi da shopping delirante, basate sulla negazione dell’accumulo patologico. Vi siete mai chiesti perché nessuno fa pubblicità alle tende da campeggio o ai cannocchiali? Non vengono mai reclamizzati quegli oggetti che permetterebbero di architettare una fuga. Se le autovetture sono protagoniste di mille spot pubblicitari, mentre le motociclette vengono praticamente ignorate, è solo perché le prime hanno capienti bagagliai, disponibili ad accogliere ogni tipo di merce.

ORDINE E DISORDINE

Un vestito indossato, in linea di massima è al posto giusto: rappresenta l’abbigliamento di oggi. Il vestito nell’armadio è al posto giusto se sarà l’indumento da mettere domani, o comunque in un futuro a dimensione umana. Però nell’armadio potrebbe starci anche il vestito di tre o trent’ anni fa, ormai di nessuna utilità, soprattutto se ci sta troppo largo (il che è improbabile) o troppo stretto (il che è probabilissimo). Forse resusciterà, ma si dà il caso che attualmente sia un vestito morto. Potrebbe servire il giorno che noi smettessimo di comprare troppi capi di abbigliamento, ma pensandola così potremmo continuare ad acquistare un esercito di cappotti, maglioni e sciarpe, rubricandoli da subito, non nella categoria di ciò che serve adesso, ma in quella di ciò che in futuro potrebbe servire. C’è il vestito di una sera, da abbandonare l’indomani con l’incuranza di chi si sente libero da vincoli affettivi, c’è il vestito che ci ispira fedeltà al personaggio che eravamo un tempo e non tutti hanno, come Guccini, un fratello al quale regalare l’eskimo.

Di notte il vestito appoggiato sulla sedia è al suo posto se verrà indossato al mattino, mentre è fuori posto se nel suo immediato futuro dovrebbe finire nel cesto della biancheria, dove, con buona pace di tutti, finiscono quotidianamente le mutande.

Però la sera si è stanchi e anche il vestito stanco appallottolato sulla sedia ha tutto il diritto di restarci, domani è un altro giorno.

Esiste nell’immaginario collettivo un giorno del giudizio, il tempo del riordino universale, capillare, definitivo, e noi aspiriamo a essere presenti e protagonisti del nostro destino, evitando di delegare tutto ai nostri eredi a tempo scaduto, quando i primi a venir eliminati dalla faccia della terra saremo noi e solo a seguire tutte le nostre cose usciranno dal caos per incontrare un nuovo destino.

SCIENZA E IMPROVVISAZIONE

Oggi gli esperti sono guardati con lo stesso sospetto che oppresse i liberi pensatori al tempo della Santa Inquisizione, ma per motivi esattamente opposti. Più nessuno difende la retta dottrina e non si rimprovera alla scienza di attentare alla granitica compattezza dei dogmi di fede, ma di non essere sufficientemente innovativa, fantasiosa, creativa. Il sapere costituito tarpa le ali all’improvvisazione, si oppone a quella smania di fare che spinge i pompieri del nostro tempo a gettare benzina sul fuoco, sostenendo di non avere nulla di meglio a disposizione. Chi vorrebbe affrontare le questioni economiche cifre alla mano viene visto come un cospiratore che ha la scorrettezza di usare argomenti che non sono alla portata di tutti. Le scienze scartano le soluzioni troppo semplici e sono arrivate a un tale grado di complessità da offrire solo problemi che implicano altri problemi. È scandaloso che i cosiddetti esperti trovino qualcosa da eccepire quando i politici decidono di affidarsi al metodo sperimentale, applicando le loro ipotesi di soluzione non solo a un campione dalla popolazione, ma all’intera nazione (creatività e improvvisazione democratiche?).

RAPPRESENTANTI

Ai nostri tempi nessuno sfaticato veniva eletto capoclasse, anche se ci avrebbe rappresentato molto meglio del piccolo intrigante designato che sprizzava zelo da tutti i pori. Lui, buonista e ruffiano, è stato il primo personaggio politico che abbiamo incontrato, davamo a lui i nostri voti perché poi si sporcasse le mani alla lavagna per tracciare col gesso i nostri nomi inserendoci o tra i cattivi, o tra i buoni. C’è da dire che lui s’impegnava e, tenendosi in stretto rapporto emotivo col Buon Dio, col nostro confessore e col maestro, non accordava nessun vantaggio a chi lo aveva eletto, tutt’al più era accondiscendente con chi era così ingenuo da prenderlo sul serio.

Nessuno lo contestava o lo contraddiceva, un po’ perché da bambini tutto l’esistente rientrava ai nostri occhi nel regno della necessità, un po’ per il nostro possibilismo evolutivo (neologismo estemporaneo).

Non sapevamo se crescendo saremmo diventati spilungoni come il nonno o se avemmo raggiunto il metro e settanta di papà, allo stesso modo restava nebuloso lo sviluppo del nostro senso civico e della nostra moralità: forse, sollecitati a diventare buoni, ci saremmo comportati esattamente come lui, dal momento che ogni somma virtù restava appannaggio di personaggi storici o letterari, per lo più sfigati.

Così molti italiani non hanno mai preso le distanze dai democristiani, trovando persino comodo il fancazzismo clientelare.

Oggi Jacopo Ortis e i ragazzi della via Pal sono stati sostituiti dai supereroi e nessun capoclasse può anticipare ai nostri ragazzi l’esperienza di stare a stretto contatto con chi ha una precoce vocazione politica. Precoce o tardiva, la decisione di scendere in campo deve confrontarsi con la propria capacità di calcare la scena e, abolita di fatto l’aristocrazia intellettuale, tutti possono proporsi almeno per un provino.

INTERNET E I NOSTRI LIMITI

La rete intorno al mondo sta catturando un sacco di gente e non ha limiti: pesca a strascico e rovina i fondali del nostro inconscio proponendoci favole sgangherate e miti bislacchi e intercetta in volo passeri, usignoli e merli (soprattutto merli) permettendo a chi vola alto di ritrovare in un attimo tutte le poesie del Leopardi, tutte le citazioni e gli aforismi dimenticati dopo gli anni della scuola.

Non ha remore, moralismi o pregiudizi, passa dal regalarci tenere immagini di gattini e bimbi sorridenti al mostrarci orche che afferrano i bagnanti con una furia tremenda e creature nate deformi. Ha la stessa olimpica indifferenza della televisione che, dopo averci mostrato immagini di morte e di devastazione, ci introduce nell’orizzonte di famiglie felici, unite nel nome del biscotto del mattino. Immediatamente dopo si torna al fuoco e alle sirene dei pompieri. Provate a immaginare il vostro sconcerto se la presentatrice televisiva, che con dizione perfetta e tono solenne vi ha parlato dell’ultimo terremoto, un secondo dopo comparisse, irradiando una gioia inossidabile, nella casa dei biscotti (dei: genitivo possessivo; la casa appartiene ai biscotti: nessuno ci abita). Oggi non è più vero che Ubi maior, minor cessat: il minor s’insinua ovunque ed è in vendita in ogni supermercato. Alternando il maior al minor, le opinioni favorevoli e le contrarie, il vero e il falso, il bello e il brutto i cuori si infiammano o si raffreddano, si intristiscono o si arrabbiano, si interessano o se ne fregano, producendo una tempesta in quel bicchiere d’acqua che è lo schermo del computer o della televisione.

Consiglio per gli spettatori: se decidete di rivedere Il settimo sigillo, acquistate il dvd e non rovinatevi la serata con caramelle o biscotti.

 

IL PRIMO RE

Gli italiani hanno voluto l’unità e l’hanno avuta, hanno voluto la democrazia e l’hanno avuta. Abbiamo voluto il suffragio universale e lo abbiamo avuto. A seguire abbiamo avuto il divorzio e l’aborto, inaugurando la pars destruens del nostro percorso (molto era stato già distrutto nel corso delle guerre mondiali). Vittorio Emanuele II veniva descritto dai suoi insegnanti come indolente, dai suoi sudditi eletti alla Camera come ipocrita, ignorante, intrigante e imbecille, esaurendo, o quasi, l’elenco degli insulti che iniziano con la “I” di Italia (per noi studenti delle elementari negli anni sessanta la “I” era associata all’immagine dell’imbuto o dell’istrice ed era severamente vietato dire parolacce o dubitare degli eroi del nostro risorgimento). Povero padre della Patria, forse non meritava giudizi così severi, avendo avuto il pregio di dire a tutti esattamente quello che volevano sentirsi dire. Abbiamo festeggiato i centocinquant’anni dell’unità d’Italia deprecando il disfattismo, ma evitando i trionfalismi: si sa che c’è chi detesta i politici, chi abolirebbe il suffragio universale e la democrazia, chi vorrebbe una nuova forma di indipendenza.

La battaglia civile per l’eutanasia e il suicidio assistito è ancora in corso e, comunque la si pensi, bisogna convenire con gli psichiatri francesi che il nostro tempo è l’epoca delle passioni tristi.

Category: Arte e Poesia, Libri e librerie, Politica

About Cristina Biondi:

Leave a Reply




If you want a picture to show with your comment, go get a Gravatar.