Antonio Olmi: Una nuova traduzione italiana del Catechismo di Padre Matteo Ricci
Per coloro che considerano la verità come «adeguazione del pensiero alla realtà» (san Tommaso d’Aquino), è sempre possibile dialogare fruttuosamente con qualunque essere umano: perché è sempre possibile trovare – al di là delle differenze sociali, culturali, ideologiche e religiose – riferimenti comuni e condivisibili all’unica realtà, di cui tutti facciamo parte.
Questa profonda persuasione accompagnò il gesuita P. Matteo Ricci (Macerata 1552 – Pechino 1610) nell’impresa di entrare in dialogo con i rappresentanti ufficiali della cultura cinese del suo tempo (i letterati confuciani), al fine di condividere con loro la verità suprema: quella che riguarda Dio, così come si manifesta nella rivelazione cristiana. Fu un’impresa di straordinaria difficoltà, ostacolata dalla diffidenza estrema che i suoi interlocutori mostravano nei confronti degli stranieri. Dice argutamente P. Ricci, nella lettera a P. Costa del 28 ottobre 1595: «Pensano questi cinesi d’essere loro signori del mondo, e che niuna nazione si possa paragonar con loro in ingegno e sapere; onde, quando questi letterati odono le ragioni con che provo le cose di nostra fede e della filosofia, stanno come fuori di sé dicendo: “Come può un forestiero saper più che noi altri?”».
Malgrado le incomprensioni, così profonde da sfociare talvolta in gravi episodi di calunnia e violenza, il gesuita maceratese riuscì nell’intento di gettare un ponte tra la civiltà europea e quella cinese; imparando perfettamente la lingua, studiando la letteratura classica, adattandosi agli usi locali, incontrando moltissime persone e soprattutto scrivendo libri – dal momento che, «cosa che non facilmente si crede, più si fa nella Cina con libri che con parole» (lettera al P. Acquaviva dell’8 marzo 1608).
Tra i testi scritti da P. Ricci figurano opere di mnemotecnica e di geometria, di cartografia e d’astronomia, di morale e di dottrina cristiana; il cui obiettivo, oltre alla trasmissione di contenuti per lo più sconosciuti ai cinesi, era quello di mostrare in atto una ragione più «adeguata alla realtà» (e quindi più efficace nella ricerca della verità) di quella in uso nell’antica civiltà del Paese di Mezzo. Le dimensioni della ragione attraverso i quali P. Ricci conduce i suoi interlocutori sono: 1) la «ragione naturale», comune all’essere umano in quanto tale, che si fonda sulle certezze originarie dell’esistenza e sui primi princìpi della conoscenza; 2) la «ragione scientifica», che rigorizza le intuizioni di base della ragione naturale e li organizza in sistemi formalizzati di pensiero (come quelli della matematica, della metafisica aristotelico-tomista, della scienze naturali); 3) la «ragione sapienziale», in grado di unire la conoscenza astrattiva (che viene dalla «mente») alla conoscenza affettiva (che passa dal «cuore»), di cogliere per connaturalità gli aspetti più profondi della realtà, e al tempo stesso di riflettere su di essi per arrivare alle cause ultime delle cose – fino alla Causa suprema, cioè a Dio.
Il libro in cui P. Ricci ha condotto al punto più alto questo «apostolato della ragione» è il suo capolavoro: Il vero significato di «Signore del Cielo», pubblicato a Pechino nel 1603, denominato Catechismo dall’autore stesso nella sua corrispondenza. L’opera si presenta come un dialogo tra un «Letterato Occidentale» (alter ego di Ricci) e un «Letterato Cinese» (portavoce dei letterati confuciani con cui Ricci aveva a lungo parlato e discusso). Nel corso dell’introduzione e degli otto capitoli di cui il Catechismo si compone, l’Occidentale prende le mosse da alcune verità di ragione naturale, universalmente condivise, riguardanti l’ordine e il governo del mondo; si serve della ragione scientifica, utilizzando le categorie rigorose della metafisica tomista, per confutare le inadeguate interpretazioni della realtà proprie delle religioni-filosofie cinesi (daoismo, buddhismo, neoconfucianesimo); si appella alla ragione sapienziale, non estranea ai saggi dell’antica Cina, per indicare la necessità di oltrepassare il «Cielo» (il cosmo) in direzione del «Signore del Cielo» (il Dio creatore). A questo punto, ormai al termine del libro, il Cinese stesso chiede come mai il Signore del Cielo non scenda «Lui stesso sulla terra a condurre personalmente le masse che si sono smarrite, in modo che gli uomini delle diecimila nazioni riescano a vedere chiaramente il vero Padre, e a sapere così che non ci sono altri dèi» (n. 574); l’Occidentale risponde che ciò è già successo, e che Egli venne alla luce con il nome di Gesù, «di persona insegnò e predicò in Occidente, e quando ebbe trentatrè anni riascese al cielo» (n. 580).
Un’opera così importante, che occupa un posto di rilievo nella letteratura teologica di tutti i tempi, venne tradotta in lingua mancese, coreana, vietnamita, giapponese; e svolse un ruolo di primaria importanza nell’evangelizzazione della Corea. In Occidente, al contrario, rimase quasi sconosciuta; l’infelice «questione dei riti cinesi» finì col travolgere la memoria della grandiosa opera missionaria e culturale di P. Ricci, e anche dopo la riabilitazione ufficiale da parte della Chiesa – avvenuta solo nel secolo scorso – l’attenzione degli interpreti ricciani si è focalizzata maggiormente sulle opere, per così dire, «laiche» (quelle di argomento scientifico e morale) che non sul Catechismo.
La traduzione più diffusa in Occidente è stata, sinora, quella inglese di D. Lancashire e P. Hu Kuo-chen, a cura di E.J. Malatesta, uscita nel 1985 con il titolo The True Meaning of the Lord of Heaven; nel 2006 A. Chiricosta ha proposto una traduzione italiana, Il vero significato del «Signore del Cielo».
La traduzione inglese, pur presentando indiscutibili meriti, ha un difetto non trascurabile: non rende giustizia fino in fondo all’opera compiuta dal gesuita maceratese. L’impianto filosofico-teologico di Ricci, fedele discepolo di san Tommaso d’Aquino – strumento essenziale della «ragione scientifica», che l’Occidentale usa per condurre il Cinese dal livello della «ragione naturale» a quello della «ragione sapienziale» – è messo in ombra da questa traduzione, la quale rende solo parzialmente in inglese i termini e i concetti latini che Ricci aveva a sua volta tradotto in cinese; ed è criticato con superficialità nell’introduzione dei traduttori, che lo considera soltanto un retaggio – oggi superato e irrilevante – della cultura europea del tempo.
Tale fraintendimento della prospettiva filosofico-teologica del Catechismo appare, in un certo senso, ancor più evidente nel lavoro della Chiricosta. La traduzione italiana è talvolta appiattita su quella inglese; l’approfondita introduzione e le pregevoli annotazioni agli otto capitoli del Catechismo mostrano la cultura cinese del tempo di Ricci da un punto di vista assai debitore alle precomprensioni – dogmatiche nel loro relativismo – della cultura occidentale contemporanea, deformando così la percezione che ne aveva avuto il gesuita maceratese ed equivocandone la finalità missionaria.
È parso quindi necessario a Giovanni Battista Sun, sacerdote cinese, e al domenicano Antonio Olmi porre mano a una nuova traduzione italiana: Il vero significato di «Signore del Cielo», Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2013 – più attenta sia agli aspetti linguistici, sia alla prospettiva filosofico-teologica del capolavoro ricciano.
Particolare attenzione è infatti richiesta sin dal titolo: l’originale 《天主實義》 Tiānzhǔ shíyì può essere tradotto in vari modi – Il vero significato del Signore del Cielo, La vera realtà del Signore del Cielo, Il vero significato di «Signore del Cielo» – ma solo quest’ultimo esprime l’intenzione, da parte di Ricci, di rendere chiaro il significato del nome “天主”, che non era un neologismo, al contrario di quanto egli avesse inizialmente creduto. «Signore del Cielo» compariva nella letteratura buddhista e daoista, perciò era indispensabile – se si voleva continuare a indicare Dio con tale locuzione, che prestava peraltro numerosi vantaggi – chiarire che cosa significasse nella prospettiva cristiana: cioè spiegarne il significato, e mostrare come sia particolarmente adatto ad indicare la Realtà suprema.
Si è cercato di porre attenzione anche agli aspetti stilistici della traduzione: sia allo stile di pensiero dell’autore, sia al suo stile letterario. Per quel che riguarda il primo, è stato fatto il tentativo di ricostruire, con esattezza filosofico-teologica (non necessariamente coincidente con quella storico-filologica!), i concetti usati da Ricci: inquadrandoli nella prospettiva del «realismo sapienziale» tomista, e ristabilendone la corretta terminologia, propria della tradizione a cui essi appartengono. Nei confronti del secondo, ci si è adoperati a non cadere nel duplice tranello di un’eccessiva adesione alla lettera del testo cinese (che avrebbe reso la traduzione alquanto ostica), e di un’eccessiva compiacenza nei confronti del lettore italiano (che avrebbe privato la traduzione di qualsiasi traccia del ritmo e dell’eleganza originali); tenendo perciò una «via media», che utilizza la lingua italiana contemporanea per creare, se e quando possibile, suggestioni analoghe a quelle prodotte dal testo cinese, pur evitando letteralismi e calchi dall’originale.
Un’altra novità di questa edizione riguarda il testo cinese a fronte. Mantenendo la divisione in paragrafi numerati, introdotta nell’edizione inglese, il testo originale è stato trascritto in caratteri semplificati per agevolarne la lettura da parte dei cinesi contemporanei, educati dopo la riforma della scrittura (1956, 1964) – con la speranza di pubblicarlo, a breve termine, in un’edizione rivolta esclusivamente a loro.
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