Amina Crisma: Sun Tzu e l’arte della guerra

| 21 Novembre 2013 | Comments (0)

 


Diffondiamo la recensione di Amina Crisma,  pubblicata su Il Manifesto del 3 novembre 2013,  a Sun Tzu: L’arte della guerra, a cura di Attilio Andreini e Maurizio Scarpari, (Einaudi, Torino 2013)

 

Il Sun Tzu (Sunzi nella trascrizione pinyin) è il più antico trattato di strategia militare che si conosca: fu composto fra il V e il IV secolo a.C., nell’epoca degli Stati Combattenti, una fase cruciale nella storia cinese, di inusitata violenza e insieme di straordinaria creatività, nei cui spietati conflitti si consumò la crisi e la dissoluzione della civiltà arcaica ed ebbe luogo la cruenta gestazione dell’impero centralizzato, fondato dal sovrano di Qin, il Primo Imperatore, nel 221 a.C.

E’ senza dubbio uno dei testi della classicità cinese più famosi in Occidente, come attestano le sue numerose traduzioni, moltiplicatesi negli anni recenti (si vedano ad esempio quella di Roger Ames del 1993, o quella di Riccardo Fracasso del 1994), e le sue utilizzazioni in ambiti molteplici, non soltanto militari, che svariano dal business management alle tattiche sportive alle procedure di negoziazione processuale. A dire il vero la sua prima versione, apparsa nel 1772 a Parigi in L’art militaire des Chinois del gesuita padre Amiot, passò quasi inosservata, e sorte non molto diversa ebbero le traduzioni inglesi e tedesche del primo Novecento, per quanto accurate come The Art of War di Lionel Giles (1910).

L’opera si conquistò una straordinaria popolarità internazionale soltanto con la versione di Samuel B. Griffith del 1963 (rist. Oxford University Press 2005), nel cui commento il curatore proponeva un accostamento, divenuto in seguito pressoché un luogo comune, fra le tesi del Sun Tzu e la teoria della guerra rivoluzionaria di Mao Zedong, sottolineando come l’antico testo avesse significativamente influenzato la riflessione del Grande Timoniere, che vi fa ripetutamente esplicito riferimento. Va incidentalmente notato che in effetti, oltre alle significative consonanze, andrebbero sottolineate anche le rilevanti differenze nella concezione stessa della guerra e dei suoi obiettivi: nel caso del Sun Tzu sono in scena eserciti regolari impegnati in campagne necessariamente brevi, mentre la guerra partigiana delineata da Mao è essenzialmente una “guerra prolungata” volta a conseguire lo sfinimento del nemico. Comunque, all’epoca in cui apparve il lavoro di Griffith i successi di Giap e delle tattiche vietcong nello scenario della guerra del Vietnam inducevano il pubblico occidentale a considerare le capacità militari elaborate nel solco delle tradizioni culturali dell’Asia orientale con ben diversa attenzione rispetto a un passato in cui la potenza bellica era parsa indiscutibile monopolio dell’Occidente. Fu in tale contesto che maturò la riscoperta a livello globale del Sun tzu, una riscoperta che coinvolse anche il Giappone il quale, diversamente da quanto un diffuso mito vorrebbe, si era ispirato ben più a Clausewitz che ai classici cinesi per costruire la propria moderna macchina militare.

Le motivazioni di fondo del grande interesse riscosso dal Sun Tzu si possono in sostanza ricondurre, come ha sottolineato François Jullien nel suo Traité de l’efficacité (Paris 1996, tr. it. Torino 1998), al peculiare modello di strategia che vi si delinea: un modello antitetico a quelli elaborati dalle tradizioni occidentali antiche e moderne, e nel quale invece del protagonismo del soggetto e del primato del volere e dell’agire si configura una flessibile adesione all’ incessante processualità del reale e si delinea un’accorta capacità di mettere a frutto le potenzialità implicite nelle situazioni date. Una modalità di agire straordinariamente efficace, insomma, che si fonda, paradossalmente, sulla pratica del non agire (wu wei) tematizzata nei testi coevi quali il Laozi, ascrivibili alla tradizione cosiddetta taoista.

Se la notorietà acquisita dall’opera nel corso degli ultimi decenni ha indubbiamente contribuito alla percezione del suo risalto nel panorama complessivo del pensiero cinese, essa sembra peraltro averne talora determinato delle rappresentazioni in qualche misura stereotipate e delle interpretazioni eccessivamente schematiche, che l’hanno collocata in una sorta di esotica e astratta atemporalità.

Ad offrire articolate chiavi di lettura di questo celebre classico fondate su una rigorosa contestualizzazione storica e critica provvede l’edizione del Sun Tzu che esce ora da Einaudi, a cura di Maurizio Scarpari – autore di numerosi studi sul pensiero cinese antico quali Il confucianesimo, i fondamenti e i testi (Torino 2010) e il recente Mencio e l’arte di governo (Venezia 2013) e curatore della grande opera collettiva sulla civiltà cinese dalle origini ai giorni nostri La Cina (Torino, 2009-2013) – e di Attilio Andreini, fra i cui lavori si annovera una fondamentale edizione del Laozi (Torino 2004) e al quale qui si deve, insieme a Micol Biondi, la traduzione annotata del testo. Questa versione, già apparsa nel 2011 nella collana ET Classici, si caratterizza per il suo aggiornamento sotto il profilo filologico, in quanto tiene conto degli importanti ritrovamenti di manoscritti antichi che hanno avuto luogo negli ultimi decenni, e che hanno contribuito in cospicua misura a riformulare il quadro delle nostre conoscenze del pensiero pre-imperiale. Il commento di Jean Levi – uno degli studiosi più autorevoli dell’antichità cinese, di cui egli ha offerto una vivida descrizione in Les fonctionnaires divins (Paris 1989) – e il ricco apparato iconografico a cura di Alain Thote erano apparsi in edizione originale nel 2010 (L’Art de la guerre, Nouveau Monde Editions).

Il ricorso alle immagini, di cui molte sono rare o addirittura inedite, corrisponde a finalità molteplici: da una parte per loro tramite si evoca il testo, le vicende della sua trasmissione e della sua influenza, la figura del suo presunto autore, dall’altra si illustra il mutamento degli armamenti e delle tecniche belliche che costituì lo sfondo concreto del trattato, e che recenti scoperte archeologiche hanno contribuito a rappresentarci con inedita pregnanza. La grande trasformazione che ebbe luogo all’epoca in cui il Sun Tzu fu composto fu il passaggio dalla guerra nobiliare caratteristica del mondo arcaico – improntata alle virtù cavalleresche del coraggio, dell’onore, della magnanimità – alla guerra di massa, condotta con eserciti di leva di centinaia di migliaia di uomini e finalizzata all’annientamento dell’avversario: i campi di battaglia divennero non più gli spazi di valorose tenzoni, ma i luoghi cruenti di spietati e immani massacri.

E’ a fronte di questa tragica realtà e della sua totale immoralità che prende corpo l’ontologia negativa del Sun tzu: l’opacità della guerra richiede di rendersi opachi, di attuare un’arte della dissimulazione che costringa il nemico a svelarsi, di concretizzare esclusivamente a proprio vantaggio la dialettica del visibile e dell’invisibile.

Come nei grandi testi taoisti che gli sono coevi, la metafora privilegiata è quella dell’acqua: il buon esercito è come l’acqua, pura virtualità, impalpabile e inafferrabile, capace di assumere qualsiasi forma in risposta al nemico, apparentemente labile ma a tempo debito inarrestabile, al pari di un’alluvione. La sua potenza è analoga a quella del Dao, e incessantemente trionfa sulla hybris della violenza manifestata ed ostentata, incessantemente trae l’ordine dal disordine e dal caos. Sotto questo profilo il Sun tzu si rivela una limpida e coerente espressione dell’epoca che fu l’autentica età assiale del pensiero cinese – un pensiero che, come mostra un’ormai vasta letteratura, fu figlio di polemos in una misura generalmente ignorata dalle convenzionali rappresentazioni invalse della cosiddetta “saggezza cinese”, e in cui la ricerca dell’armonia scaturì costantemente da un audace misurarsi con la dimensione conflittuale del tianxia, ossia di “quanto sta sotto il cielo”.

 

Category: Libri e librerie, Osservatorio Cina

About Amina Crisma: Amina Crisma ha studiato all’Università di Venezia conseguendovi le lauree in Filosofia, in Lingua e Letteratura Cinese, e il PhD in Studi sull’Asia Orientale. Insegna Filosofie dell’Asia Orientale all’Università di Bologna; ha insegnato Sinologia e Storia delle religioni della Cina alle Università di Padova e di Urbino. Fa parte dell’Associazione Italiana Studi Cinesi (AISC) e, come socia aggregata, del Coordinamento Teologhe Italiane (CTI). Ha conseguito l’abilitazione scientifica nazionale a professore di seconda fascia per l’insegnamento di Culture dell’Asia. Tra le sue pubblicazioni: Il Cielo, gli uomini (Venezia 2000); Conflitto e armonia nel pensiero cinese (Padova 2004); Neiye, Il Tao dell'armonia interiore (Garzanti, Milano 2015), Confucianesimo e taoismo (EMI, Bologna 2016), Meditazione taoista (RCS Milano 2020). Ha contribuito a varie opere collettanee quali La Cina (Torino 2009), Per una filosofia interculturale (Milano 2008), Réformes (Berlin 2007), In the Image of God (Berlin 2010), Dizionario del sapere storico-religioso del Novecento (Bologna 2010), Confucio re senza corona (Milano 2011), Le graphie della cicogna: la scrittura delle donne come ri-velazione (Padova 2012), Pensare il Sé a Oriente e a Occidente (Milano 2012), La diversità feconda, dialogo etico fra religioni (Bologna 2021). Fra le riviste a cui collabora, oltre a Inchiesta, vi sono Asiatica Venetiana, Cosmopolis, Giornale Critico di Storia delle Idee, Ėtudes interculturelles, Mediterranean Journal of Human Rights, Prometeo, Paradoxa, Parolechiave, Sinosfere. Fra le sue traduzioni e curatele, la Storia del pensiero cinese di A. Cheng (Torino 2000), La via della bellezza di Li Zehou (Torino 2004), Grecia e Cina di G.E.R. Lloyd (Milano 2008). Tra i suoi saggi: Il confucianesimo: essenza della sinità o costruzione interculturale?(Prometeo 119, 2012), Attualità di Mencio (Inchiesta online 2013), Passato e presente nella Cina d’oggi (Inchiesta 181, 2013), Taoismo, confucianesimo e questione di genere nelle ricerche e nei dibattiti contemporanei (2014), La Cina su Inchiesta (Inchiesta 210/2020), Quale ruolo per la Cina nello spazio pubblico? fragore di silenzi e clamore di grandi narrazioni (Sinosfere 14 marzo 2021). I suoi ambiti di ricerca sono: il confucianesimo classico e contemporaneo, le fonti taoiste, le relazioni interculturali Cina/Occidente, il rapporto passato/presente, tradizione/modernità nella Cina d’oggi, i diritti umani e le minoranze in Cina, le culture della diaspora cinese, le questioni di genere nelle tradizioni del pensiero cinese. Ha partecipato a vari convegni internazionali sul dialogo interculturale e interreligioso promossi dalle Chaires UNESCO for Religious Pluralism and Peace di Bologna, di Tunisi, di Lione, dalla Konrad Adenauer Stiftung di Amman, da Religions for Peace, dalla Fondazione Scienze Religiose di Bologna. Coordina l’Osservatorio Cina di Inchiesta e di valorelavoro ( www.valorelavoro.com ). Cv dettagliato con elenco completo delle pubblicazioni: al sito web docente www.unibo.it

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