Amina Crisma: Fra materiale e immaginario, fra mutismo e trasfigurazione, fra presenza e assenza:  “Il valore degli oggetti”, di Donata Meneghelli

| 8 Dicembre 2024 | Comments (0)

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Gli oggetti in letteratura si sono sempre configurati come dense, multiformi, talora enigmatiche presenze, ed è avvenuto che gli stessi strumenti della scrittura  siano stati intensamente tematizzati, da “le triste penne sbigotite, le cesoiuzze e l’l coltellin dolente” del folgorante incipit di un celebre sonetto di Guido Cavalcanti, che materializza nella presenza di tali utensili l’intensità fisicamente tangibile dello struggente dolore di un’assenza, al copialettere meticolosamente descritto nel romanzo Gli impiegati di Balzac.

La narrativa ottocentesca con il suo realismo, com’è noto, costituisce un autentico trionfo del tema degli oggetti. A questo dedica una articolata riflessione Donata Meneghelli, docente di letterature comparate all’Università di Bologna da sempre attenta al rapporto fra materialità concreta e scrittura (cfr. ad esempio “Derrida, la carta e noi”, il verri 85/2024) nel suo libro appena uscito da Nottetempo Il valore degli oggetti. Segni, spoglie, scarti nel romanzo dell’Ottocento, in un percorso che si snoda attraverso Dickens, James, Balzac, traendo segnatamente ispirazione dalla lettura di quest’ultimo delineata da Adorno, e riferendosi a una vasta letteratura critica in cui spiccano fra gli altri Benjamin, Barthes, Baudrillard, Bauman, Bennett, Brown, Latour. Nell’introduzione al volume, così l’autrice ne sintetizza l’argomento:

“La “cosa” riunisce in sé due estremi. Da una parte una materialità amorfa e riottosa all’assorbimento nel linguaggio. Dall’altra, un eccesso che supera la mera materialità per andare verso la metafisica, il valore, e dunque il significato, l’investimento o addirittura il sovrainvestimento. In un caso come nell’altro, scaturisce sempre da una relazione. E’ questa relazione – sospesa tra il riconoscimento di un mutismo e la trasfigurazione – che mi interessa”.

Per la molteplicità dei riferimenti evocati, il libro indubbiamente abbisognerebbe di uno speciale recensore, che fosse in grado di coglierne appieno la complessità teoretica e di registrarne adeguatamente la raffinata tessitura analitica e discorsiva. Dal mio punto di vista di comune lettrice a cui è più familiare la prospettiva decostruzionista del Zhuangzi che quella di Derrida, mi sembra comunque che esso consegni di che riflettere anche a un pubblico meno esperto: a partire dallo statuto paradossale ed evidentemente irriducibile a semplificazioni schematiche della “cosa” che indaga, e che risulta assommare in sé materiale e immaginario, concretezza irrecusabile ed elusiva risonanza simbolica, il qui e ora e l’oltre e l’altrove, in una irriducibile tensione, che induce a ripensare le riposate dicotomie alle quali ordinariamente e pigramente ci affidiamo.

Questo peraltro non equivale a consegnarsi tout court agli esiti di una thing theory oggi diffusa e completamente spostata sul versante della materialità: come Donata Meneghelli precisa, “questo libro mantiene la dicotomia cartesiana al suo posto, cercando però di coglierne i momenti di rischio, i punti in cui il testo letterario la incrina, la interroga, la disorienta o la sposta”, nella consapevolezza di un “double bind metodologico”, ossia di “quella auto-contraddizione performativa per cui è sempre un soggetto umano che articola qualunque teoria della materia, delle cose, della simmetria, del ridimensionamento del soggetto e via dicendo. Una contraddizione che certo si allenta quando si sottopongono a revisione i concetti di materia, vita, azione, volontà, ma che a mio parere non si dissipa.”

E’ questa concezione dialettica che si articola nel volume, che “programmaticamente tiene insieme materia e significato, tangibile e intangibile, per indagare gli intrecci e le collusioni tra questi due piani dell’essere.” E che, più in generale, ci invita a riconsiderare le modalità inerti con cui pensiamo il nostro presente:

“Al cuore del libro c’è una domanda implicita: ha ancora senso parlare dell’Ottocento? Ha senso parlarne al di là di un ostinato partito preso contro il dilagante presentismo e quella sorta di dittatura del contemporaneo a cui sempre più spesso gli studi umanistici e letterari, nonché la nostra stessa vita quotidiana, soccombono? La risposta è sì (…) perché l’archeologia, come insegna Foucault, consente di connettere passato e presente (…) ed è un modo di osservare il presente “da lontano”, di tirarsene fuori per decostruirne gli automatismi percettivi e l’impressione schiacciante di indiscutibilità, di assolutezza che esso trasmette.”

Tutto questo è tanto più vero se si considera lo statuto della materialità: c’è tutta una rappresentazione che enfatizza la dematerializzazione, la virtualità in cui oggi viviamo, contrapposta alla materialità ottocentesca. Ma ne siamo davvero convinti? A ben vedere, si può obiettare da un lato che la forma-merce è una modalità di attacco alla materialità sensibile degli oggetti, e dall’altro, che c’è molto concretissimo hardware dietro il software in cui siamo immersi. La retorica della dematerializzazione non è forse un modo di occultare la materialità concreta che in molteplici sensi e in molteplici modalità diverse la sottende?

Quale lezione, dunque, si può imparare dagli oggetti? L’icastica risposta che offre a questa domanda Donata Meneghelli mi pare si possa idealmente ricondurre al sonetto di Cavalcanti che ho evocato all’inizio, e che attraverso gli oggetti per così dire presentifica e materializza dolorosamente un’assenza, restituendole tutta la sua intensa, tragica, struggente fisicità concreta:

“Il realismo ha a che fare con la nostalgia, la mancanza, la sparizione, la morte, il tempo perduto molto più che con qualunque compiutezza, con qualunque senso di plenitudine o miraggio di dominio sul mondo”.

Category: Libri e librerie

About Amina Crisma: Amina Crisma ha studiato all’Università di Venezia conseguendovi le lauree in Filosofia, in Lingua e Letteratura Cinese, e il PhD in Studi sull’Asia Orientale. Insegna Filosofie dell’Asia Orientale all’Università di Bologna; ha insegnato Sinologia e Storia delle religioni della Cina alle Università di Padova e di Urbino. Fa parte dell’Associazione Italiana Studi Cinesi (AISC) e, come socia aggregata, del Coordinamento Teologhe Italiane (CTI). Ha conseguito l’abilitazione scientifica nazionale a professore di seconda fascia per l’insegnamento di Culture dell’Asia. Tra le sue pubblicazioni: Il Cielo, gli uomini (Venezia 2000); Conflitto e armonia nel pensiero cinese (Padova 2004); Neiye, Il Tao dell'armonia interiore (Garzanti, Milano 2015), Confucianesimo e taoismo (EMI, Bologna 2016), Meditazione taoista (RCS Milano 2020). Ha contribuito a varie opere collettanee quali La Cina (Torino 2009), Per una filosofia interculturale (Milano 2008), Réformes (Berlin 2007), In the Image of God (Berlin 2010), Dizionario del sapere storico-religioso del Novecento (Bologna 2010), Confucio re senza corona (Milano 2011), Le graphie della cicogna: la scrittura delle donne come ri-velazione (Padova 2012), Pensare il Sé a Oriente e a Occidente (Milano 2012), La diversità feconda, dialogo etico fra religioni (Bologna 2021). Fra le riviste a cui collabora, oltre a Inchiesta, vi sono Asiatica Venetiana, Cosmopolis, Giornale Critico di Storia delle Idee, Ėtudes interculturelles, Mediterranean Journal of Human Rights, Prometeo, Paradoxa, Parolechiave, Sinosfere. Fra le sue traduzioni e curatele, la Storia del pensiero cinese di A. Cheng (Torino 2000), La via della bellezza di Li Zehou (Torino 2004), Grecia e Cina di G.E.R. Lloyd (Milano 2008). Tra i suoi saggi: Il confucianesimo: essenza della sinità o costruzione interculturale?(Prometeo 119, 2012), Attualità di Mencio (Inchiesta online 2013), Passato e presente nella Cina d’oggi (Inchiesta 181, 2013), Taoismo, confucianesimo e questione di genere nelle ricerche e nei dibattiti contemporanei (2014), La Cina su Inchiesta (Inchiesta 210/2020), Quale ruolo per la Cina nello spazio pubblico? fragore di silenzi e clamore di grandi narrazioni (Sinosfere 14 marzo 2021). I suoi ambiti di ricerca sono: il confucianesimo classico e contemporaneo, le fonti taoiste, le relazioni interculturali Cina/Occidente, il rapporto passato/presente, tradizione/modernità nella Cina d’oggi, i diritti umani e le minoranze in Cina, le culture della diaspora cinese, le questioni di genere nelle tradizioni del pensiero cinese. Ha partecipato a vari convegni internazionali sul dialogo interculturale e interreligioso promossi dalle Chaires UNESCO for Religious Pluralism and Peace di Bologna, di Tunisi, di Lione, dalla Konrad Adenauer Stiftung di Amman, da Religions for Peace, dalla Fondazione Scienze Religiose di Bologna. Coordina l’Osservatorio Cina di Inchiesta e di valorelavoro ( www.valorelavoro.com ). Cv dettagliato con elenco completo delle pubblicazioni: al sito web docente www.unibo.it

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