Aldo Ridolfi : La Parenzo di Aulo Crisma
Con Parenzo Gente, luoghi, memoria Aulo Crisma compie un’operazione di straordinaria trasparenza. La sua nitidissima rievocazione è capace di sottrarre dai fatti dolorosi dell’“esodo istriano” ogni forma di astiosa contrapposizione. Ricompone, in un affresco vivacemente maturo, non solo la sua vita e la sua esperienza di uomo, ma anche mondi diversi e per alcuni versi nemici per contrapporre i quali – se lo avesse voluto – gli bastava spostare una virgola, cambiare qualche aggettivo, variare di pochi gradi la prospettiva di uno sguardo. Invece ha trovato, in una visione storica consapevole e saggia, la sua inattaccabile punta di diamante.
Già a partire dal primo capitolo, che rievoca un indimenticabile (per lui e per noi lettori) maggio 1946, guarda al dramma di una popolazione, quella istriana, con un animo disteso. E in aggiunta, come se ciò non bastasse, la pagina di Aulo è venata da una ironia che predispone per la migliore lettura e che tornerà, qua e là, a costituire una delle tante cifre di cui Parenzo è ricco. C’è un sorriso venato di sottile ironia grazie al quale ogni dramma viene messo tra parentesi: che non vuol dire né dimenticarlo né disconoscerlo. Prende vita invece, fin dalle primissime pagine, un afflato profondo che inneggia al futuro e chiama come testimone quella «libertà che si schiude in un chiaro mattino di maggio» (18). Prospettiva tipicamente giovanile, certo, ma, poiché rivissuta dopo diversi decenni, capace di assurgere ad una rara dignità etica.
L’esodo istriano è stato dolore, umiliazione, scacco, sconfitta: Crisma lo sa e lo racconta. Ce lo consegna, anche, perché ne siamo informati e, in certo senso, testimoni. E che di dolore si sia trattato si vede a chiare lettere nei due ritorni a Porec (secondo capitolo) dove le cose, gli eventi, le persone sono posti nella prospettiva corretta, storica e personale, ma senza astio, senza vendetta, nemmeno verbale; e tuttavia il giudizio è glaciale, perentorio, indiscutibile: «Poreć, un nome che sa di ingiuria» (p. 20).
Così la visione storica sui fatti seguiti alla fine della guerra, colta nella sua dimensione insieme politica ed esistenziale, si umanizza, facilitando il ritrovamento di un punto di equilibrio perfetto che consente alla storia di diventare “magistra vitae”, secondo una formula antiquata alla quale però chi scrive – magari assieme ad altri, ad Aulo per esempio – ancora crede.
Nel suo lavoro Aulo dipana un filo rosso – prima e dopo la lunga parentesi rappresentata dal tuffo nell’arena parentina della sua infanzia e della sua giovinezza, di cui dirò tra poco – che diventa linea guida per una lettura “dal basso” di una storia che a modo suo è pura epica. Gli ultimi sei o sette capitoli – chiusi gli anni Venti e Trenta con il racconto di una delle tante innocenti bravate di un’infanzia diversissima dalle attuali, la prova, diffusa non solo in Istria, a chi «pisciava più lontano» (p. 120) – partono dal ribalton del ’43, lemma che a molti di noi, pur non essendo ancora nati, anche senza l’ausilio dei libri di storia, racconta di un’epoca. Dentro quel dramma dell’8 settembre 1943 se ne svolge un altro, quello dell’arrivo dei titini e dentro quest’ultimo – come in una specie di scatola cinese, se ne sviluppano altri come la storpiatura dei nomi italiani e – peggio – gli infoibamenti.
Ma se questa è la cornice che coniuga l’”histoire diplomatique” con l’”histoire evenementielle” – giusto per usare due categorie rese celebri dalla storiografia francese – il quadro, cioè quasi un centinaio di pagine, è di una vivezza unica, di una straordinaria capacità rievocativa. Le case, le vie, le chiese, le botteghe, le persone, i valori, gli stessi sentimenti che costituivano l’humus della Parenzo che va dal 1927 (anno di nascita di Aulo) al 1946 (anno della partenza di Aulo da Parenzo) trasformano quelle righe, quei periodi, quei capitoli in una fiaba: anche il reale ha una sua speciale dimensione fiabesca, nessuno tenti di dissuaderci.
La lettura di quel che accade in quei diciannove anni ti rimette a posto l’anima, ti riconcilia con il mondo, ti riconnette con un modus vivendi scomparso che senti di amare, ti fa apparire il presente nudo e volgare, spoglio, solo apparentemente vitale. Auspico che ciò non accada solo a chi ha la mia anagrafe. Senti che, se ti fosse concesso, solo là vorresti vivere: quando era possibile essere «formidabili lavoratori» (p. 21), come l’agricoltore, poi panettiere, Piero Cogheto; quando era possibile affidare ad un bimbetto 1.000 lire da depositare in banca (p. 26) e quando Biagio Lubrano stava digiuno dalla mezzanotte per far la comunione nel pomeriggio. Io non c’ero, ma mi piace pensare che il fanatismo religioso in Biagio non c’entrasse proprio niente.
Che mondo il cosmo parentino!
Ho contato 170 persone citate nelle 168 pagine del libro. Ognuna è grandiosamente, superbamente se stessa. Aulo le ha conosciute tutte, nessuna per sentito dire. Ne ha fatto esperienza diretta. Ne ha colto con meravigliosa sintesi il corpo e l’anima. Aulo le ha conservate dentro di sé, per anni e anni e dentro il suo cuore esse non hanno subito il potere devastante e vigliacco di Cronos. Piuttosto, nel miracolo compiuto in silenzio di questa memoria che ha la caratura della preghiera, esse sembrano uscite da una nemesi capace di mutare il mondo, di estrarre – straordinario alambicco – l’essenza autentica di uomini e di donne, mostrarne le vocazioni più belle, far emergere come in un meraviglioso altorilievo, la ragione stessa delle loro esistenze.
Quanti artigiani! Quanti negozianti, quanti maestri e preti!
Il campanaro Zuane, uomo di età indefinibile, aveva il debole di appisolarsi durante le esecuzioni organistiche del maestro Augusto Zuliani che sentiva la pressione dell’aria affievolirsi. E allora Zuliani, senza invocare sanzioni da codice penale, senza coniare espressioni quali “i furbetti del pisolino”, semplicemente incita il campanaro: «Pompa Zuane»!! E tutto va a posto, anche se non con il massimo della precisione. Ma allora si credeva che il meglio fosse nemico del bene. Infatti, in quel modo di vedere il mondo, era persino possibile ricomporre gli opposti.
Continuare vorrebbe dire nutrirsi bulicamente di cibi preziosi, oltrepassare la soglia delle umane miserie ed entrare davvero e senza trattati filosofico-teologici in un mondo in cui l’ombra di Adamo ed Eva non ha mai sostato. E’ un esercizio, la lettura di Parenzo, da fare a piccole dosi, giorno per giorno, ripetutamente, con la semplicità e l’efficacia con cui si beve quotidianamente un bicchiere d’acqua.
Grazie Aulo.
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