Guido Viale: Una nuova classe dirigente per cambiare l’Europa
Diffondiamo da L’Huffington post del 5 maggio 2014
La giornata mondiale per la Terra ormai trascorsa e l’ennesimo allarme lanciato dall’IPCC sui cambiamenti climatici che incombono sul pianeta non hanno smosso di un millimetro le politiche devastanti degli uomini e delle donne che governano l’Europa: encefalogramma piatto. Alla vigilia di una tornata elettorale europea, nessuno dei membri di questa classe dirigente ha dato segno di ritenere la fine della vivibilità sul nostro pianeta un argomento degno di attenzione, di riflessione, di decisioni. Nessuno stupore, allora, se la stessa irresponsabilità, frutto di ignoranza, cinismo e opportunismo, quella classe dirigente la esibisce anche nei confronti di una crisi economica che dura da sette anni e che sta devastando le vite di milioni di cittadini europei: in modo dirompente in Grecia, Italia, Spagna e Portogallo; in modo meno visibile, in tutti gli altri paesi, dove un numero crescente di lavoratori sia immigrati che nativi sostengono produttività e competitività con salari e condizioni di lavoro cinesi.
La verità è che quegli uomini e quelle donne non stanno lì per governare, ma per farsi comandare dall’alta finanza: quella che ha il controllo dei debiti che loro hanno contratto in nostro nome e con cui può imporre politiche che rispondono solo ai suoi interessi. La fonte di legittimazione dei parlamenti e dei governi si è così spostata dal voto dei cittadini elettori (che non conta più nulla) a quello dei “mercati”, che altro non sono che un pugno di banche e di speculatori che controllano la finanza mondiale. Non saranno certo costoro a salvare il pianeta dalla catastrofe ambientale. Loro e i loro figli troveranno sempre un angolo della Terra dove mettere al sicuro i loro miliardi esentasse e prolungare le loro vacanze. Quel trasferimento di poteri dai governi alla finanza non è stato però un processo “naturale”; è stato alimentato da leggi, provvedimenti e accordi che “politica” e finanza hanno concordato – come ben ha fatto notare Luciano Gallino – per confermarsi nei reciproci ruoli.
Per questo volere una società e un’Europa diverse, più giuste e più compatibili con gli equilibri ambientali del pianeta richiede una sostituzione radicale della classe dirigente: a livello locale, nazionale, europeo e globale. Quello che l’attuale classe dirigente non riesce nemmeno a concepire, obnubilata dai compiti che l’alta finanza le impone giorno per giorno, è l’interdipendenza tra la crisi ambientale di cui non vuole prendere atto, e la crisi economica e sociale di cui non fa che acuire le conseguenze catastrofiche con le misure imposte per affrontarla. Un’interdipendenza immediatamente visibile, viceversa, per chi guarda al futuro invece di ostinarsi a riproporre quell’eterno presente che ci trascina verso il disastro: è la possibilità di difendere, sostenere ed espandere occupazione, redditi, servizi sociali, salute, istruzione e benessere liberandoci dalle catene del debito pubblico e promuovendo una radicale riconversione dell’apparato produttivo in direzione della sostenibilità ambientale; un’interdipendenza che rende finalmente attuale “l’utopia concreta” che Alex Langer aveva delineato venti anni fa, quando sosteneva che “la conversione ecologica potrà affermarsi solo se apparirà socialmente desiderabile”.
La tutela dell’ambiente, a livello globale come a livello locale, richiede misure che incidono radicalmente sull’assetto sociale e istituzionale del governo dell’economia: non solo più giustizia ed equità nella ripartizione delle risorse a livello geografico – tra i diversi paesi – e a livello sociale – tra le diverse classi – ma anche e soprattutto autogoverno dei processi di produzione e di scambio: riterritorializzazione al posto di globalizzazione. Mentre la rete ha reso possibile la circolazione dell’informazione su tutto il globo e sempre più anche tra tutti gli abitanti della Terra; le migrazioni stanno trasformando ogni paese e città in entità multietniche, facendo della convivenza tra diversi il centro delle alternative politiche della nostra epoca (due fatti positivi), la “libera” circolazione planetaria di merci e capitali si è tradotta in delocalizzazione delle attività produttive e in una corsa selvaggia alla competitività che azzera tutte le conquiste realizzate negli ultimi due secoli e mezzo di lotte sociali e in un’aggressione senza remore alle risorse e all’integrità del pianeta.
La riconversione ambientale degli assetti produttivi, sia a livello locale che planetario, va dunque messo al centro non solo di un programma di governo dell’Europa radicalmente nuovo, ma anche e soprattutto di processi di formazione di una nuova classe dirigente europea, capace di garantire a cittadini e cittadine un cambio di rotta permanente. Nel definire i primi passi di un processo come questo i criteri a cui ispirarsi possono essere sintetizzati in pochi punti:
1. Non ci può essere vera capacità di governo senza capacità di ascolto. Gli attuali governanti europei, e soprattutto quelli italiani, non prestano più alcuna attenzione alle esigenze e alle aspettative dei loro elettorati: prima delle persone, contano per loro le esigenze dell'”economia”, che, nel contesto attuale, sono le disposizioni dell’alta finanza;
2. il meccanismo di seleziona di una nuova classe dirigente non può che essere la partecipazione alle lotte, alle iniziative di cittadinanza, a campagne e battaglie politiche e culturali; non certo la partecipazione alla vita asfittica di un’azienda o quella autoreferenziale di partiti ridotti a trampolini per carriere e per appropriazioni indebite;
3. non si parte da zero. In tutti i paesi europei, diffusa sui territori, c’è una grande varietà di competenze professionali e di capacità di autogoverno, sviluppate sottotraccia da migliaia e migliaia di cittadini e di lavoratori e lavoratrici in anni di emarginazione dai centri di potere e da ruoli istituzionali. Una nuova classe dirigente deve saper valorizzare queste competenze diffuse di ordine sia tecnico che sociale. Senza mettere al lavoro quello che ogni cittadino ha imparato o può sapere, attraverso un reciproco interrogarsi, per il fatto stesso di vivere o di lavorare in un determinato ambito non è possibile far emergere né sottoporre a verifica gli approcci nuovi ai problemi economici e sociali necessari per superare lo stallo e l’involuzione della politica;
4. combinare insieme competenze tecnico-scientifiche e saperi che derivano da esperienze condivise dei cittadini e delle cittadine che intendiamo rappresentare è l’obiettivo che ci ha spinto a presentarci alle prossime elezioni sotto le insegne della lista L’altra Europa con Tsipras. I nostri nuovi parlamentari saranno assistiti, già durante la campagna elettorale e soprattutto una volta raggiunto il Parlamento europeo, sia da team di quegli intellettuali ed esperti che appoggiano la nostra lista, organizzati in base alle rispettive competenze professionali o disciplinari, sia dalle associazioni e dai comitati che l’hanno promossa o che si aggiungeranno ad essa nel corso del tempo. Così intendiamo coniugare democrazia rappresentativa e partecipativa: il modello di un modo di operare destinato a investire poco per volta tutti gli ambiti in cui ci proponiamo di combattere gli attuali assetti economici e sociali dell’Europa e le loro conseguenze sulle nostre vite e i nostri affari quotidiani. Così intendiamo mettere all’ordine del giorno del Parlamento europeo problemi e soluzioni vere; il resto è affidato alle lotte sociali che si svilupperanno in tutto il continente;
5. c’è anche tra le nostre file chi queste cose non le ha ancora capite e non cerca di praticarle, continuando a riproporre le proprie identità perdenti e perdute. Per questo le linee di demarcazione tra chi è con noi, chi è contro di noi e chi va conquistato a una nuova prospettiva sono interamente da ridisegnare: nel modo più aperto e solidale.
Category: Elezioni europee 2014, Osservatorio Europa