Davide Bubbico: Crisi economica, crisi politica e conflitto di classe nel Brasile contemporaneo

| 24 Giugno 2016 | Comments (0)

 

 

Diffondiamo da “Inchiesta” aprile-giugno 2016

 

Una breve nota introduttiva

 

Il Brasile ha rappresentato negli ultimi anni uno dei principali protagonisti della nuova economia emergente sintetizzata nell’esperienza dei paesi BRICS. Si tratta di un protagonismo ancora più evidente se si considera che l’inizio del ciclo di crescita dell’economia brasiliana ha coinciso con la vittoria del PT di Lula nelle presidenziale del 2003 e con il periodo della successiva rielezione nel 2007. Un successo sul piano economico proseguito almeno fino alla fine del primo mandato della presidente, Dilma Rousseff (2011-2014), anch’essa esponente del Partido dos Trabalhadores (PT). Il PT nasce nel 1983 sull’onda del processo di democratizzazione del paese e dell’affermazione della Central Única dos Trabalhadores (CUT) che ha origine dall’esperienza del nuovo sindacalismo promosso dal sindacato metalmeccanico della principale area industriale del paese che è quella dell’ABC, che riunisce tre municipi ad elevata industrializzazione prossimi alla città San Paolo. La città di San Paolo rimane un luogo centrale per la comprensione delle dinamiche di conflitto della società brasiliana, non solo per la concentrazione delle attività economiche in quest’area, ma anche perché la gran parte dei partiti politici hanno qui il loro epicentro (70 deputati su 513 sono eletti in questo Stato, si tratta del gruppo più numeroso). L’area di San Paolo concentra, dunque, un insieme di interessi che vanno dalla potente Confindustria locale (la FIESP), alla carta stampata considerato che qui sono pubblicati gli unici giornali “nazionali” del paese, agli esponenti di punta dei principali partiti conservatori del paese nel contesto di un territorio urbano in cui la stratificazione di classe della società brasiliana è più evidente che mai, complice anche la concentrazione dei nuovi ceti del terziario e della rendita finanziaria che hanno avuto e continuano ad avere un forte ruolo nella mobilitazione antigovernativa degli ultimi due anni.

Lo scopo dell’articolo è quello di contribuire a fornire un quadro aggiornato dell’attuale crisi economica e politica del paese a partire da una lettura della crescita economica brasiliana degli ultimi anni, comprensiva delle componenti che ne sono state protagoniste, dei motivi dell’arresto di questa crescita, delle problematiche rimaste irrisolte sul piano sociale ed economico, e del perché di una ripresa dell’opposizione conservatrice e dell’interpretazione dell’attuale crisi come esito del conflitto di classe. In questo quadro i progetti di riduzione della spesa sociale e l’ulteriore flessibilizzazione del mercato del lavoro presentati dai partiti di destra e di centro non rappresentano solo la loro risposta alla crisi economica, ma anche il tentativo di riconfermare quelle posizioni di previlegio che ciclo petista sono state cominciate ad essere messe in discussione, anche per un rinnovato e maggiore protagonismo dello Stato nei in alcuni servizi pubblici essenziali (salute ed educazione in termini di ampliamento dell’acceso) e negli interventi sociali, oltre ad un’avversione per l’intervento eccessivo dello Stato nello sviluppo economico del paese, in un paese tuttavia contraddistinto da sempre da un forte intervento statale in tutti i settori dell’economia, se si fa eccezione per l’ondata liberista del decennio ’90.

 

1. La crisi economica brasiliana: commercio estero, tassi di interesse e politiche economica

 

Molti analisti spiegano la crescita economica brasiliana dell’ultimo decennio, a partire dall’elezione alla presidenza di Lula, anche se altri ritengono che una ripresa dell’economia brasiliana era già in corso negli ultimi anni del governo di Fernando Henrique Cardoso (FHC). L’avvento di Lula alla Presidenza del Brasile ha coinciso con una favorevole congiuntura economica che ha interessato i paesi produttori di materie prime (le c.d. commodities) sia minerali, che agricole di cui il Brasile è uno dei principali produttori. Questa congiuntura favorevole è stata sostenuta dalla forte domanda di mercato proveniente dai paesi asiatici ed in particolare dalla Cina, ma in questi anni l’attivismo del governo brasiliano sul fronte del mercato sud americano, piuttosto che rispetto al resto dei paesi BRICS, ha segnato un parziale mutamento della politica estera e così dei flussi del commercio internazionale del paese. Si tratta di una variazione parziale perché se si osservano i dati degli Investimenti Diretti Esteri (IDE) la prevalenza del capitale statunitense e poi di quello europeo rimane ancora di gran lunga prevalente. E proprio gli IDE hanno avuto un peso importante nella crescita economica di questi anni: nel periodo 2006-2013 il Brasile ha beneficiato complessivamente del 70% degli investimenti esteri nel settore industriale nell’intera area dell’America Latina (Messico compreso)[1].

La politica estera dei governi petisti ha teso a privilegiare, in questi anni, i rapporti sud-sud, supportati in questo anche dal costituirsi di un’alleanza concreta, anche se mai priva di elementi concorrenziali come in Africa, tra i paesi BRICS. Ed oggi sul tema della politica estera si colgono i primi cambiamenti promossi dal governo interino di Michel Temer che ha assunto la presidenza del paese dopo il golpe istituzionale del 17 aprile di quest’anno, tema sul quale torneremo, tuttavia, più avanti nel testo.

La spiegazione della crescita economica brasiliana, perlomeno fino al 2014, deve tuttavia tenere conto di altri fattori che sono risultati determinanti ai fini della crescita e soprattutto dell’aumento delle dinamiche interne di consumo: a) la decisione di sostenere la crescita del salario minimo e di conseguenza l’aumento della capacità di consumo fondamentale per la crescita del mercato interno[2]; b) l’intervento del governo in campo economico attraverso una serie di investimenti che ha puntato, da un lato, a rafforzare la presenza strategica in alcuni settori (come quello petrolifero) e dall’altro a iniettare risorse pubbliche nel sostegno agli investimenti privati e delle imprese che operano nell’ambito dei servizi fondamentali e in cui hanno giocato un ruolo fondamentale i finanziamenti del Banco Nacional do Desenvolvimento (BNDES); c) il sostegno più o meno indiretto del governo agli aumenti salariali contrattai nel settore pubblico e privato e più in generale un riconoscimento delle centrali sindacali come partner del modello di sviluppo inaugurando un modello di tipo concertativo; d) le misure di politica sociale come “Bolsa Família” e il progetto “Minha Casa Minha vida” a sostegno della piccola proprietà diffusa; e) la crescita degli IDE accompagnata da una politica di sostegno alle produzioni nazionali attraverso sgravi fiscali e altri incentivi a favore delle imprese estere che aumentavano il valore nazionale dello loro produzioni, questo anche per limitare il volume delle importazioni di prodotti industriali sul mercato nazionale.

Le politiche sociali rappresentano un aspetto essenziale per comprendere il modello di sviluppo promosso in questi anni. Al di là delle due più note in precedenza, come Bolsa Família che interessa più di 10 milioni di famiglie che comprendono 50 milioni di individui (praticamente un quarto della popolazione brasiliana attuale) vanno menzionati i programmi Pro. Uni e Pro. DEC che hanno consentito l’accesso all’università a milioni di nuovi studenti in larga parte provenienti dalle classi popolari che altrimenti sarebbero rimasti esclusi dal circuito universitario, sia perché l’università pubblica non dispone di molte risorse in termini di numero di studenti ammissibili, sia perché quella privata, molto diffusa, ha costi enormi e dove è finita per confluire molta parte della nuova domanda di istruzione. I programmi prima citati sono intervenuti infatti nel sostenere le spese di iscrizione nel caso di accesso all’università privata, mentre il governo ha promosso proprio in questo ultimi anni una crescita delle università federali o il loro ampliamento sul territorio nazionale[3]. L’accesso di milioni di nuovi studenti all’università è probabilmente tra i maggiori successi dei governi petisti, ma questo è un dato che va osservato anche in relazione all’accesso ora possibile ai livelli alti dell’istruzione da parte dei figli delle famiglie meno abbienti alla formazione universitaria ed in particolare a discipline chiave come medicina, legge o economia che fino a poco tempo fa erano esclusive delle classi medie e alte del paese.

L’insieme dei fattori prima elencati spiega buona parte della crescita economica del paese, anche se tra questi va evidenziato, a nostro parere, soprattutto l’intervento del governo in economia, come conferma anche l’adesione al modello definito “desenvolvimentista”[4] sostenuto dalla Rousseff  ed in particolare dal Ministro dell’Economia Guido Mantega in carica nel primo mandato presidenziale della Rousseff, fermo restando una certa continuità con le politiche economiche promosse dai due mandati precedenti di Lula. Tra l’altro proprio il cambio del titolare dell’economia con un ministro con posizioni più neoliberali all’inizio del secondo mandato è considerato da molti come il primo retrocesso rispetto alle politiche adottate fino a quel momento. Quest’ultimo, Joaquim Levy, è stato tuttavia posto nelle condizioni di dimettersi nel momento in cui le divergenze con il governo sono andate crescendo. Così nel dicembre dello scorso anno in sua sostituzione, quando il precipitare della crisi economica e politica hanno consigliato di ritornare a posizioni meno restrittive sul ruolo della spesa pubblica in fase di recessione economica, è stato nominato un ministro considerato più prossimo a posizioni keynesiane (Nelson Barbosa).

La politica economica definita “desenvolvimentista”, finché è stata adottata, si è basata sui seguenti aspetti: riduzione degli interessi, aumento delle linee di credito del BNDES, programmi a favore della reindustrializzazione (Brasil Maior), esoneri contributivi sul costo del lavoro (interessati 42 settori per 25 miliardi di reais l’anno) e altri provvedimenti simili; massicci investimenti nelle infrastrutture, riforma del settore elettrico, svalorizzazione del Real, controllo dei capitali (per evitare che con l’azione precedente venisse pregiudicata la competitività dei prodotti brasiliani), protezione della produzione nazionale attraverso una serie di misure fiscali sfavorevoli ai prodotti importati. L’insieme di queste misure non ha garantito tuttavia nel contesto della crisi economica internazionale di mantenere gli stessi standard di crescita degli anni precedenti. Va detto a questo proposito che l’andamento del PIL brasiliano ha avuto un andamento molto alterno: rispetto ad una crescita ancora molto sostenuta nel 2008 (+5,1%) l’anno successivo complice la crisi internazionale la variazione è stata negativa (-0,1%) poi nuovamente positiva con le misure anticicliche dell’ultima fase del secondo mandato di Lula (+7,5% nel 2010) e via via decrescente nel primo mandato della Rousseff (+3,9% nel 2011, + 1,9% nel 2012, + 3% nel 2013, +0,1% nel 2014) per diventare negativi nei primi due anni del secondo mandato (– 3,8% nel 2015) con una previsione per l’anno in corso di una riduzione altrettanto identica (– 3,9%) con una leggera crescita (+0,4%) prevista per il 2017.

Ora ad incidere fortemente sulla crisi economica brasiliana e sulle performances dell’economia negli ultimi anni hanno inciso diversi fattori sul piano economico, ma non sono da non considerare quelli di natura politica che oltre a contribuire ad un quadro di incertezza hanno rappresentano senza dubbio un fattore condizionante rispetto alla dinamica degli investimenti sia pubblici che privati. Ora per quanto riguarda i fattori della crisi economica se questi possono essere ricondotti in parte al contesto economico internazionale, anche se come visto in precedenza almeno fino al 2013 non sono negativi, le ragioni della crisi sembrerebbero avere una causa più nelle vicende economiche interne e nelle scelte di politica economica adottate dalla Rousseff nel suo secondo mandato.

Ora se dal punto di vista programmatico c’è una continuità tra i governi Lula e il primo governo Dilma, dal punto di vista politico è intervenuta secondo André Singer[5] una modificazione rilevante, perché se, da un lato, Lula nell’arco dei suoi due mandati avrebbe tenuto una posizione più dialogante con i molteplici interessi privati che condizionano la vita economia del paese, la Rousseff avrebbe mostrato una minora propensione ai compromesso, soprattutto sul tema della riduzione dei tassi di interesse, cosa che gli ha procurato l’opposizione del settore finanziario. L’analisi e l’interpretazione della crisi nel caso brasiliano non possono, infatti, non tenere conto di alcune problematiche strutturali dell’economia brasiliana che sono, da un lato, proprio gli elevati tassi di interesse che finiscono per gravare sul bilancio dello stato e sul costo del credito al consumo (il tasso fissato in aprile dalla Banca Centrale del Brasile è stato il 14,25%, il maggiore degli ultimi dieci anni), e dall’altro lato, e in stretta relazione, gli alti livelli dell’inflazione (poco meno dell’11% alla fine del 2015), che inevitabilmente finiscono per incidere sul potere d’acquisto reale delle retribuzioni, con ricadute maggiori come è risaputo sui redditi più bassi in cui la propensione al consumo è maggiore. Al contrario per le classi abbienti gli investimenti finanziari in presenza di tassi così elevati hanno continuato a rappresentare un rendita sicura ed elevata, soprattutto in relazioni al titolo del debito pubblico. Non è un caso che proprio le banche siano tra i pochi attori economici che, nonostante la crisi economica, hanno continuato a macinare significativi ricavi in tutto questo periodo.

È tuttavia proprio nell’abbassamento dei tassi di interesse che il primo mandato della Rousseff ha conseguito un risultato importante. Tra l’agosto 2011 e l’aprile 2013 i tassi di interesse scendono dal 12,5% al 7,25%, soprattutto per la decisione assunta dalle banche pubbliche[6] su decisione del governo, una mossa che costringe anche quelle private a fare lo stesso per rimanere competitive in termini di offerta alla clientela e considerando che il tasso di inflazione alla fine del 2013 era arrivato ad un livello molto basso considerando lo storico del paese, il 6,59%. Ma nell’aprile 2013 il Banco centrale rialza i tassi lasciando, di fatto, al mercato finanziario di assumere il condizionamento della politica economica. Questa decisione ha finito per bloccare le politiche di sviluppo fino ad allora promosse e paralizza l’avanzo progressista. L’aumento dei tassi di interesse (giustificati anche dall’obiettivo di tenere sotto controllo l’inflazione) ha limitato di molto l’azione del governo e ha consentito una ripresa secondo Singer delle posizioni neoliberali nella borghesia, nella classe media tradizionale, in settori della nuova classe lavoratrice (giovani con impiego precario e a basso salario) fino a personalità molto influenti sulla Rousseff. Questa vince di poco il suo secondo mandato alla fine del 2014 (con il 52% dei voti nel ballottaggio), ma dimette nel pieno della campagna elettorale, il ministro dell’Economia, Guido Mantega, considerato il principale artefice del modello desenvolvimentista che nel 2006, come ministro dele attività economiche nel governo Lula, aveva posto le basi del maggiore intervento in economia. In questo senso la principale critica rivolta alla Rousseff è quello di aver deciso di fare il contrario di quanto promesso in campagna elettorale e di aver fatto invece quello che altri le chiedevano di fare fin dall’inizio del 2012, ovvero un choque recessivo, richiesto dal principale partito dell’opposizione neoliberista il PSDB.

Il mancato proseguimento del modello desenvolvimentista avrebbe, dunque, le sue origini nell’aprile del 2013 in corrispondenza della ripresa dell’aumento dei tassi di interesse, seguiti (anche per effetto della crisi economica) dalla riduzione degli investimenti pubblici, l’aumento della tassa di concessioni pubbliche (esempio strade e ferrovie) e la diminuzione delle restrizioni al capitale speculativo e privatizzazione nell’area dei trasporti. Va poi considerato un altro aspetto che ha finito per condizionare ugualmente alcune scelte del governo. Nel 2013, anche per effetto delle mobilitazioni che nel corso del tempo sono state sempre più dominate dalla destra inizialmente come critica dei casi di corruzione per la realizzazione delle opere della Coppa del Mondo del 2014, il governo ha realizzato una serie di tagli alla spesa che hanno condotto alla fine del 2014 praticamente a una crescita zero del Pil. Accade così secondo Singer che «con la politica monetaria e fiscale che si contraggono, insieme alla sfiducia della borghesia, annullano i tentativi della nuova matrice economica di aumentare gli investimenti che si riducono del 4,4% nel 2014. Con la crisi economica, la caduta dei risparmi, lasciano lo Stato più vulnerabile a proposte di riequilibrio di bilancio all’insegno dell’austerità»[7].

Un ultimo aspetto che merita di essere trattato riguarda e che in parte contribuisce a condizionare l’andamento dell’economia, in particolare nelle fasi recessive, è l’esistenza di un sistema tributario fortemente regressivo e che incide più sui consumi che sui redditi e molto meno sulle rendite finanziarie. Il tema della mancata riforma fiscale costituisce, del resto, uno dei temi più critici nell’analisi dell’esperienza del governo petista ed il tema è tanto più rilevante in considerazione della strutturale disuguaglianza che attraversa da sempre la società brasiliana. Se la riduzione della disuguaglianza nei redditi è sicuramente avvenuta, essenzialmente per effetto dell’incremento dei redditi da lavoro (aumento del salario minimo) e di alcuni programmi sociali (come bolsa família), questa non è stata aggredita in una delle sue fonti primarie che risiede per l’appunto nel sistema tributario. Un recente studio dell’IPEA (Instituto de Pesquisa Econômica Aplicada)[8], che è uno dei principali istituti di ricerca del governo, ha confermato di recente come il sistema tributario brasiliano continui a presentare un’elevata concentrazione del reddito e una bassa progressiva della tassazione, nel quadro di un carico fiscale che è considerato tra i più alti al mondo, pari al 33% del Pil. Questo carico fiscale risulta essere tanto più iniquo perché è concentrato in tributi indiretti e regressivi e non in tributi diretti e progressivi, in altri termini la tassazione pesa più sui consumi e meno sul reddito e quando si riversa sui redditi la progressiva dell’imposizione fiscale è scarsamente progressiva favorendo in tal modo i redditi più alti. La principale distorsione, secondo lo studio dell’IPEA, è determinata dall’esenzione dei dividendi e delle plusvalenze distribuite agli azionisti, che costituiscono le maggiori quote di reddito delle famiglie più ricche, nuovamente una situazione che non ha pari al mondo con altri paesi se non, afferma sempre lo studio, con l’Estonia. Si tratta di un’esenzione introdotta nel 1995 nel periodo in cui predominano governi di impronta neoliberista, che insieme ad altri provvedimenti di natura simile hanno ridotto significativamente l’imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPJ) con la possibilità di dedurre dalle spese tributarie una spesa fittizia denominata “juros sobre capital próprio (JSCP)”, interesse sul capitale proprio. Per ciò che riguarda il reddito invece, lo studio stima che per la fascia di reddito compresa tra 201 e 328 mila reais (più o meno tra 50 e 80 mila euro al cambio attuale, maggio 2016) il livello della tassazione arriva al massimo al 12,1% per scendere progressivamente fino al 7% per quanti guadagnano sopra 1,3 milioni di reais (l’equivalente di 325 mila euro al cambio attuale).

 

2. Una crisi economica anche da deindustrializzazione?

 

Secondo alcuni studiosi la crisi economica del paese degli ultimi anni sarebbe dipesa più che dalla riduzione dell’export delle commodities dalla riduzione della base industriale. Il tema della deindustrializzazione nel paese non è del tutto nuovo, soprattutto per quanto accaduto nel corso degli anni ’90 in occasione dei governi liberisti durante i quali sono avvenuti importanti processi di privatizzazione delle imprese pubbliche tanto nel settore industriale, come del credito, dell’energia, delle telecomunicazioni e di altri rami, insieme all’aumento delle importazioni.

La riduzione della base industriale in termini di incidenza sul Pil e sull’occupazione sarebbe in parte proseguita anche nei primi anni della presidenza Lula. La ripresa degli investimenti statali e l’attrazione di investimenti nel settore industriale con l’obbligo di realizzazione di una parte della produzione sul territorio nazionale sono elementi che hanno in parte contribuito a controbilanciare quella che già allora appariva come un rischio di deindustrializzazione avendo preso il sopravvento sull’export il settore dei minerali (compreso il petrolio) e quello dei prodotti alimentari. La tesi di Salama[9] è quella del sopravvento di queste esportazioni su quelle manifatturiere e la preferenza degli investimenti (nazionali ed esteri) nel settore finanziario, in ragione degli alti interessi, a scapito degli investimenti manifatturieri. Per altri economisti come Serrano e Summa[10] la riduzione della produzione industriale negli ultimi anni sarebbe dipesa, invece, soprattutto dalla riduzione della domanda domestica a causa delle politiche restrittive di bilancio adottate nel secondo mandato del governo Dilma. Quest’ultimo aspetto rappresenta, infatti, come già osservato in precedenza un elemento chiave, in quanto secondo molti nel giro di breve tempo, impulsionata dai dati negativi sull’economia, il governo Rousseff avrebbe adottato misure diverse da quelle contenute nel suo programma. Per superare in parte questo problema, a partire da metà del 2015 la moneta nazionale, il Real, è stato sottoposto ad un processo di svalorizzazione rispetto al dollaro per sostenere la ripresa delle esportazioni, ma con conseguenze dirette sul piano dei tassi di interesse sui prestiti bancari e sul finanziamento del debito brasiliano. Il risultato di questa politica di svalorizzazione è stato perlomeno, tuttavia, una ripresa del saldo attivo nella bilancia commerciale all’inizio del 2016 che non è stato seguito tuttavia da un aumento dell’occupazione, perlomeno nel settore industriale.

Ora di fronte a queste evidenze va anche detto che risulta del tutto evidente come gli IDE hanno contribuito perlomeno per tutto il primo decennio degli anni duemila alla crescita dell’occupazione manifatturiera che alla fine del 2014 ha raggiunto gli 8 milioni di addetti. IDE particolarmente rilevanti sono avvenuti nel settore dell’auto che però è anche quello che adesso sta risentendo maggiormente della riduzione dei consumi e quindi della crisi economica[11]. Per avere un’idea di cosa abbia significato questa crescita in termini industriali si consideri che nel 1992 i produttori di auto nel paese erano solo 4 (tra cui Fiat) e producevano 25 modelli, nel 2012 sono diventati 16 con produzioni per 220 diversi modelli[12].

La reindustrializzazione del paese ha rappresentato tuttavia uno degli obiettivi dei governi petisti. La stessa nuova matrice economica propria del modello “desenvolvimentista” ha definito un forte attivismo statale proprio per recuperare terreno sul piano della re-industrializzazione. In questo contesto si comprende il lancio nel 2011 da parte del primo mandato presidenziale della Rousseff del piano “Brasil Maior” che ha come obiettivo il supporto alla crescita industriale attraverso una serie di misure come la riduzione dell’imposta sulla produzione industriale sugli investimenti in capitale fisso e l’ampliamento del sostegno alla micro imprenditoria, con volume di investimenti previsto in 500 miliardi di R$ fino alla fine del 2015. Misure come quella di elevare del 30% l’Imposta sui Prodotti Industriali (IPI) sulle auto importate che che avessero meno del 65% di contenuto locale (decisione del settembre 2011), hanno spinto molte imprese ad essere direttamente presenti sul mercato brasiliano. A questa decisione hanno sicuramente concorso tra l’altro i cospicui finanziamenti per la localizzazione die nuovi investimenti negli Stati meno industrializzati del paese, come è nuovamente il caso della Fiat rispetto all’ultimo investimento relativo alla costruzione del suo secondo impianto di assemblaggio in Pernambuco. Si tratta di un dato che non riguarda ovviamente solo l’industria dell’auto, ma praticamente tutti i settori industriali ed in particolare quelli con prodotti a maggior valore aggiunto[13] come dimostra anche il Programa de Sustentação do Investimento (PSI)  della Banca pubblica di investimenti (BNDES) che supportala produzione, l’acquisto ed l’esportazione di beni strumentali e di beni con elevata innovazione tecnologica. L’adozione di politiche a sostegno dell’industria nazionale sono comunque presenti fin dai primi anni del governo Lula.

 

2. Dove ha origine la crisi politica? La distrofia del sistema politico e il desiderio di ritorno delle vecchie e delle nuove élite al potere

 

Se finora abbiamo cercato di tracciare un quadro delle principali criticità che sono intervenute sul piano economico, l’attuale crisi del Brasile non può essere compresa senza una considerazione di quella politica, che a sua volta non può essere ridotta al solo venir meno del principale alleato di governo del PT, il PMDB, il partito di centro che esprime l’attuale Presidente della Repubblica interino Michel Temer (vice della Rousseff) all’interno di una nuova coalizione di centro-destra che praticamente non contempla solo i tre partiti dello schieramento di sinistra del congresso brasiliano (PT, PCdB e PSOL) con alcune altre poche eccezioni nello schieramento di centro e degli altri partiti di sinistra. In questo quadro va tenuto conto anche dell’evoluzione che il PT ha, in parte, conosciuto come partito di governo praticamente da 13 anni, fino alla metà dell’aprile di quest’anno. Questa evoluzione riguarda principalmente il suo rapporto con i movimenti sociali e con quei settori della società brasiliana che hanno costituito il tradizionale elettorato di riferimento del PT, ma anche i nuovi rapporti che sono stati stabiliti con l’establishment economico e sociale del Brasile che ha in definitiva beneficiato della crescita economica più degli altri gruppi sociali. Tuttavia prima di portare un contributo su questo specifico aspetto occorre dire qualcosa sul sistema politico brasiliano.

Il Brasile pur essendo una Repubblica Presidenziale ha conosciuto nel corso degli ultimi anni una frammentazione molto elevata delle formazioni politiche, anche se molte di queste sono praticamente più spesso partiti individuali o singoli gruppi di interesse, piuttosto che l’espressione di movimenti politici organizzati. Nel parlamento brasiliano sono presenti oggi 34 formazioni politiche che esprimo 513 deputati, ma ben 25 di questi non sono altri che “partiti personali” con scarso o nullo radicamento e fortemente influenzati rispetto alle dinamiche di alleanze di governo che si sono fin qui alternate, tanto da essere appellati come partiti “fisiologistas”[14]. Questo è stato reso possibile anche dalla natura del sistema elettorale brasiliano, ma il dato che qui ci interessa maggiormente sottolineare è quello dichiarato di recente dalla stessa Rousseff a proposito dell’attuale situazione politica del paese che ha condotto al suo impeachment: “Dal 1988, il nostro presidenzialismo richiede una coalizione, e così è stato fino ad oggi in tutti i governi che hanno guidato il pase. È impossibile per un paese di quest’ampiezza e di queste dimensioni essere diretto senza una coalizione. Quado Fernando Henrique Cardoso era Presidente con una coalizione di centro-destra, gli bastavano 3 partiti per conseguire la maggioranza, alle volte 4 o 5 per avere la maggioranza qualificata dei due terzi. Negli ultimi anni, tuttavia, sempre di più a causa della frammentazione partitica, determinata dal crescente interesse ad avere un proprio partito per poter accedere ai finanziamenti pubblici il numero dei partiti è aumentato significativamente. E questo aumento è avvenuto all’interno di un’idea molto imprecisa di centro politico, secondo la mia opinione. Lula già necessitava di 8 partiti per avere la maggioranza semplice, 10 o 12 per avere quella qualificata, quando sono arrivata io questo numero è aumentato ulteriormente”[15].

Ora l’altro aspetto che va osservato è che all’interno dei diversi partiti sono cresciuti in modo particolare gli esponenti rappresentati delle varie chiese evangeliche presenti nel paese e che riguardano un fenomeno di massa in molti casi ha capitalizzato lo scontento (o l’abbandono secondo altri) delle classi popolari da parte del PT in termini di politica attiva e militanza. Queste chiese oltre ad essere diffusamente presenti in tutto il paese occupano ormai uno spazio televisivo e radiofonico rilevante che come tale finisce per incidere anche sui comportamenti elettorali e sulle valutazioni in genere della popolazione. Secondo alcune interpretazione ciò che sarebbe avvenuto in altri termini è che quanto seminato dal governo del PT attraverso le misure di politica sociale e  economica, e che hanno consentito un significativo miglioramento del reddito, è stato poi raccolto dai vari partiti e partiti di centro evangelici che hanno investito molto sull’interpretare il miglioramento economico di questi anni più che come il risultato delle attività del governo come quello del loro impegno individuale e dell’intervento di Dio[16]. Allo stesso tempo il numero di deputati più vicini al mondo del lavoro, perché provenienti dal sindacato o perché con stretti legami con questo, è passato tra il primo e il secondo mandato della Presidenza Rousseff da 86 a 45, ma era molto più numeroso nei due mandati della Presidenza Lula[17].

Il processo di frammentazione è stato sostenuto per alcuni versi anche dalla possibilità del finanziamento privato da parte del settore imprenditoriale, solo di recente vietato dopo una decisione del Supremo Tribunale Federale (STF è l’organo corrispondente alla Corte Costituzionale Italiana) circa le donazioni effettuate da persone giuridiche.

In questo contesto il venir meno dell’appoggio del principale partito alleato di governo, il PMDB all’inizio dell’anno ha segnato praticamente il via libera all’impeachment della Rousseff dopo che il STF ha accettato la denuncia del principale partito di destra, il PSDB (lo stesso di FHC), di responsabilità fiscale da parte della Presidente Rousseff, una motivazione chiaramente strumentale all’obiettivo di condurre la Presidente alle dimissioni o perlomeno alla sospensione dalla carica, come poi avvenuto con il voto finale del Senato nel maggio di quest’anno. Ora va ricordato, a questo proposito, che fin dalla seconda elezione la Rousseff è stata sottoposta al costante tentativo dell’opposizione di vedere invalidata la sua elezione, prima con la richiesta di conteggio di voti (poi avvenuta), sia con altre denunce presso l’organo elettorale, tutte con esito negativo. La votazione favorevole all’apertura del processo di impeachment rappresenta, da questo punto di vista piuttosto l’esito finale, finora vincente, di questo tentativo che un fatto nuovo.

Ma perché all’inizio di quest’anno è venuto meno l’appoggio al governo da parte del PMDB? Qui vanno considerati almeno due aspetti, uno legato a questioni di natura giudiziaria e agli uomini politici che sono stati coinvolti, l’altro al tema della crisi e al tentativo di uscire dalla crisi con politiche di destra per porre termine alle politiche progressiste del PT in tema di politiche sociali e di mantenimento dei diritti del mondo del lavoro. In questo quadro la presenza di fenomeni di corruzione all’interno dell’apparato politico di Stato è rimasta una costante e questo non solo per i notevoli interessi economici che girano intorno all’economia del Brasile, ma per il persistere di una forte commistione tra interessi pubblici e privati nella conduzione del governo soprattutto quando questa azione involve la gestione delle imprese a controllo statale come la Petrobras.

L’operazione giudiziaria  denominata “Lava Jato”, che molti in Brasile hanno associato a quella “mani pulite”, riguarda uno caso di corruzione che coinvolge le imprese del settore petrolifero, che secondo il giudice inquirente, Sergio Moro, avevano definito uno schema di pagamento ai principali partiti, di maggioranza e opposizione, attraverso la super fatturazione delle commesse, per entrare nelle forniture della compagnia petrolifera di Stato, la Petrobras[18]. In questa inchiesta sono rimasti coinvolti molti esponenti dei grandi e dei piccoli partiti, e tra questi l’ex Presidente della camera dei Deputati, Edoardo Cunha, accusato in precedenza anche di lavaggio di denaro sporco con l’apertura di conti correnti sospetti in Svizzera. Cunha, esponente anch’esso del PMDB, espulso dalla carica di Presidente della camera e di deputato poco dopo la sospensione della Rousseff sempre su decisione del STF una volta considerate le gravi indagini a suo carico, è considerato il principale artefice dell’impeachment e del venir meno dell’alleanza PT-PMDB. Il suo particolare attivismo in qualità di Presidente della Camera dei Deputati per l’apertura del processo contro la Rousseff sarebbe la risposta alla decisione del PT di appoggiare il processo a suo carico che era già stato avviato presso il Consiglio di Etica della Camera e che avrebbe prodotto con molta probabilità lo stesso esito intervenuto in seguito con il pronunciamento STF. Per queste ragioni molti commentatori individuano nell’azione intrapresa da Cunha di portare in votazione la richiesta di impeachment, dopo aver ottenuto che il suo partito rompesse ufficialmente l’alleanza, il principale responsabile della sospensione momentanea della Rousseff. Tra l’altro molti ritengono che sia sempre Cunha a muovere in parte le fila dell’attuale governo Temer. Tuttavia la rottura dell’alleanza PT-PMDB non può essere interpretata solo alla luce delle vicende giudiziarie, che tra l’altro oggi proprio in relazione alla Lava Jato hanno visto la condanna di un esponente di spicco del PT, José Dirceu, già Ministro dei rapporti con il parlamento nell’epoca Lula, ma il coinvolgimento di molti altri esponenti, tanto del PMDB come del PSDB è altrettanto certo e per certi versi anche maggiore. La crisi politica che ha interessato il Brasile nel corso degli ultimi anni va compresa congiuntamente con l’aggravarsi della crisi economica e la determinazione dell’opposizione di centro-destra di ritornare al potere dopo 13 anni di governo a guida PT e di farlo attraverso quello che è stato dichiarato un golpe istituzionale, non essendo riuscita attraverso le ultime 4 elezioni presidenziali.

La modificazione del quadro politico risente, tuttavia, direttamente delle modificazione degli interessi che finora le classi di potere brasiliane hanno visto salvaguardati, in qualche modo, dal governo del PT. L’inversione del ciclo economico ha rappresentato così l’occasione per la promozione di un cambiamento radicale delle politiche dietro la preoccupazione di un eccessivo intervento dello Stato in economia e di una politica della spesa pubblica troppo sbilanciata verso programmi sociali a sostegno delle popolazioni più povere in una fase di deficit di bilancio crescente per le condizioni negative dell’economia. Non è un caso che tra i principali sostenitori dell’apertura del processo di impeachment sia stata in prima linea la potente associazione degli industriali di San Paolo, la FIESP. Questa associazione ha tuttavia mantenuto buoni rapporti con i primi due governi Lula e con il primo governo Rousseff, in quanto co-interessata, alle misure che i vari governi petisti hanno adottato nel corso degli anni a favore delle imprese, a partire dall’ultimo provvedimento di esonero contributivo per le nuove assunzioni, un provvedimento che però non ha determinato un’inversione di tendenza nell’occupazione, quanto piuttosto un’ulteriore riduzione degli investimenti da parte delle imprese.

Per comprendere la natura di questa nuova riconfigurazione degli interessi economici e dei suo rappresentanti sul piano politico, alla luce della crisi economica mondiale post-2008, è esemplificativo il contenuto del programma “Un ponte per il futuro”, ribattezzato da subito dalla sinistra sociale e sindacale “Un ponte per l’inferno”, presentato dal PMDB nel novembre dello scorso anno quando questo partito era ancora alleato di governo del PT. Questo programma contiene una serie di provvedimenti che qualora fossero adottati stravolgerebbero in maniera radicale l’impianto delle politiche finora adottate dai governi petisti a partire dalla privatizzazione delle grandi imprese pubbliche, in primo luogo la Petrobras, la fine del monopolio di quest’ultima sulla concessione del Pre-sal (l’importante bacino petrolifero in mare atlantico), una nuova riforma previdenziaria con l’introduzione di un età minima al posto della combinazione di età anagrafica e anni di contribuzione oggi vigente, l’ampliamento della possibilità di utilizzare risorse oggi vincolate al sistema dell’educazione e al sistema sanitario nazionale (SUS) per altri interventi, piuttosto che le misure che riguardano più direttamente il mondo del lavoro e che interessano principalmente la fine degli adeguamenti automatici del salario minimo, la prevalenza del negoziazione collettiva sui vincoli di legge (negociado sobre legislado) attualmente previsti dalla CLT (la legge del 1943 che riunisce le norme sul diritto del lavoro), l’ampliamento delle terziarizzazioni sia per le imprese private che nell’ambito dei servizi pubblici senza vincolo alcuno. Quest’ultimo provvedimento fa già parte del resto di uno dei 55 progetti di legge (ma il numero sembra salito ulteriormente negli ultimi mesi) depositati dai partiti di centro e di destra tra Camera e Senato che prevedono una riforma integrale della CLT.

In questo caso appare interessante il confronto tra il contenuto del programma “Compromisso pelo Desenvolvimento”, sottoscritto alla fine del 2015 dalla principali centrali Sindacali e da alcune associazioni impresariali, ma non dalla FIESP e le prime misure annunciate dall’attuale governo interino[19]. Se nel documento era prevista una ripresa degli investimenti pubblici e di una partecipazione di quelli privati per la realizzazione di opere pubbliche sotto il controllo dello Stato nelle intenzioni del nuovo governo i nuovi investimenti dovrebbero caratterizzarsi per una prevalenza di quelli privati ma totalmente sganciati da un politica di riequilibrio territoriale che finora ha consentito di salvaguardare le aree più deboli dove la popolazione conosce un maggior deficit di infrastrutture. Sono previste misure di privatizzazione o comunque di prevalenza nell’azionariato delle imprese private su società pubbliche, mentre fino ad oggi, dove la partecipazione del privato è pure prevista, lo Stato mantiene il controllo tramite la BNDES o altre società. È il caso già richiamato della Petrobras, mentre il documento delle Centrali Sindacali richiamava l’attenzione di una ripresa degli investimenti pubblici nel settore dell’Oil & gas come delle fonti alternative, o delle aziende bancarie ancora sotto il controllo statale. Ci sono poi tutti i progetti di legge che riguardano il mercato del lavoro, a partire dalle terziarizzazioni e la prevalenza della negoziazione sulle previsioni legislative che sono viste dalle Centrali come un attacco diretto al potere di contrattazione del sindacato.

 

5. La crisi brasiliana tra vecchie e nuove classi, tutela degli interessi dominanti e futuri conflitti

 

Se si osservano per bene le attività messe in campo dall’opposizione negli ultimi due anni, queste rappresentano per molti una risposta in termini di classe da parte delle tradizionali classi al potere alle politiche progressiste introdotte dal ciclo petista[20], approfittando di un quadro economico avverso al governo e dell’ennesimo caso di corruzione che ha visto coinvolti anche esponenti del PT. Inoltre molti analisti concordano sul fatto che la sospensione dalla carica di Presidente della Rousseff era un obiettivo da conseguire soprattutto per bloccare o in qualche modo condizionare la futura ricandidatura di Lula, già prevista alla fine del secondo mandato della Rousseff nel 2018. Del resto i diversi tentativi di incriminare Lula nell’ambito dell’operazione Lava Jato ne sono una chiara dimostrazione.

Il breve e rapido elenco del contenuto del programma “Un ponte per il futuro” prima esposto è quanto mai significativo del tentativo di ripristinare un modello economico liberista già sperimentato nel paese nel corso degli anni ’90 con gli effetti negativi che hanno poi condotto anche alla vittoria di Lula alle presidenziali del 2003. La riproposizione di istanze di governo liberiste si sposa inoltre, in questa fase, di forte crisi dell’economia con l’obiettivo di una forte riduzione della spesa pubblica che in molta parte in questi anni è stata destinata alle politiche sociali, educative e sanitarie, due capitoli quest’ultimi di forte rilevanza per cui la Costituzione democratica del 1988 ha previsto delle quote di spesa minime nell’ambito del bilancio pubblico da rispettare.

Per comprendere meglio la crisi politica attuale del paese e del perché l’egemonia petista, negli ultimi anni, si sia incrinata è utile ricorrere nuovamente ad André Singer[21]. La tesi di Singer è che negli ultimi anni varie ragioni hanno portato alla dissoluzione della “coalizione produttivista” formatasi con l’elezione di Lula e alla formazione di un fronte unico borghese anti-desenvolvimentista. Ciò sarebbe dipeso dall’intenzione della Rousseff di accelerare il percorso intrapreso dal lulismo incomodando, in questo modo, in particolare i gruppi di potere economici che hanno cominciato a giudicare negativamente il maggiore attivismo statale in economia. La critica di Singer al governo Rousseff è quella di non aver nel frattempo costruito, in opposizione a questo fronte, un’alleanza interclassista e di non aver mobilitato a suo sostegno il mondo del lavoro fin dall’inizio. L’analisi di Singer ha come base su una serie di evidenze di natura politica ed economica che si sono manifestate nel corso degli ultimi anni. Un ruolo rilevante è stato quello degli istituti internazionali e della stampa che hanno criticato l’eccesso di intervento statale in economia fomentando in questo modo la critica neoliberale all’azione di governo. In questo periodo sono state riproposte per il Brasile secondo Singer le stesse misure che sono state fatte per l’Europa: diminuzione della spesa pubblica, riduzione della spesa pensionistica, taglio delle tasse, ulteriore flessibilizzazione delle normativa sul lavoro e privatizzazioni. La proposta di riduzione della spesa e dei consumi, e un freno alle rivendicazioni salariali sono ritornare ad essere le proposte principali anche per contrastare l’inflazione. Un altro conflitto, ma questo interno alle istituzioni di governo, è quello che si è configurato tra le misure promosse dal governo e in particolare dal Ministro delle Attività Economiche Guido Mantega quando era titolare, e la Banca Centrale, nuovamente in relazione alla questione della gestione dei tassi di interesse.

Ora per comprendere appieno l’ipotesi di un ritorno in forma più radicale di un conflitto di classe nel paese bisogna considerare che nel Brasile le élites esercitano ancora un forte ruolo soprattutto grazie alla loro capacità di articolazione nelle varie strutture dello Stato, oltre che nell’economia e nell’ambito giudiziario in particolare. In un certo qual senso la riduzione delle disuguaglianze in termini di distribuzione della ricchezza è uno dei motivi di sfondo che hanno mosso anche le manifestazioni dell’ultimo anno etichettando come assistenzialiste le politiche del governo rivolte alla parte più povera della popolazione. Tuttavia, per la prima volta da molti anni, da quando praticamente il governo Lula è salito al potere, la tendenziale riduzione delle disuguaglianze nel 2015 sono ritornate a crescere, risultato evidente della diversa dinamica dei rinnovi contrattuali avvenuti negli ultimi anni e della crisi economica più recente[22]. Queste élites sono oggi la somma delle vecchie classi sociali concentrate tra il ceto imprenditoriale e quello delle professionali liberali, e i nuovi ricchi rappresentati dai nuovi imprenditori del terziario, in particolare del settore del grande commercio, di quello bancario e del settore finanziario più in generale, tutti legati in qualche modo alla rendita finanziaria.

Secondo Armando Boito Jr la forza egemonica è ancora quella della grande borghesia nazionale brasiliana, composta da esponenti delle grandi imprese nazionali che operano nelle opere civili, nelle costruzioni navali, nell’agroindustria, nel settore minerario e in vari altri settori industriali, compreso coloro che operano nel settore finanziario. Ma per Boito la borghesia brasiliana non si è integrata di forma omogena e generale nel capitalismo internazionale[23]. Secondo la sua interpretazione l’opposizione neoliberale ortodossa, capitanata dal PSDB, rappresenta ancora interessi diversi ed eterogenei tra cui il grande capitale internazionale e quella parte della borghesia brasiliana integrata, nei modi più diversi, al capitale internazionale. Questo conglomerato di interessi ingloba i fondi finanziari internazionali che speculano sui titolo del debito pubblico, sul debito e le azioni delle imprese brasiliane; le industrie europee, statunitensi e le altre imprese straniere che esportano per il mercato brasiliano, le assicurazioni che hanno aperto filiali nel paese e le industrie che posseggono unità produttive in Brasile come quelle del settore auto. La frazione della borghesia brasiliana integrata come socio minore o dipendente dal capitale internazionale ingloba le aziende che si dedicano all’importazione di prodotti industriali e di consumo di vario genere e che ha maggiori legami con il capitale internazionale. Si tratterebbe di quella frazione maggiormente aperta all’esterno, anche se non è l’unica, favorevole maggiormente all’apertura dell’economia, alla riduzione del ruolo dello Stato, alla privatizzazione, a una politica monetarista più rigida e che vedrebbe bene la chiusura del BNDES. In conclusione per Boito si tratterebbe per questa componente del ritorno al programma neoliberale puro e semplice già applicato nel decennio ’90. Lo stesso autore ritiene che la linea che divide il campo neodesenvolvimentista da quello neoliberale ortodosso non è così rigido come si potrebbe pensare. In questo senso quando, di recente, il campo neoliberale ortodosso ha cominciato la sua offensiva restauratrice[24], il fronte neodesenvolvimentista è venuto a sfilacciarsi e questo si è potuto osservare in diversi aspetti della scena politica brasiliana, come il venir meno dell’appoggio unanime delle grandi centrali sindacali intorno al governo, il passaggio del PSB[25] all’opposizione, la divisione interna al PMDB e un appoggio attivo della FIESP che è passata da un appoggio attivo ai governi neodesenvolvimentisti a una politica di opposizione.

Il tema del ruolo delle classi e della loro diversa riconfigurazione nell’attuale scenario brasiliano è uno dei principali temi di indagine nell’analisi sociale perché, se da un lato, si tratta di comprende la riconfigurazione interna alle classi di potere in cui molti individuano il prevalere dei nuovi ceti finanziari piuttosto che la classe tradizionale degli industriali, dall’altro lato, l’ampio consenso acquisito dal PT, almeno in passato in forma trasversale tra diversi settori della società brasiliana e soprattutto tra le classi popolari, ha posto dinanzi all’interrogativo su quali siano oggi gli interessi di cui il PT si fa maggiormente rappresentante. In questi termini il dibattito che ha riguardato il PT è quello relativo al fatto se esso sia divenuto ormai un partito di espressione popolare piuttosto che di sinistra[26].

In questo dibattito è entrata anche la riflessione circa l’emersione di una nuova classe media. È indubitabile che l’aumento del lavoro dipendente con regolare contratto di lavoro ha determinato una crescita ampia dei consumi (oggi dei circa 100 milioni di occupati, poco meno della metà è tuttavia in possesso di un contratto di lavoro regolare), soprattutto tra le classi popolari come è del resto comprensibile conoscendo la più alta propensione al consumo da parte dei redditi più bassi. In questo senso Singer afferma che il PT, ha smesso di essere un partito di classe, il ché non diminuisce il carattere inclusivo dei suoi governi che secondo la sua analisi hanno trasformato il paese con programmi come Bolsa família e Pro. Uni., ma non per essere diventato nel frattempo un partito della borghesia quanto un partito profondamente popolare. Lo stesso Singer[27] ha tuttavia in passato condiviso l’idea dell’emersione di una nuova classe media favorita dalla crescita economica del primo decennio degli anni duemila al quale è stato possibile associare anche un maggiore e rinnovato protagonismo della classe dei lavoratori salariati[28]. Partendo da quest’ultimo assunto Pochmann ha espressamente criticato quest’ipotesi. Secondo il suo ragionamento non si tratta dell’emergenza di una nuova classe, tanto meno di una classe media: «sia per il livello di reddito, sia per il tipo di occupazione, sia per il profilo e gli attributi personali, il grosso della popolazione emergente non rispetta criteri serie e oggettivi che possano chiaramente essere identificati come classe media. Sono invece associabili, alle caratteristiche generali delle classe popolari che, elevando invece il rendimento del proprio reddito, ampliano immediatamente il loro modello di consumo. Non si ha, in questo senso, nessuna novità, dato che si tratta di un fenomeno comune, una volta che il lavoratore non risparmia e spende tutto quello che guadagna»[29].

Ma l’analisi di Pochmann è intuitiva in modo maggiore di un’altra tendenza che riguarda piuttosto il profilo delle politiche pubbliche, in quanto a suo dire l’insistenza sulla riemersione di una nuova classe media risulta come conseguenza dell’appello a riorientare le politiche pubbliche per una prospettiva fondamentalmente mercantile, ovvero, il rafforzamento dei piani assicurativi privati per salute, educazione, assistenza, previdenza, che in questa prospettiva collocherebbe ulteriormente in secondo piano la costruzione di un moderno sistema di welfare in Brasile. Il risultato di questo rinnovato orientamento è quello di contribuire così a di-svalorizzare i servizi pubblici a tutto vantaggio del settore privato dell’economia che nell’erogazione de servizi tradizionali di natura sociale realizza significativi guadagni (educazione e salute in primo luogo).

Se, dunque, nell’attuale conflitto di classe brasiliano, che ha guadagnato per il momento la guida del governo in attesa che una nuova votazione del senato decida definitivamente in ottobre sulla sospensione della Rousseff, forze economiche diverse si muovono per ridisegnare le politiche economiche e l’intervento dello Stato, altre forze sono scese in piazza fino all’aprile di quest’anno per chiedere dalla strada le dimissioni della Dilma accusata genericamente insieme a Lula di corruzione e della crisi economica del paese. Sta di fatto, tuttavia, che dal 2015 in poi la destra brasiliana, spesso non direttamente riconducibile a un partito specifico, che si presenta nelle diverse manifestazioni che si sono svolte nel paese, ha sempre di più assunto il volto delle classi medie benestanti, ma anche secondo Singer, quello di una parte delle classi popolari prima beneficiate dai governi del PT e ora alle prese con la disoccupazione. Secondo Pablo Ortellado, ricercatore dell’Università di San Paolo, intervistato da Fania Rodrigues, la destra brasiliana si divide attualmente in due gruppi «conservatori e liberali, con un’integrazione tra loro. Una parte significativa dei gruppi liberali è progressista sul versante dei diritti individuali (di donne e gay soprattutto), ma punitiva e conservatrice nelle relazioni tra le classi (su temi come quote, bolsa família e abbassamento della penalità per i minori)»[30]. La crescita della destra per Ortellado, dipende in Brasile da domande provenienti da una parte della società brasiliana che giudica negativamente l’ingerenza dello Stato e i programmi sociali di cui sono beneficiari le porzioni più povere della popolazione, parte che non ha ancora però un referente politico preciso. Una crescita che dipenderebbe anche dal fatto che “nel lungo periodo di governo del PT l’assenza di gruppi di sinistra in grado di rispondere all’indignazione popolare per i casi di corruzione hanno creato oggettivamente le condizioni per l’emergenza di nuove forze politiche, seppure queste appaiano ancora molto frammentate e con difficoltà di crescita”[31]. Nel frattempo se i più giovani non sono particolarmente attratti dalle vecchie formazioni politiche di centro destra del paese, questi sono molto attivi nelle reti sociali, mentre nelle manifestazioni questi sono spesso una minoranza, considerato come afferma Fania Rodrigues che gli atti pro impeachment degli ultimi mesi erano formati in larga parte da persone con più di 40 anni, di pelle bianca e di classe medio alta.

Sul fronte opposto le manifestazioni di questi mesi contro l’apertura del processo di impeachment sono state sostenute solo da alcune delle principali centrali sindacali, e specificatamente da quelle di sinistra, CUT e CTB, mentre le altre sono risultate più defilate o in alcuni casi pro come nel caso della seconda più importante Centrale, Força Sindical che comunque ha conosciuto delle divisioni al suo interno. Oltre che dalle Centrali l’appoggio maggiore è venuto più dai movimenti sociali come il Movimento Sem Terra e più in generale da un variegato arcipelago di associazioni che non sempre hanno avuto negli ultimi anni con il governo un rapporto esente da forti critiche. A mancare nelle manifestazioni è apparsa piuttosto la militanza tradizionale del PT, anche se molta di questa è contigua al PT, mentre è stata molto forte quella del principale partito alleato rimasto dopo l’uscita del PMDB, ovvero il PCdB (Partito Comunista del Brasile cui è legato la Centrale Sindacale, CTB). Sta di fatto che le manifestazioni di piazza non sono riuscite ad esercitare quella pressione sui deputati, una pressione tale che non avrebbe dovuto consentire, secondo le previsioni iniziali, alle opposizioni di raggiungere la maggioranza qualificata per l’approvazione dell’inizio del processo di sospensione della Rousseff. Allo stesso tempo anche la mancata convocazione di uno sciopero generale in concomitanza con la votazione del Senato, pur tenendo conto della situazione di crisi economica che vive il settore industriale, dimostra in qualche modo una certa incertezza o più probabilmente la consapevolezza che l’esito non sarebbe stato diverso e che il livello di coinvolgimento dei lavoratori non sarebbe stato così ampio. Con l’assunzione del governo da parte del PMDB e la riproposizione del programma “Un ponte per il futuro”, soprattutto se questo metterà mano alla riforma del sistema previdenziale, è probabile che le Centrali riacquisiscano un fronte unitario di lotta e un maggior protagonismo che finora è apparso quanto meno non totalmente espresso rispetto alla capacità di mobilitazione che sono proprie del sindacato brasiliano. È dunque probabile che si sia solo all’inizio di un quadro conflittuale che nei prossimi mesi, soprattutto qualora venisse confermata la sospensione della Rousseff dall’incarico di Presidente, potrebbe aumentare il livello di conflitto delle Centrali Sindacali anche per l’opposizione ai progetti del governo come l’estensione delle terziarizzazioni e la riforma del sistema previdenziale, o ancora quello relativo alla prevalenza della negoziazione collettiva sulla legge, oggi ancora in grado di assicurare alcuni vincoli alle richieste delle imprese, come la richiesta di riduzione delle retribuzioni.

 

 


[1] World Bank, Regulating Foreign Direct Investment in Latin America, October 2013.

[2] Il salario minimo è stato portato dal 1° gennaio 2016 a 880 R$, si tratta di una variazione dell’11,68% rispetto allo stesso valore dell’anno precedente (788 R$). Rispetto al 2003 si tratta di una crescita reale, depurata dall’inflazione, del 77,18% considerato che nel 2003 il salario minimo era pari a 240 R$ (DIEESE, Política de Valorização do Salario Mínimo: valor pra 2016 é fixado em R$ 880, Nota Técnica, n. 153, DIEESE, São Paulo, 13 dezembro 2015). Ora va detto che il salario minimo è aggiornato automaticamente per legge ogni anno sulla base del tasso di inflazione, che in Brasile rimane molto alto, e che tale aggiornamento è utilizzato anche per le indennità del sistema previdenziale. Tra le misure che il nuovo governo interino vorrebbe adottare vi è quella di eliminare il riaggiusto automatico del salario minimo. Fino al 1994 anche i rinnovi salariali erano garantiti per legge fino. Con il governo Collor fu deciso che fosse solo la negoziazione a stabilire l’entità dei rinnovi con il risultato che per tutti gli anni ’90 e i primi anni duemila si sono collocati sempre sotto del tasso di inflazione.

[3] Le università federali sono passate dal 2003 al 2014 da 45 a 63, i campus da 148 a 321, il numero di corsi da 2.047 a 4.867, il numero di matricole da 500 mila a 932 mila (MEC, Ministério da Educação), A democratização e expansão da educação superior no pais 2003-2014, Brasília, 2015. Alle università federali vanno poi aggiunte tra quelle pubbliche le università statali e un infinità d piccole e grandi università private che in molti casi per gli alti costi sono frequentate in prevalenza da studenti lavoratori al contrario di quelle pubbliche che sono interamente gratuite.

[4] Detto anche “nuova matrice economica” secondo la definizione del ministro dell’Economia Mantega in carica nel primo mandato di Dilma Rousseff, che dichiarava nel 2007 l’ingresso del paese in un ciclo “social-desenvolvimentista”, basato su massicci investimenti industriali, dove l’iniziativa privata era assente o insufficiente, e la pianificazione strategica del governo in economia. Questo protagonismo statale deve essere compreso, del resto, nel quadro di quello che già in quegli anni si configura, comunque, un rischio di deindustrializzazione, aspetto quest’ultimo che esamineremo più avanti nel testo. Allo stesso tempo a molti ha ricordato una stagione identica del paese nel corso degli anni ’60.

[5] André Singer, “Cutucando onças com varas curtas. OI ensaio desenvolvimentista no primeiro mandato de Dilma Rousseff (2011-2014)”, in Novos Estudos, n. 102, 2015, pp. 43-71.

[6] La presenza pubblica è molto rilevante nel settore bancario, in particolare se si considera la posizione di istituti bancari come Caixa Economia Federal e Banco do Brasil che controllano una parte significativa del mercato del credito. Sul ruolo di queste banche nell’economia nazionale si veda Victor Leonardo de Araújo e Marcos Antônio Macedo Cintra, O papel dos bancos públicos federais na economia brasileira, IPEA, texto para discussão, n. 1604, abril de 2011, Brasília.

[7] André Singer, cit., 2015, pp. 56-57.

[8] Sergio Wulf Gobetti e Rodrigo Octávio Orair, Progressividade tributária: a agenda negligenciada, IPEA, Texto pra discussão, n. 2190, Rio de Janeiro, abril de 2016.

[9] Pierre Salama, “Financiarisation au Brésil: «un tigre en papier, avec des dents atomiques»?, Les Possibles, n. 3, 2014, pp. 1-14.

[10] Francis Serrano e Riccardo Summa, “Demanda agregada e a desaceleração do crescimento econômico brasileiro de 2011 a 2014”, Center of Economic and Policy Research, Washington, 2015.

[11] Solo tra l’aprile 2015 e l’aprile 2016 hanno chiuso 1.100 concessionarie con  32 mila licenziamenti. Tra le c.d. montadoras, ovvero gli stabilimenti di assemblaggio finale, l’occupazione è scesa nello stesso periodo da 140 a 128 mila addetti, di cui 39 mila in lay-off, uno strumento simile alla cassa integrazione. Nel 2013 l’intero settore automotive contava in Brasile all’incirca 540 mila addetti (in Italia sono circa 170 mila). Per una panoramica dell’industria metalmeccanica brasiliana rimandiamo al recente lavoro del DIEESE a cura di André de Oliveira Cardoso, As faces  da indústria metalúrgica no Brasil: uma contribuição a luta sindical, DIEESE, São Paulo, 2015.

[12] In questo settore, in controtendenza con l’andamento dell’economia, le imprese hanno continuato ad effettuare nuovi investimenti, come proprio dimostra il caso della Fiat (FCA), l’azienda leader nel mercato che tuttavia negli ultimi mesi è sempre più insediata da GM piuttosto che dalla rivale di sempre Volkswagen.

[14] Questo termine è molto utilizzato in Brasile per indicare quelle formazioni politiche che stabiliscono relazioni con il governo unicamente in ragione di scambi sul piano di scambi di favore, benefici vari, assunzione di incarichi.

[15] Intervista a Dilma Rousseff a cura di André Barrocal, Mino Carta e Sergio Lírio, “Resistencia até o fim”, Carta Capital, 25 maggio 2016, p. 19.

[16] Un quadro molto esplicativo dell’attuale composizione del congresso brasiliano è contenuto nell’articolo a firma di Lamia Oulalou, apparso su Le Monde Diplomatique, con il titolo, “In Brasile «300 ladri con il titolo di dottore»”, Novembre 2015, n. 11, anno XXI, pp. 18-19.

[17] La forte presenza di esponenti sindacali nei governi PT, soprattutto nei due mandati Lula, è un dato di particolare rilievo sia per la comprensione delle politiche adottate dal governo sia per i condizionamenti diretti o indiretti esercitati sulle centrali sindacali e tra queste in particolare la CUT. Si veda a questo proposito il contributo di Carneiro Araújo A. M. e Véras de Oliveira R., “O sindicalismo na era Lula: entre paradoxos e novas perspectivas”, in Véras de Oliveira R., Bridi A. B., Ferraz M. (organização), O sindicalismo na era Lula: paradoxos, perspectivas e olhares, Fino Traço Editora LTDA, Belo Horizonte, 2014.

[18] Non abbiamo qui lo spazio per approfondire questo specifico punto, ma va detto che la Petrobras riveste un ruolo chiave nelle dinamiche di sviluppo del paese per gli investimenti che sono connesse alle sue attività. Come ha scritto Gisel Brito, la stima della società brasiliana di consulenza GO Associados «è che l’impatto dell’operazione Lava Jato nel 2015 sia di 140 miliardi di reais sul Pil brasiliano, che rappresenta il 2,5% del Pil. Questo significa che l’economia del paese quest0anno, con una caduta prevista del 3,1% [la riduzione del Pil è stata poi del 3,5, N.d.A.] poteva risultare praticamente stabile, con una leggera contrazione stimata nell’ordine dello 0,6%» (p. 20; “A contaminação da economia. Impactos da Lava Jato na economia vão além da Petrobras e, para analistas, há muito interesse em jogo, Caro Amigos, n. 78, 2015, pp. 20-23). La stessa agenzia stima che l’occupazione diretta e indiretta persa con l’inizio dell’operazione Lava Jato sia nell’ordine di circa 2 milioni di occupati.

 

[19] Si veda a questo proposito l’articolo di Railídia Carvalho, “Medidas de temer sinalizam terceirização e aumento da desigualdade”, 27 de maio, portal Vermelho, articolo consultabile all’indirizzo http://www.vermelho.org.br/noticia/281490-1.

[20] Sul tema delle classi sociali e del conflitto di classe in Brasile in epoca contemporanea rimandiamo a un recente volume della Fondazione Perseo Abramo, fondazione di riferimento del PT, pubblicato nel 2013 e disponibile in rete (Fundação Perseu Abramo, Classe sociais no Brasil de hoje, maio de 2013).

[21] André Singer, “Cutucando onças com varas curtas. …, cit., 2015. Il saggio di Singer riguarda un bilancio delle politiche economiche promosse nel primo mandato della Rousseff (2011-2014). Singer oltre ad essere docente di Scienze Politiche presso l’Università Statale di San Paolo (USP) è stato portavoce di Lula. A Singer si deve l’introduzione del termine “lulismo” per descrivere quanto occorso sul piano politico in Brasile con l’elezione di Lula e la popolarità che è alla base delle sue due elezioni. Per questo si veda in particolare (Singer A. (2012), Os sentidos do lulismo: reforma gradual e pacto conservador, Companhia das Letras, São Paulo, 2012). Lo stesso Singer non ha esitato ad affermare che il voto del 17 aprile che ha autorizzato il processo di impeachment sarebbe stato il maggior episodio di lotta di classe nel paese.

 

[22] L’ultima rilevazione realizzata dal DIEESE sull’andamento dei rinnovi contrattuali evidenzia come nel 2015 rispetto agli ultimi 8 anni il numero di rinnovi che hanno conseguito un rinnovo uguale o inferiore all’inflazione sia cresciuto, pari al 32% del campione analizzato, contro il 22% del 2008. DIEESE, Balanço das negociações dos reajustes salariais do 1° semestre de 2015, Estudos & Pesquisa, n° 77 do agosto de 2015.

[23] Armando Boito Jr, “A natureza da crise politica brasileira”, testo disponibile in rete, pubblicato in Le Monde Diplomatique Brasil, 1 marzo 2016.

[24] Per Boito le manifestazioni del giugno 2013 sono state “confiscate” dalla destra proprio per rafforzare il campo neoliberale ortodosso.

[25] Partito Socialista Brasiliano che nel recente voto alla Camera si è dichiarato a favore del processo di impeachment anche se in precedenza uno dei partiti alleati del PT.

[26] Si veda nuovamente Singer, O sentido do lulismo … cit.

[27] André Singer, “O lulismo e seu futuro”, Piauí, n. 49, Outubro de 2010.

[28] L’integrazione della classe operaia attraverso il suo inserimento in un circuito più ampio di consumi rappresenta una delle critiche principali all’esperienza del governo Lula, che non avrebbe invece orientato questa integrazione sul piano politico e della partecipazione effettiva alle scelte del governo.

[29] Marcio Pochmann M., Nova classe média? O trabalho na base da pirâmide social brasileira, Boitempo Editorial, São Paulo, 2012, p. 10. Sulla stesso tema si vedano anche i contributi di Souza (A Ralé Brasileira: Quem É e Como Vive, UFMG, Belo Horizonte, 2009; Os Batalhadores Brasileiros: Nova Classe Média ou Nova Classe Trabalhadora?, UFMG, Belo Horizonte, 2010) e Ruy Braga, A Política do precariado: do Populismo à Hegemonia Lulista, Boitempo,  São Paulo, 2012. Quest’ultimo autore in particolare insiste sul peso del precariato nella recente crescita occupazionale del paese.

[30] Fania Rodrigues, “A nova direita”, in Caro Amigos, ano XIX, n. 229, Abril de 2016, p. 18.

[31] Ibid., p. 21. Proseguendo in questo ragionamento Ortellado afferma che “più durerà la crisi, più una nuova destra, che guida le poteste, va a rafforzarsi. Se essa sarà in grado di conseguire un’unione tra le sue fazioni e penetrare il blocco dei vecchi partiti come il PSDB, potremmo avere nelle prossime elezioni un candidato presidente con posizioni di destra molto estreme” (p. 21).

 

 

 

 

Category: Osservatorio America Latina

About Davide Bubbico: Davide Bubbico è ricercatore nel Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche (DISES) dell'Università degli Studi di Salerno. Nel 2016 è uscito il suo libro L'economia del petrolio e il lavoro (L'estrazione di idrocarburi in Basilicata tra fabbisogno energetico nazionale e impatto sull'economia locale) pubblicato dalla editrice sindacale Ediesse, Roma 2016

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