Tiziano Rinaldini: Dal 28 giugno all’11 febbraio

| 25 Febbraio 2012 | Comments (0)


Il 28 giugno dello scorso anno è stato siglato l’accordo con la Confindustria sulle relazioni sindacali. Il sostegno a quell’accordo è stato argomentato a sinistra con la necessaria ricostruzione che così si realizzava nei rapporti unitari sindacali stabilizzando una sorta di linea di resistenza rispetto all’offensiva in atto contro i lavoratori, la contrattazione collettiva, il contratto nazionale e l’assenza di democrazia nel rapporto tra rappresentanza e lavoratori. Anche da parte di chi condivideva con noi considerevoli parti nell’analisi sulla natura della crisi, quell’accordo veniva giustificato come una “linea del Piave” da cui eventualmente ripartire quando ce ne fosse stata la possibilità.

Non intendo qui riprendere le ragioni di chi diede un giudizio severamente negativo di quell’accordo. Qui mi interessa richiamare l’attenzione sulla situazione attuale e le dinamiche successive a quell’accordo.

Ritengo che, almeno a sinistra, il riscontro di realtà dovrebbe essere l’indispensabile dato di riferimento per una base a cui riferire la discussione e le diverse o comuni posizioni da assumere.

In questi mesi, in un contesto di ulteriore precipitazione della crisi, si è indubbiamente determinata non una semplice continuità, ma un vero e proprio salto di qualità nell’affermare le tendenze di questi anni sul piano sociale, delle relazioni sindacali e della crisi democratica.

Per restare ai passaggi più rilevanti rispetto alle ragioni dichiarate per sostenere quell’accordo, basti richiamare l’art. 8 del decreto governativo dell’estate scorsa; le scelte della FIAT di cancellare in tutto il gruppo il contratto nazionale di categoria; la cancellazione da parte di Federmeccanica dell’unico contratto nazionale meccanico tra l’altro unitario approvato dai lavoratori, il rifiuto alla trattativa per un nuovo contratto nazionale e l’imposizione di un contratto separato mai validato dai lavoratori e che di contratto nazionale non ha neanche l’apparenza essendo praticamente derogabile su tutto; la negazione di agibilità per le organizzazioni che non si adeguano a prescindere dalla rappresentatività e la drastica riduzione di diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.

Ed ora il nuovo governo Monti, mentre assume misure pesanti per gli effetti sui redditi dei lavoratori e dei pensionati e sui diritti di accesso alle pensioni, non solo non ha alcuna intenzione di agire per modificare quanto prima descritto, ma assume misure di ulteriore conferma (liberalizzazione delle ferrovie senza vincolo del contratto nazionale) e si propone di intervenire sul mercato del lavoro con intenzioni tutt’altro che rassicuranti.

Il quadro che viene così definito e con cui oggi ci confrontiamo vede i lavoratori e le lavoratrici (nel lavoro e di fronte al problema di cercare lavoro) fronteggiare la crisi con un diritto del lavoro devastato sul piano statale e legislativo e con relazioni sindacali in cui sono praticabili (molto più di prima) accordi separati, svincolati dall’obbligo del loro consenso, e che rendono scambiabili i diritti generali anche a livello aziendale.

Nel contempo nel pieno di una grave crisi occupazionale, di lavoro precario e di salari sempre più bassi, il lavoratore viene sollecitato ad aderire all’aumento di orario di lavoro ogni qualvolta l’azienda lo ritenga opportuno premiandolo con un fisco che tassa al 20% la retribuzione dell’orario normale e al 10% quella delle ore straordinarie; viene sollecitato (con una ormai diffusa contrattazione sindacale a partire dal livello nazionale) ad accettare che venga abbassato anche il salario nominale e allargata ulteriormente la già ampia flessibilità scaricando il taglio e l’ulteriore flessibilità su coloro, giovani e non giovani, che entrano al lavoro.

Un sicuro risultato dell’accordo del 28 giugno è alla prova dei fatti aver messo in pesante difficoltà quelle parti politiche, sociali e sindacali (prima di tutto la FIOM) che con maggior forza, seguito e ostinazione hanno costituito e costituiscono contrasto ai processi a cui tanti dichiarano di voler opporsi. Come se non bastassero le difficoltà già presenti nella situazione con cui ci si confronta.

Si tenga conto tra l’altro che non c’è niente nelle posizioni sostenute dalla FIOM che possa consentire di chiamarla in causa per particolari responsabilità nel favorire il quadro sopra descritto.

In efficace sintesi mi pare utile ricordare i vincoli che la FIOM si è data per sé e su cui chiede relazioni sindacali e strutture legislative coerenti: la necessità di diritti non derogabili nella contrattazione collettiva sotto il ricatto della specifica situazione aziendale e su questa base, il vincolo del consenso e del voto dei lavoratori su piattaforme rivendicative e accordi, tanto più in presenza di posizioni diverse.

Tra l’altro uno degli effetti di ciò che è accaduto in questo anno è che, pur di contrastare la FIOM e la resistenza dei lavoratori, non ci si è fatto scrupolo (poco conta se consapevolmente o meno) di utilizzare pratiche strumentali e irresponsabili. Come valutare diversamente il fatto che ci si riserva di chiamare in causa il voto dei lavoratori ad arbitrio delle organizzazioni solo quando si ritenga che possa convenire all’interesse contingente fine a se stesso di questa o quella organizzazione sindacale, a seconda delle situazioni, o (ancor peggio) fingere che possa definirsi “referendum” ciò che è avvenuto a Pomigliano e a Mirafiori quando in tutta evidenza trattasi di plebiscito sotto ricatto (come ci ha spiegato Rodotà, con scarso eco ed attenzione) che interviene su diritti e sistemi di relazione non disponibili in scambi contrattuali aziendali?

Non a caso ho usato il termine “irresponsabilità” poiché ritengo che il principale danno che oggi si possa fare di fronte alla crisi è squalificare gli strumenti della democrazia agli occhi dei lavoratori, e cioè cercare di squalificare nel pensiero di un soggetto sociale fondamentale il valore del terreno essenziale senza il quale non saranno e non saremo in grado di pensare e costruire alternative e porre argini agli inquietanti sviluppi che potrà avere questa crisi.

A conclusione di questa prima parte della riflessione la situazione può riassumersi nel riscontrare il deciso avvio verso una compiuta “balcanizzazione” delle relazioni sociali. Le stesse scelte di Marchionne non hanno tanto il senso di produrre la replica del modello “Pomigliano” in tutte le situazioni al di là della FIAT, quando di dare il via libera al conformarsi di ogni situazione separatamente dall’altra, a prescindere da interessi sociali generali del lavoro.

Sarebbe la fine anche formale di una funzione generale di un sindacato riconoscibile dai lavoratori come strumento per tentare di affermare nella solidarietà un loro ruolo generale di soggetto sociale autonomo. Senza timore di enfasi, trattasi dello scardinamento della base fondamentale su cui è stato possibile parlare in Italia e in Europa di democrazia moderna di massa, in alternativa ad una logica tutta determinata da reciproci contingenti rapporti di forza.

Ha il sapore dell’ipocrisia per non dire della beffa parlare di coesione sociale e di patto sociale in presenza di questa ferita. I segni di questa involuzione sono già consistenti e allarmanti (come testimoniato ancora dagli avvenimenti di questi giorni) nella sempre maggiore diffusione di un senso comune che colloca i sindacati in un indistinto aggregato di poteri da considerarsi separato (estraneo ed ostile) rispetto ai problemi che precipitano sulla vita delle persone.

Prendendo quindi seriamente le buone intenzioni di chi l’ha sostenuto, alla prova dei fatti (per stare alla metafora) “la linea del Piave” dell’accordo del 28 giugno appare più verosimilmente una Caporetto.

È possibile e necessario richiamare ad una riflessione che (senza essere ripetitiva delle diverse valutazioni sull’accordo del 28 giugno) parta dai fatti di questi ultimi mesi; una riflessione che sappia riconoscere che richiamarsi a quell’accordo è oggi per tutti privo di fondamento in quanto quell’accordo non può più essere considerato tale quando una parte decisiva di coloro che lo hanno costruito (dalle associazioni imprenditoriali alla CISL e alla UIL) hanno dimostrato di usarlo per continuare sulle strade perseguite in questi anni, compreso il tentativo di imporre accordi separati in presenza di resistenza e posizioni diverse e senza il voto dei lavoratori, sino alla chiusura o alla limitazione di agibilità e libertà sindacali.

È in questo quadro che si può cogliere il valore della risorsa che la FIOM continua a mettere in campo per tutti, e che è rappresentata nella stessa manifestazione dell’11 febbraio.

In questo contesto si coglie qua e là (più o meno sottaciuta) una valutazione che considera la FIOM sconfitta. È forte l’impressione che si voglia così corrispondere più che a un giudizio di realtà, ad un desiderio di vedere finalmente chiusa una anomalia disturbante, che disturba cioè la quiete di chi ritiene di dover stare dentro il recinto, e anche di chi ritiene di poter stare comunque fuori dal recinto se entrambi si pongono di fatto in attesa di miracoli politicisti o rassegnati all’impotenza in attesa di un organico progetto alternativo, e intanto meglio Monti che Berlusconi.

È poi diffusa una valutazione sulla situazione dei meccanici che si concentra soprattutto sugli aspetti di isolamento.

Ciò che trovo singolare è che nell’osservare questa vicenda non venga (davvero) assunto centralmente e fatto oggetto di adeguato approfondimento il dato della tenuta della FIOM, del radicamento tra i lavoratori e della popolarità sul piano sociale, e non solo.

Il dato che dovrebbe far riflettere è infatti questa tenuta nonostante la vera e propria aggressione a cui è sottoposta e l’oggettivo ricatto che nella crisi (e in particolare con questa crisi) viene esercitato sui lavoratori.

È su questo dato che dovrebbe essere utile interrogarsi, e cioè sul valore dei contenuti di questa risorsa messa in campo, sulle ragioni di questa tenuta, su quale è il loro significato generale, sulle possibilità che aprono al di là della FIOM e sulle responsabilità che chiamano in causa per le vicende sindacali, politiche e di movimento.

È da questo punto di vista che va colto il significato della manifestazione dell’11 febbraio come concreta rappresentazione del fatto che la FIOM si ripropone più che mai oggi come risorsa in campo per se stessa e per chiunque sia interessato ad un processo che qui ed ora tenga aperti ed apra nuovi spazi ad alternative rispetto a derive della crisi verso sviluppi autoritari, tutte comunque di restaurazione classista.

Chiunque si atteggiasse con benevolenza ma considerandola (anche in buona fede) pur sempre una questione di una categoria o tuttalpiù una questione sindacale intesa come complementare alle questioni politiche centrali, chiunque non ne cogliesse il significato intrecciato inestricabilmente tra vicende di merito sindacale e caratteristiche generali dei processi in atto rimarrebbe sostanzialmente estraneo ai percorsi a cui richiama l’11 febbraio.

Se la FIOM infatti rappresentasse una operazione di testimonianza “politica” a copertura di una pratica di adeguamento subalterno all’esistente (che alcuni spacciano per “realismo”), ciò si aggiungerebbe soltanto all’attuale diffuso panorama.

Così non è.

La forza della sua tenuta è nella sofferta coerenza con cui le posizioni dichiarate si accompagnano ad una pratica che mantiene sul piano della contrattazione collettiva e del fare sindacato il senso delle posizioni stesse rappresentando sul campo contemporaneamente le difficoltà delle situazioni in cui opera ed il rifiuto a limitarsi ad un ruolo predicatorio.

Non accetta né di dire una cosa e, pur di firmare accordi, fare l’opposto, né di rassegnarsi a non fare più accordi e scaricare all’esterno la responsabilità di sottoscrivere contenuti lesivi delle libertà sindacali e dei lavoratori.

Conferma in questo la più fondamentale delle attitudini proprie di un sindacato che voglia essere autonomo e cioè da un lato il fatto che contrattare e fare accordi è nella sua natura, dall’altra che fare accordi è possibile solo se è possibile anche non farli.

Non è certo casuale che risieda nei meccanici oggi più che mai la più diffusa attività contrattuale (accordi e conflitti) nel nostro Paese, e che la FIOM ne sia la principale protagonista. Certo, è una situazione non destinata a durare per l’eternità ed i cui sviluppi, a partire dalla risorsa costituita dai meccanici, non dipenderanno solo dalla FIOM. È, però, certamente la situazione attuale.

È chiaro quindi in che senso la FIOM viene vissuta come un’anomalia effettivamente disturbante, ed è comprensibile il particolare accanimento con cui si cerca di eliminarla. Così non sarebbe se fosse possibile considerarla estranea al sindacalismo confederale, relegarla ai margini come fenomeno di velleitaria resistenza e generica parte di momenti di episodica rivolta, priva di forza contrattuale reale nei luoghi di lavoro. Non mancano i tentativi interessati (i desideri?) di descriverla così, ma ciò non corrisponde alla realtà, come soprattutto gli imprenditori sanno bene.

Per questo i meccanici e la FIOM riescono ad essere punto di riferimento non eludibile, ed in questo senso non basta limitarsi alla solidarietà ed alla simpatia nei loro confronti.

I contenuti dichiarati ed il tentativo di affermarli politicamente costituiscono l’insieme che produce la risorsa messa in campo per tutti e su cui a tutti è dato di cogliere o meno l’occasione.

È a questo che bisogna riferirsi sia per capire per quali ragioni la FIOM tiene, sia per valutare come questi contenuti parlano e chiamano in causa arricchimenti, interpretazioni, responsabilità in altri campi, ben al di là dei meccanici e certamente non possibili se scaricati sulle spalle della FIOM.

 

L’articolo è stato pubblicato sulla rivista «alternative per il socialismo», marzo-aprile 2012, n. 20.


 

Category: Lavoro e Sindacato

About Tiziano Rinaldini: Tiziano Rinaldini è nato nel 1947 a Reggio Emilia. Ha partecipato alla Fgci e alla Sezione comunista universitaria di Bologna negli anni '60. È entrato nella Fiom a partire dal 1970, prima a Reggio Emilia e poi a Varese. Dal 1976 al 1981 è stato responsabile del settore auto della Fiom nazionale. Dal 1982 ha partecipato al Cres e all'Ires ER. Dal 1986 al 1989 ha fatto parte della Cgil ER nel settore trasporti e dal 1989 al 1995 ha fatto parte della segreteria della Cgil regionale ER. Dal 1995 al 2000 ha fatto parte della segreteria nazionale dei chimici. Attualmente fa parte dell'apparato Cgil ER. Ha scritto numerosi saggi e interventi per «Il Manifesto», «Alternative per il socialismo» e «Inchiesta».

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