Metalmeccanici e lavoratori della conoscenza: quali iniziative e lotte insieme

| 15 Giugno 2011 | Comments (0)

La rivista Inchiesta e il gruppo Scienza e democrazia stanno organizzando a Bologna un convegno insieme ai due segretari nazionali della Fiom e della Flc. I due segretari rispondono alle domande formulate da Capecchi insieme a Tiziano Rinaldini.

D. Negli anni ’70 le lotte operaie, dei tecnici e degli impiegati che avevano come di riferimento la FLM si intrecciavano con le lotte degli studenti universitari, di chi faceva ricerca e di chi era nella scuola sia come studente che come insegnante. Queste lotte trovavano spazi comuni non solo nelle manifestazioni ma anche nella relazione mondo della ricerca/ FLM/ consigli di fabbrica (le conferenze di produzione), nella formazione per il recupero della scuola dell’obbligo per chi lavorava in fabbrica (le 150 ore), la formazione dei quadri e dei consigli di fabbrica (le 150 ore all’università e i corsi di formazione coordinati dalla FLM con l’aiuto di docenti universitari). L’idea era di partire dalle fabbriche per definire nuove politiche scolastiche, nuove tutele del welfare e della salute, un diverso modello di sviluppo. Come spieghi i cambiamenti avvenuti rispetto all’epoca attuale?

Pantaleo . Due soggetti hanno caratterizzato le lotte degli anni 70: gli studenti e gli operai che hanno realizzato profondi cambiamenti sociali, civili e culturali nel Paese. Autonomia e unità sono stati i valori fondamentali con i quali studenti ed operai hanno costruito una identità comune con  l’ambizione di modificare radicalmente i rapporti di potere tra le classi sociali. Si realizzava una nuova coscienza di classe  e  l’utopia di demolire gli assetti di potere partendo dalla democrazia militante  e sperimentando pratiche di partecipazione dal basso. I lavoratori e gli studenti acquisivano la consapevolezza del loro ruolo e della loro forza che gli permetteva di uscire dai luoghi della produzione e del sapere per allargare il conflitto nella società, allargando il sistema delle alleanze e riuscendo a penetrare nelle coscienze popolari. La contestazione studentesca era anch’essa portatrice di una cultura alternativa all’autoritarismo, al conformismo e alle enormi ingiustizie sociali. In quel contesto esplode potente la necessità di ridefinire il rapporto tra scuola e lavoro, tra scuola e diritti di cittadinanza per affermare una effettiva uguaglianza. Il diritto allo studio garantito a tutti, a partire dai ceti popolari, era la condizione dell’egualitarismo che significava prima di tutto mettere in discussione la selezione di classe tra chi era destinato a lavorare e chi poteva studiare. Le 150 ore nascono dentro quel contesto e sono state conquistate nel contratto dei metalmeccanici del 73 come permessi retribuiti da dedicare all’aggiornamento culturale e allo studio. L’ostilità del padronato su quella rivendicazione e sull’inquadramento unico fu molto forte proprio perché mettevano in discussione  un modello di organizzazione sociale e di produzione fortemente gerarchizzato

Landini: Non ho vissuto direttamente come sindacalista  l’esperienza degli anni ’70. Ciò che mi sembra di cogliere è che in quegli anni  c’è stata un’idea di possibile trasformazione della società. Domanda di trasformazione  che proveniva non solo dai diversi filoni di pensiero marxista ma anche dal mondo cattolico: partendo dalla centralità del lavoro della persona si arrivava a porre in discussione  l’ingiustizia e la disuguaglianza sociale. Il sindacato si percepiva e voleva essere un soggetto di trasformazione sociale puntando a rappresentare direttamente il punto di vista di chi lavorava anzi facendo del lavoro e della sua rappresentanza anche un punto proprio di trasformazione sociale di conquista. Le imprese e i poteri più forti non accettarono questo tipo di trasformazione perché dare più potere nei luoghi di lavoro a chi lavora voleva dire ridurre il proprio potere.  Il sindacato ha pagato negli anni ’70 una visione forse un po’ troppo nazionale e ha capito con ritardo i processi di globalizzazione;  ha pensato che era sufficiente gestire e difendersi per uscire da una situazione che poteva in qualche modo affrontare. Ho iniziato a lavorare a quindici anni prima da un artigiano e poi in un’azienda cooperativa di 250 dipendenti dove facevo facevo il saldatore, poi a venticinque anni mi hanno chiesto di uscire dalla fabbrica e fare il sindacalista. I delegati più anziani  ricordo che mi dicevano: fare il delegato  vuol dire che  devi conoscere l’azienda meglio del  padrone e quando fai la contrattazione  devi pensare che  non cambi solo la fabbrica; noi dobbiamo cambiare la società. Tutto questo modo di intendere il sindacato è cambiato. Finita  l’esperienza unitaria della FLM  il sindacato ha cercato di gestire i processi di riorganizzazione piuttosto che essere ancora un soggetto di trasformazione. Il sindacato ha anche pagato una non completa autonomia dai partiti politici e, di fronte alla ondata  neoliberista di Reagan e della Thatcher e alla fine di un modello sociale che si era stabilizzato in Europa,  non ha avuto la capacità di darsi una dimensione europea o mondiale mentre invece i processi economici e finanziari hanno una sempre maggiore trasversalità che supera gli stati e le singole nazioni. Il sindacato si è invece rinchiuso nella sua dimensione territoriale per cui si difendono spesso quei lavoratori lì ma li si difendono contro i lavoratori di un’altra nazione. Oggi invece che aver realizzato l’obiettivo di “proletari di tutto il mondo unitevi” c’è  un miliardo e mezzo di persone che lavorano con pochissimi diritti che vengono messe in contrapposizione con quattro cinquecento milioni che hanno qualche diritto in più.

D. Come valuti l’attuale situazione sindacale e politica  dal punto di vista della Fiom?

Landini: Una volta che il sindacato cessa di pensarsi soggetto di trasformazione e quindi di rappresentare il lavoro anche dal punto di vista sociale e politico le conseguenze sono inevitabili. Il sindacato si attesta in una fase di difesa e finisce con il pensare che l’impresa ha ragione, i processi sono inevitabili e che il sindacato deve solo cercare di ridurre il danno, vedere se passa la nottata  e a quel punto  la funzione di sindacato diventa non più la contrattazione  ma l’erogazione dei servizi. Dal punto di vista della Fiom ciò che è accaduto in questi ultimi anni è stato soprattutto un processo di accelerazione nella direzione prima indicata. Marchionne ha accelerato questo processo o forse ha semplicemente scoperto un velo a limiti del sindacato che erano già preesistenti e la crisi del modello sociale in Europa si è accompagnata a questa accelerazione.

D. Mi rivolgo a Pantaleo: quali sono le caratteristiche che oggi attraversa il mondo del precariato, dalla ricerca al mondo della scuola, e come interpreti le politiche del governo e della confindustria verso le categorie che la FLC rappresenta?

Pantaleo: la precarietà è stata l’architrave della globalizzazione. Mettere in competizione i lavoratori nel mondo, abolendo perfino i diritti umani oltre a quelli sociali, ha reso drammaticamente evidente il tratto più violento del pensiero neoliberista. I danni prodotti sull’umanità sono stati enormi perché hanno spogliato il lavoro della dignità e della libertà trasformandolo in merce. Nei settori della conoscenza la precarietà è stata funzionale all’attuale modello di società e di saperi sempre più piegati alle logiche del mercato. Si utilizza la crisi per colpire ulteriormente la condizione disperata  delle nuove generazioni. Siamo in presenza del più grande licenziamento di massa dei precari che le scuole, le università e gli istituti di ricerca pubblici ricordino e allo stesso tempo il precariato si configura sempre più come un fenomeno strutturale con il lavoro cognitivo che si trasforma progressivamente in manovalanza a basso costo. La Flc vuole rompere quella catena di sfruttamento cancellando il precariato. Abbiamo costruito il coordinamento nazionale dei precari quel riferimento progettuale e di costruzione di un anello di congiunzione delle tante precarietà. Intendiamo partire dal diritto al lavoro e nel lavoro per realizzare nei nostri comparti un nuovo patto generazionale che abbia al centro una stretta interdipendenza tra reddito di cittadinanza, diritto allo studio e al lavoro.

D. In particolare quali sono oggi i problemi che deve affrontare un sindacato dei lavoratori della conoscenza? Quali problemi pongono le diverse tipologie di aderenti al sindacato FLC Cgil di cui sei segretario generale? Le iscrizioni alla FLC sono in aumento dopo gli attacchi della Gelmini al mondo della scuola e della università?

Pantaleo: l’attacco che in questi anni è stato sferrato dal Governo Berlusconi ha avuto come impianto ideologico quello di demolire la conoscenza come bene comune. I tagli alla scuola, alla università e alla ricerca pubblica hanno devastato la qualità educativa e formativa e soprattutto calpestato la nostra Costituzione che garantisce l’apprendimento gratuito garantito come fattori decisivi di democrazia ed emancipazione. La Gelmini con le sue controriforme e i tagli ha voluto ricondurre la conoscenza a forme di privatizzazione. La riduzione della quantità e della qualità dell’offerta formativa ha risposto a quel disegno e allo stesso tempo, attraverso provvedimenti intimidatori quali ad esempio la legge Brunetta, la riforma dell’università, l’attacco all’autonomia degli enti di ricerca e i regolamenti della scuola si è materializzato un duro attacco alla libertà d’insegnamento e di ricerca. Sono stati bloccati i contratti nazionali e gli scatti d’anzianità per demolire la  funzione del sindacato ritenuto l’ultimo intralcio verso privatizzazione del sapere. La FLC è riuscita a rispondere a quell’attacco grazie anche alla capacità di allargare il fronte delle alleanze con studenti, precari e movimenti. Cisl e Uil hanno fatto altre scelte rinunciando nei fatti allo scontro per ripiegare sulla limitazione del danno senza alcun risultato concreto perché con questo Governo si vince o si perde. Sono stati subalterni e serventi a quelle logiche pur di garantirsi un rapporto privilegiato con la Ministra Gelmini. Spero che facciano una seria riflessione sui danni prodotti con le divisioni del sindacato  che sono state alimentate da un Governo che risulta essere sempre più distante dai bisogni reali dei nostri comparti. Gli Stati Generali della conoscenza, che abbiamo tenuto il 17 e 18 Maggio, sono stati importanti  perché hanno costruito una solida ed estesa rete di associazioni e movimenti ribadendo la convinzione  che il sistema di istruzione, formazione e ricerca rappresenti il cuore del patto sociale scaturito dalla Costituzione. Gli iscritti sono aumentati in proporzione al numero degli addetti che per effetto dei tagli sono invece decisamente diminuiti. Insomma siamo in grado di potere tranquillamente continuare lo scontro con un Governo che è più debole ma non per questo meno pericoloso.

D.Come valuti il livello delle lotte studentesche, degli insegnanti, dei ricercatori precari dal punto di vista della tenuta organizzativa, lucidità nel definire gli obiettivi, capacità combattiva? Cha rapporti hanno queste diverse componenti con il sindacato? Sono disponibili a partecipare alle diverse iniziative del sindacato FLC?  Quali iniziative pensa di fare la FLC per attrarre questo insieme di figure diverse (studenti, ricercatori, insegnanti…)?

Pantaleo: le lotte sono state decisive per rendere evidente l’insostenibilità della condizione delle nuove generazioni. Si è passati dalla indagini sociologiche al  fatto che una intera generazione si è riappropriata del proprio destino. Il volto sorridente e deciso di quei ragazzi è entrato nelle case degli italiani ricevendo consensi e solidarietà. Quei movimenti hanno riconquistato la dimensione collettiva rispetto alla solitudine e all’individualismo. Per la Flc la contaminazione con quelle domande è stata fondamentale per comprendere linguaggi e pratiche di movimento fino ad allora estranei alla nostra cultura. Quando si è tentato di criminalizzare il movimento, dopo gli incidenti del  14 Novembre, la nostra reazione è stata decisa perché in realtà si voleva arrestare quell’onda impetuosa con la repressione. In quella giornata ero in piazza a Roma con gli studenti e mi hanno impressionato quei  palazzi del potere blindati e inaccessibili, con un Governo sprezzante nei confronti di quei ragazzi e preoccupato   solo di comprare i voti in Parlamento per sostenere una maggioranza agonizzante. Quei ragazzi sono stati prima umiliati e poi attaccati da un ceto politico corrotto e moralmente impresentabile che  ha preteso di dare lezioni di democrazia. Dobbiamo essere grati al Presidente Napoletano per avere voluto ascoltare le l ragioni di quei ragazzi consentendo di tenere aperto uno spazio democratico nel rapporto con le istituzioni democratiche.  La Flc rappresenta comparti dove è facile cadere, soprattutto in una fase di crisi, nel corporativismo, nel paternalismo e nell’autoreferenzialità. Devo dire che la nostra categoria  ha vissuto quel rapporto con grande curiosità e capacità di ascolto senza pretendere di mettere cappelli sul movimento.

D. Come vedi, dal punto di vista della FLC, la dinamica che si è aperta tra la  Fiom e la Cgil e la dinamica che  oppone la Cgil ai sindacati Cisl e Uil?

Pantaleo: La CGIL ha bisogno di unità perché da più parti si vuole eliminare l’anomalia di una organizzazione che vuole conservare gelosamente la propria autonomia sociale e contrattuale e che non rinuncia a prospettare una propria idea di società. Politica e sindacato devono potersi confrontare su un terreno riconoscimento della propria autonomia. Per queste ragioni nessuno s’illuda di poter piegare la CGIL alle proprie alchimie. Troppi sono i suggeritori esterni che nel nome di una falso riformismo ci chiedono di cambiare pelle rinunciando a conquiste di civiltà come il contratto nazionale ed accettando l’ulteriore indebolimento delle tutele nel lavoro per andare verso il contratto individuale. Sarebbe questa per loro la modernità! Per questa ragione occorre che la CGIL apra porte e finestre ad un dibattito libero da schemi predefiniti superando le artificiose contrapposizioni del congresso che finiscono solo per ingessare gli schieramenti. Occorre riconfermare la natura confederale della CGIL declinandola in maniera più precisa e convincente. Ricomporre il lavoro, estendere i diritti, ridare centralità al contratto nazionale e alla contrattazione decentrata proponendo forme più avanzate di democrazia sociale ed economica devono essere i tratti della confederalità. Serve un profondo rinnovamento generazionale dei gruppi dirigenti e bisogna abolire i patti di fedeltà  perché mai come in questa fase ognuno deve ragionare con la propria testa e i propri sentimenti. Bisogna mettere in campo strategie che rendono evidente come è indispensabile un diverso modello di sviluppo e nuove gerarchie sociali per uscire dalla crisi. Non dobbiamo accettare le compatibilità che altri vogliono imporci. Senza la mediazione sociale non può esistere sindacato. Ma allo stesso tempo non bisogna mai dimenticare che la funzione del sindacato è soprattutto  ottenere risultati concreti per migliorare la condizione delle persone che rappresenta. Se non si vive alla giornata e viceversa si torna a ragionare del futuro sono convinto che anche il rapporto tra Fiom e CGIL diventa più semplice. E’ evidente che è aperta una battaglia di egemonia con Cisl e Uil. E’ in discussione perfino il pluralismo sindacale che può vivere solo con regole condivise. Loro hanno in testa un modello di sindacato che di volta in volta accetta deroghe contrattuali e il peggioramento delle condizioni di lavoro. Attraverso lo scambio con le imprese e il Governo vogliono imporre un sistema monopolista di relazioni sindacali. Allo stesso tempo occupano attraverso gli enti bilaterali gli spazi lasciati liberi dall’arretramento dell’intervento pubblico. Sono convinto che la fine di una stagione politica, di cui Cisl e Uil, hanno condiviso tutte le scelte socialmente più regressive, potrebbe aprire  scenari nuovi anche sul versante dei rapporti unitari. Ma non dobbiamo farci prendere dalla sindrome di un presunto isolamento perché il Paese reale chiede un cambiamento radicale che non è minimamente intercettabile da Cisl e Uil ma può invece trovare un naturale interlocuzione con la CGIL. Il tema della democrazia e della rappresentanza deve essere centrale per legittimare la funzione del sindacato confederale come soggetto del cambiamento e le elezioni delle rsu (rappresentanze sindacali unitarie) nel pubblico impiego del prossimo marzo rappresentano una scadenza decisiva.

D. Pensate che sia possibile tra Fiom e FLC una strategia comune  per definire delle politiche nazionali per un  modello di sviluppo alternative al modello neoliberista?

Pantaleo: abbiamo già provato a ragionare di questo insieme agli studenti, ai precari  e ai ricercatori. Dopo le intese separate di Pomigliano e Mirafiori le battaglie della Fiom hanno incrociato le lotte negli atenei, nelle scuole e negli istituiti di ricerca pubblica. Era naturale che ciò accadesse perché in un Paese civile non può accadere che le persone vengano messe di fronte all’alternativa tra diritto al lavoro e la dignità del proprio lavoro. I settori della conoscenza possono essere un riferimento fondamentale per cambiare modi di produrre e di consumare capovolgendo i paradigmi che interpretano lo sviluppo come puro fatto economico e non viceversa finalizzato al benessere e alla libertà delle persone. Bisogna tornare a ragionare di controllo sociale sulla produzione e sulla qualità dello sviluppo.

Landini: il rapporto tra chi lavora nelle fabbriche e chi lavora nella scuola e nell’università cambia radicalmente una volta che il sindacato abbandona l’idea di avere solo un ruolo di resistenza per difendere i diritti già acquisiti e si propone come soggetto che si muove all’interno di un più ampio progetto di trasformazione sociale. Bisogna riaprire una discussione su cosa si produce, perché viene fatta quella produzione, che significato ha ciò che si produce, quale è la sua sostenibilità sociale e ambientale. Le nuove generazioni hanno pagato un prezzo pesantissimo di questo capitalismo senza freni. Si trovano ad essere  precari all’interno di un mercato dove regole non ce ne sono, perché i contratti non è detto che siano in grado di tutelarli, perché le forme tradizionali  del sindacato non sono in grado di dare una risposta e una rappresentanza. Sono di fronte a una frantumazione del processo lavorativo e del processo sociale che non ha precedenti. Il punto di incrocio che vedo tra  il lavoratore di Pomigliano che non accetta di peggiorare la sua condizione e il precario che vuole lavorare è il collegamento tra chi  difende i diritti che ha per estenderli a chi non li ha. Il collegamento è possibile se si rimette in discussione il modello sociale di produzione riproponendo un’idea di trasformazione di questa società ingiusta verso una società  dove il lavoro è un diritto e dove c’è un’eguaglianza sociale vera. In questa direzione si riapre  anche il rapporto con l’università. Oggi in fabbrica i modelli organizzativi e le tecnologie che vengono utilizzate per produrre auto stanno ritornando alle forme più spinte di taylorizzazione con una catena di montaggio  dove non si può scioperare e con un aumento dei ritmi dei carichi di lavoro deciso unilateralmente. Perché allora nelle università chi insegna come funzionano le aziende non studia se non sia possibile un metodo di lavoro diverso? Perché non si mette   in discussione che la catena di montaggio sia l’unico modo di produrre? Perché non si parla di  riconversione produttiva quando il prodotto non è più l’auto ma è la mobilità? Se penso agli studenti, a quelli che conosco, è importante la loro lettura  critica  di quello che  succede. Agli interrogativi che provengono dalle fabbriche corrispondono i loro interrogativi. Chi l’ha detto che debbano esserci solo lavori precari? Chi l’ha detto che l’unico scenario possibile è quello del precariato? Solo un sindacato che metta in discussione il modello di sviluppo può cercare di rappresentare queste diverse categorie e cercare di dare delle risposte a questi interrogativi.  Siamo di fronte a una concentrazione del potere privato nel decidere che cosa si produce, dove si produce che non ha precedenti. Le scelte delle  grandi multinazionali  sono scelte che condizionano la vita di tutti. Come governare questi processi torna, secondo me, ad essere una domanda di fondo. C’è quindi  la necessità che tante intelligenze diverse  tornino a parlare, tornino a discutere, cerchino di  vedere se c’è un terreno comune di azione.

D. Pensate che sia possibile per la Fiom e per la FLC intervenire insieme nelle politiche  per un diverso modello di sviluppo anche al livello di specifici territori?

Pantaleo: sono convinto che una vera dimensione confederale significa  assumere il compito di unificatore sociale attraverso laboratori territoriali per progettare la qualità urbana e la mobilità, promuovere la produzione di beni comuni, riconvertire le produzioni ecologicamente insostenibili, allargare l’occupazione  e sostenere lo sviluppo locale. Insomma a livello territoriale bisogna riproporre cosa, come, dove per chi produrre,. Servono per questa missione più spazi pubblici aperti al protagonismo degli attori del territorio. I cittadini hanno ilo diritto di controllare e valutare il lavoro pubblico. In questa visione del territorio, non come semplice luogo fisico ma come interazione di culture e di diversità,  il rapporto tra categorie e confederazioni e tra le singole categorie assume un valore decisivo perché costruisce un progetto comune nelle quali le autonomie contribuiscono a realizzare connessioni  attraverso il rapporto tra vertenze sociali e rivendicazioni nei singoli luoghi di lavoro. La funzione di un grande sindacato come lo Spi può essere determinante per incominciare a ricostruire nel territorio la tela della solidarietà e di un nuovo patto generazionale.

Landini: oggi occorre una discussione più approfondita su ciò che significa crescita. Questa crisi che noi conosciamo non è uguale dappertutto e le risposte potrebbero essere diverse territorialmente. Faccio un esempio per dare un’idea. Penso che il terremoto all’Aquila sia stato in Italia una grande occasione mancata perché nessuno si è posto quale tipo di sviluppo avrebbe potuto avere quella città. Nessuno si è interrogato prima di ricostruire sulle possibili proposte di sviluppo che potevano essere fatte per quel territorio: quali alternative locali in uno scenario globale. Il famoso slogan “agire localmente pensando globalmente” è sempre valido perché le scelte locali possono essere fatte solo tenendo conto del modello di sviluppo più generale che si vorrebbe avere. In un dato territorio la riorganizzazione di una fabbrica, o la presenza di quello che viene definito un lavoro autonomo di seconda generazione, deve sempre tener conto dello scenario globale in cui una specifica contrattazione viene inserita. Le situazioni e condizioni lavorative sono oggi fortemente frammentate e per cercare una strategia di possibile ricomposizione penso a pochi grandi contratti nazionali, come quello dell’industria  e quello  dei servizi, per definire soglie minime di diritti valevoli per tutti i tipi di lavoro e parallelamente sarebbe anche importante un intervento legislativo, non in alternativa ai contratti, per definire fasce minime di tutela come il reddito minimo di cittadinanza. In quanto poi alla domanda se sia possibile una contrattazione territoriale occorre sempre chiederci nei confronti di chi viene fatta e quali sono le diverse categorie del lavoro che aderiscono a questa piattaforma. Mi rendo conto che ci sono molti temi, anche sociali, che devono essere affrontati in un territorio. Negli anni ’70 nei contratti delle fabbriche metalmeccaniche si chiedeva che l’1% dei profitti o del fatturato di quella fabbrica fosse devoluto al Comune perché facesse delle opere pubbliche che erano valide per tutti e non certo per i soli metalmeccanici e loro famiglie. Oggi una contrattazione di questo tipo sarebbe importante per rafforzare il fondo di non autosufficienza perché quando una famiglia ha un familiare non autosufficiente è un vero disastro economico e sociale. Ci sono quindi spazi per interventi territoriali, dalla salute alla sicurezza fino ai servizi sociali. L’importante è che questi interventi propongano soluzioni generalizzate. Ad esempio vedo negativamente gli asili aziendali che risolvono qualche problema in quella data azienda ma non affrontano il problema al livello di tutto il territorio comunale. Detto questo ribadisco che,  in una situazione di diffuso precariato e in cui l’80% del lavoro avviene in piccole e piccolissime imprese in cui non è presente il sindacato, sono importanti interventi al livello nazionale per definire una fascia generalizzata di diritti e di tutele.

D. Cosa vi  attendete  dal convegno in cui il dibattito dei relatori e del pubblico è sulla possibile ripresa di iniziative e  lotte comuni tra chi aderisce alla FLC e chi aderisce alla Fiom? Quale tipo di relazioni vi piacerebbe ascoltare?

Pantaleo: Per me la priorità è ragionare sul come ristabilire un nesso tra conoscenza e processi produttivi, a partire dalla politiche industriali. Dobbiamo tornare a analizzare il lavoro che cambia e come possiamo liberare quel lavoro dall’alienazione. Dobbiamo introdurre più ricerca e innovazione come fattori decisivi del cambiamento non solo perche’ solo così è possibile realisticamente  aumentare la produttività ma anche per favorire  la crescita delle capacità d’iniziativa dei lavoratori, la loro creatività e responsabilità. La conoscenza deve essere socializzata anche per rispondere a quelle domande. Meno scuola, meno università,meno istruzione artistica e musicale,meno formazione professionale portano inevitabilmente ad un apparato produttivo ridimensionato e ancora più debole ma anche a meno diritti individuali e collettivi. Mi piacerebbe discutere di questo!

Landini: è importante che in questo incontro  siano fatte analisi e  proposte su i temi trattati in questa intervista : i cambiamenti nel mondo del lavoro, i rapporti locale/globale, quale può essere un modello sviluppo alternativo a quello neoliberista, quali lotte e iniziative per ricomporre la frantumazione dei processi lavorativi e sociali a partire dalle due categorie protagoniste del convegno: quella dei lavoratori metalmeccanici e quella dei lavoratori della conoscenza. Occorre poi riflettere che questa frantumazione dei processi lavorativi e sociali ha aperto un’autostrada all’estensione dell’illegalità, cioè del fatto che c’è ormai un pezzo dell’economia reale che è illegale e che è in mano a forze illegali con una dimensione che si è estesa ormai dappertutto. Anche questo è un terreno nuovo: il problema lavoro-legalità ormai non è un problema che anche il sindacato e chi lavora non si deve porre. Il sindacato deve tornare ad essere soggetto protagonista del cambiamento del modello di sviluppo.

[Questa intervista è stata pubblicata nel numero 172 di Inchiesta]

Category: Lavoro e Sindacato

About Vittorio Capecchi: Vittorio Capecchi (1938) è professore emerito dell’Università di Bologna. Laureatosi in Economia nel 1961 all’Università Bocconi di Milano con una tesi sperimentale dedicata a “I processi stocastici markoviani per studiare la mobilità sociale”, fu segnalato e ammesso al seminario coordinato da Lazarsfeld (sociologo ebreo viennese, direttore del Bureau of Applied Social Research all'interno del Dipartimento di Sociologia della Columbia University di New York) tenuto a Gosing dal 3 al 27 luglio 1962. Nel 1975 è diventato professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna. Negli ultimi anni ha diretto il Master “Tecnologie per la qualità della vita” dell’Università di Bologna, facendo ricerche comparate in Cina e Vietnam. Gli anni '60 a New York hanno significato per Capecchi non solo i rapporti con Lazarsfeld e la sociologia matematica, ma anche i rapporti con la radical sociology e la Montly Review, che si concretizzarono, nel 1970, in una presa di posizione radicale sulla metodologia sociologica [si veda a questo proposito Il ruolo del sociologo (a cura di P. Rossi), Il Mulino, 1972], e con la decisione di diventare direttore responsabile dell'Ufficio studi della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM), carica che manterrà fino allo scioglimento della FLM. La sua lunga e poliedrica storia intellettuale è comunque segnata da due costanti e fondamentali interessi, quello per le discipline economiche e sociali e quello per la matematica, passioni queste che si sono tradotte nella fondazione e direzione di due riviste tuttora attive: «Quality and Quantity» (rivista di modelli matematici fondata nel 1966) e «Inchiesta» (fondata nel 1971, alla quale si è aggiunta più di recente la sua versione online). Tra i suoi ultimi libri: La responsabilità sociale dell'impresa (Carocci, 2005), Valori e competizione (curato insieme a D. Bellotti, Il Mulino, 2007), Applications of Mathematics in Models, Artificial Neural Networks and Arts (con M. Buscema, P.Contucci, B. D'Amore, Springer, 2010).

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