Maurizio Landini: Perché non si cancelli la soggettività del lavoro
8. Pubblichiamo integralmente gli atti del seminario C’è un futuro per il sindacato? Quale futuro? organizzato dalla Fondazione Claudio Sabattini e tenuto a Roma il 5 aprile 2013. La numerazione degli interventi corrisponde all’ordine in cui sono stati fatti.
Gli interventi che abbiamo sentito – dalla relazione ai contributi – danno l’idea della ragione di questa iniziativa, del suo carattere non celebrativo, ma che vuole partire da un nucleo di pensiero che Sabattini ha espresso durante la sua direzione della FIOM, e che vuole provare a misurarsi non solo con l’analisi, ma anche con le risposte da dare, nel tentativo di coniugare l’analisi con un’azione per provare a cambiare la situazione che abbiamo di fronte.
Gli appuntamenti che, oltre alla giornata di oggi, sono in programma – cioè l’idea di approfondimenti che si svolgeranno fisicamente nei luoghi in cui Claudio ha svolto, nella sua esperienza sindacale, un ruolo di direzione politica (da Brescia a Torino, a Palermo, a Bologna) – fanno parte di un percorso che vuole continuare ad avere la caratteristica di un momento di analisi, di riflessione ma che, ed insisto su questo punto, vuole anche provare a costruire delle risposte. Dico questo perché una semplice analisi scollegata dall’azione e dalla risposta sindacale che vuoi provare a mettere in campo, rischia di essere pura demagogia e in questa fase di demagogia se ne sente fin troppa.
In un quadro in cui molti dei punti di analisi anche del pensiero di Claudio e della FIOM nel suo complesso, non solo purtroppo si stanno realizzando, ma in alcuni casi si sta andando anche oltre quello che si poteva immaginare sarebbe potuto accadere, se andava male. Questo è un punto di realtà da cui dobbiamo partire. Io uso solo un ricordo, perché penso che un punto decisivo che ha caratterizzato anche lo sviluppo ed il ruolo che la FIOM ha tentato di giocare in questi anni, lo collego all’Assemblea di Maratea che si fece nel 1996, quello credo che fu il punto di inizio e anche di svolta.
La relazione, il dibattito di quell’Assemblea, i contributi sia dei delegati, ma anche di Cofferati da poco Segretario Generale e di Trentin, partivano proprio da un punto di fondo, cioè che era necessario produrre un elemento di innovazione della strategia sindacale. Lo slogan che allora si usava era: “è finita la stagione dello scambio, non c’è più nulla da scambiare ed è necessario costruire un’azione sindacale, una nuova strategia sindacale che innovi l’azione e che rimetta in campo una capacità – attraverso la contrattazione – di modificare i rapporti di forza e di individuare anche un nuovo progetto sociale”.
Il ruolo della democrazia, il ruolo dell’indipendenza, ma soprattutto il fatto che i processi di globalizzazione che si individuavano avrebbero portato verso la cancellazione dei contratti nazionali di lavoro nascono lì come punto di ragionamento e di svolta, che poi si tradussero, nel ’96 nel famoso documento “Contributo della FIOM al Congresso della CGIL”. Quindi, io penso che lì ci sia un nucleo di ragionamento e di valutazione decisivo, non solo per il pensiero di Claudio, ma per l’elaborazione che tutto il gruppo dirigente della FIOM, da lì in avanti, ha provato a realizzare.
Dico questo perché, se noi ci ragioniamo un attimo, siamo di fronte anche a qualcosa che va oltre l’immaginazione che allora si poteva avere. Lo dico perché è quello che concretamente sta succedendo adesso, è quello che, in particolare, sta succedendo nel nostro Paese dove, anche tradizionalmente rispetto ad altri Paesi anche europei, si era sviluppata un’azione contrattuale ed un’idea di Sindacato confederale generale che aveva prodotto dei risultati.
Perché la caratteristica della storia del nostro Paese, delle sue relazioni sindacali è che non c’è nessun diritto che non sia stato conquistato con la lotta e con l’iniziativa dei lavoratori; non ci ha mai regalato niente nessuno, né sul piano legislativo, né su un altro piano; le leggi sono arrivate – in molti casi – dopo che la lotta sindacale ha conquistato dei diritti. Come è avvenuto, per esempio, per lo Statuto dei lavoratori.
Da questo punto di vista, noi oggi siamo di fronte ad un processo esattamente opposto e il fatto che in Italia sia stata introdotta e sia ancora presente una legislazione – e mi riferisco all’Art.8 – che permette ad una contrattazione tra privati di derogare non solo ai contratti nazionali, ma anche alle leggi, mette radicalmente in discussione la contrattazione se quella norma non viene cancellata o cambiata. In questo senso non si risolve il problema semplicemente cancellando l’Art.8, penso invece che oggi ci sia bisogno di un processo di cambiamento e di legislazione che vada verso l’applicazione di quei principi costituzionali che nel nostro Paese non sono mai stati tradotti in provvedimenti legislativi.
Se ci pensate, quello è l’elemento che rende evidente il fatto che oggi,in modo esplicito, non c’è solo l’attacco all’esistenza del contratto nazionale di lavoro. Noi siamo già dentro una situazione dove i contratti nazionali di lavoro per tante categorie non ci sono più, dove sono stati fatti accordi che non sono accordi, bensì la cancellazione dell’esistenza dei contratti nazionali di lavoro, e abbiamo già esperienze concrete di aziende in cui viene superata il contratto nazionale di lavoro e si punta ad un cambiamento del ruolo sindacale confederale attraverso la nascita di un modello aziendale e corporativo di Sindacato.
Il fatto che si rischi di andare verso la corporazione o l’aziendalizzazione non è più un’ipotesi, è una realtà con cui noi dovremmo cominciare a fare i conti, quando si parla di innovazione, perché c’è il rischio della trasformazione el Sindacato. Qui veniva detto che, se c’è una caratteristica del Sindacato nel nostro Paese, e la FIOM e la sua storia l’hanno resa evidente, è sempre stata quella di voler essere un Sindacato generale, confederale e di rappresentanza di tutte le forme e di tutte le professionalità del lavoro; che non ha mai accettato e non ha mai voluto essere un Sindacato di mestiere o un Sindacato aziendale corporativo.
Oggi noi siamo di fronte a questo processo, a questa tendenza, con provvedimenti legislativi che sono stati fatti ad hoc e che nessuno ha cancellato e non è nemmeno oggetto della discussione politica il fatto di cancellare quelle normative legislative. Allo stesso tempo, siamo di fronte al fatto che le differenze che oggi esistono nel nostro Paese tra i Sindacati partono proprio da quel punto e da quel nocciolo.
Questo è il punto di fondo di qualsiasi ragionamento sul Sindacato perché, quando dico che i contratti nazionale sono stati cancellati, parto da un giudizio, da un ragionamento che ho sentito fare tante volte da Claudio, mi è entrato in testa e ne sono abbastanza convinto: la contrattazione collettiva o è una mediazione tra diversi interessi, oppure non c’è più ed oggi noi siamo di fronte al fatto che molti modelli di contrattazione collettiva che vengono proposti non chiedono al Sindacato di essere un soggetto che rappresenti il lavoro e che, in quanto tale, media, bensì siamo di fronte al fatto che esiste solo l’impresa ed a te viene chiesto – se vuoi vivere – non solo di non contrattare con l’impresa, ma di assumere gli obiettivi della stessa, di sostenerli, di aderirvi.
In questo modo sta avvenendo un fatto molto preciso: siamo alla cancellazione della soggettività del lavoro. Da questo punto di vista, non può esistere un Sindacato e non può esistere democrazia se è cancellata la soggettività delle persone che lavorano. A quel punto, sei alla cancellazione di un elemento di fondo della democrazia, che è la possibilità anche di un conflitto.
Il fatto che si cancelli la soggettività del lavoro produce anche una riduzione del conflitto e, in questo caso, sei ad una riduzione della democrazia perché le spinte sono verso un modello autoritario. Nel nostro Paese questa cosa ha un nome ed un cognome, come purtroppo è sempre successo nella storia. Quello che è successo e che sta succedendo alla FIAT è esattamente questo. Lo dico con una punta di polemica, non era poi così difficile da capire due anni fa a Pomigliano, quando è avvenuto quello che è avvenuto!
Io credo che qui ci sia un punto di fondo che vale per il Sindacato, e parlo della CGIL innanzitutto, ma anche per le forze politiche: non si può scoprire dopo, come è avvenuto altre volte, che, se le forze politiche non rappresentano le persone che lavorano e le lasciano sole di fronte al problema che hanno, i lavoratori non votano più come qualcuno vorrebbe che votassero.
Oggi sei di fronte ad una crisi anche di quel modello perché, come ci veniva detto, è vero che in Polonia la FIAT, dopo molti investimenti, sta riducendo anche l’occupazione. Ora io non so se è di più o meno di quello che sta succedendo in Italia, ma mi permetto di dire che oggi noi siamo di fronte ad un problema, con caratteristiche anche nuove, dove il nostro sistema industriale – dato che il pezzo metalmeccanico, dall’informatica alla siderurgia, qualcosa conta – è di fronte a un rischio concreto: ovvero che l’intero sistema industriale di questo Paese in base alle scelte che vengono fatte non ci sia più, ma non tra un po’, bensì tra pochi mesi. Questo processo riguarda di sicuro la FIAT, ma sta riguardando tutti i settori più importanti del nostro Paese.
Qui c’è un’altra parte del ragionamento che veniva fatto anche nell’ultima fase della vita di Claudio, cioè che oggi non c’è solo da difendere il sistema industriale in quanto tale, ma sei di fronte al fatto che dovresti riaprire una discussione su cosa è oggi il prodotto, la produzione e la sostenibilità.
Se il Sindacato vuole avere un futuro, si deve porre il problema di essere un soggetto che nell’autonomia e nell’indipendenza, costruita nel rapporto con le persone che vuole rappresentare e che rappresenta, possa ridurre il danno rispetto ai processi che sono aperti, ma è il momento di tornare ad una discussione in cui l’analisi che fai ti deve mettere nelle condizioni di provare a mettere in campo un’azione ed una risposta che provi a cambiare il modello sociale che in questi anni è stato realizzato. Infatti, senza un cambiamento e l’ambizione di voler proporre un altro modello sociale, quindi un altro modello di produzione, fondato sulla democrazia e sulla rappresentanza, da questa situazione secondo me non ne esci e rischi semplicemente di ridurre il danno.
In questa fase, l’obiettivo non è solo quello di sconfiggere il Sindacato, ma di cancellarlo perché, se esso si riduce alla dimensione che vorrebbe la FIAT o come vogliono altre imprese, puramente aziendale e corporativa, ci troveremmo di fronte ad una competizione tra lavoratori e non esiste un’organizzazione sindacale confederale che regge ad una competizione tra lavoratori, diventa una frantumazione.
L’unico modo in cui il Sindacato può reggere oggi è, essendo in grado di rappresentare e riunificare tutte le forme di lavoro, recuperando anche una dimensione di rappresentanza con i giovani e con le nuove tipologie di lavoro che ci sono.
Ma questo richiede un cambiamento, una riforma, una riorganizzazione del Sindacato che non è solo un rinnovamento generazionale, ma è proprio anche un rinnovamento delle pratiche e delle forme organizzative e del modo di tornare a fare azione.
Visto che qui qualcuno fa degli esempi dicendo che ci sono anche altri soggetti che dimostrano una capacità di rinnovamento molto più forte, adesso l’esempio che va più di moda è come la Chiesa sia stata in grado in poco tempo di ritrovare elementi che diano un senso. Vedrei un punto particolarmente importante, se capisco dell’esperienza della Chiesa. Per un Sindacato, a maggior ragione con una dimensione di piccole e medie imprese come noi abbiamo, fermo restando che le scelte vengono fatte dentro un’idea generale, se tu voi ricostruire una sindacalizzazione, visto che stiamo calando, hai bisogno di essere in grado di intervenire e di poter essere un soggetto presente laddove ci sono le lavoratrici ed i lavoratori.
Fatemi dire come la penso, senza voler offendere nessuno: anziché avere migliaia di funzionari e di operatori sindacali, che passano il loro tempo in sedi sindacali, oggi è il momento di fare un’azione per cui il tempo lo devi passare sul territorio, nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, assieme alle persone che tu rappresenti.
Se questo elemento tu lo interrompi, non sei nella condizione di produrre un cambiamento ed io penso che questo oggi è uno dei punti che abbiamo di fronte da affrontare e uno degli elementi di innovazione non solo organizzativo, ma anche una qualità politica dell’azione che vuoi mettere in campo.
In questo forse, molto probabilmente, c’è da ripensare anche ai nostri modelli contrattuali, avere 400 contratti nazionale, una discussione anche qui che si fece con Claudio e che è proseguita anche dopo, non è più possibile, hai bisogno di una riunificazione, hai bisogno di rimettere assieme dei diritti.
Oggi non hai bisogno di andare nei Paesi dell’Est per trovare le persone che – anche a volte nelle imprese metalmeccaniche – perché dipendono dalla cooperativa, la sotto cooperativa, la sopra cooperativa, lavorano a 3 o 4 euro all’ora, ma molte volte si chiudono gli occhi di fronte a questa situazione e non si affronta il problema. Ma se tu non affronti questa cosa e non metti nella condizione quelle persone di poter modificare la loro condizione, perché c’è un Sindacato che offre anche un terreno di iniziativa, tu non sei in grado di cambiare questa situazione.
Credo che tutti questi temi vanno affrontati dicendo una cosa: proprio perché in una fase come questa c’è bisogno di provare a mettere assieme l’analisi con l’azione, voglio cogliere l’occasione di questo appuntamento importante per dire una cosa che come Segreteria abbiamo deciso proprio ieri. Frutto anche della decisione che nel nostro Comitato Centrale aveva preso, voglio annunciare che il 18 Maggio la FIOM organizza una grande manifestazione nazionale a Roma, una manifestazione che non vuole essere solo una manifestazione dei metalmeccanici, ma vuole proprio essere una manifestazione aperta a tutti, a partire dai giovani, dai precari, da chi vuole cambiare questo stato di cose e vuole chiedere non un governo perché esista un governo, ma un governo perché cambi delle cose, per cambiare questi processi, che offra un terreno di iniziative di mobilitazione.
Certo che parte dai problemi che i metalmeccanici stanno vivendo: per chiedere il blocco dei licenziamenti, per chiedere un cambiamento delle politiche industriali, per la riconquista del contratto. Ma oggi – e insisto – c’è bisogno, anche per l’azione sindacale, di avere un’idea di cambiamento del progetto sociale e penso che il modo vero, in questo caso, sia quello di far tornare il Sindacato ad essere una cosa molto precisa. Essere un modo ed uno strumento con cui le persone, tutte, possano partecipare per decidere di poter cambiare il proprio destino, cioè un modo per offrire di nuovo una possibilità di unificazione non per una protesta generica o per lamentarsi delle cose che non funzionano, ma per tornare ad essere un soggetto che offre un terreno praticabile di cambiamento.
E, proprio perché c’è una crisi della rappresentanza e della democrazia, penso che non può essere che in questa fase quelli che utilizzano le piazze o che fanno notizia sono proprio quelli che hanno messo in discussione la democrazia nel nostro Paese! Penso proprio, allora, che ci sia bisogno di una dimensione di questo genere, anche provando a misurarci con un’innovazione su tanti temi.
Faccio due esempi: penso che in una fase così, con la crisi che c’è, ci sono due elementi nuovi anche di strategia sindacale che vanno messi in campo, oltre ad una nuova legislazione, c’è la questione della riduzione degli orari di lavoro, mentre noi siamo di fronte al fatto che ci stanno chiedendo dappertutto di aumentare gli orari di lavoro.
Questo è capitato nella nostra categoria, ma provate a parlare adesso con qualcuno che lavora sulle Ferrovie, e mi capita di girare spesso, ebbene, scopri che anche in quel settore hanno aumentato gli orari di lavoro, 13 o 14 giornate di lavoro in più e in una situazione di questo genere, quando si dice che è un brutto accordo, a volte si fanno delle cose per cui non so neanche se uno ha la consapevolezza esattamente di quello che sta facendo, perché in una fase di questo genere aumentare l’orario non è solo una cosa negativa perché, al limite, fai stare peggio le persone, ma oggi è la cosa più anti-solidale che puoi fare, perché aumentare l’orario di lavoro non vuol dire altro che ridurre l’occupazione, aumentare la disoccupazione, mentre tu oggi hai esattamente bisogno della cosa opposta, cioè tu devi redistribuire il lavoro che c’è, così come devi pensare ad una forma di tutela del reddito, penso anche a forme di reddito di cittadinanza dentro una riforma complessiva, che siano in grado di garantire dal diritto allo studio al diritto di poter fare un lavoro.
E lo dico perché mi ha colpito, ma era un ragionamento che avevo sentito fare anche da altre parti ed è una conferma, quando nei vari sondaggi si parlava della soddisfazione del lavoro. E’ vero che c’è un calo. A me ha colpito che, ad esempio, l’Organizzazione internazionale del lavoro, quando classifica il lavoro in Italia, usa la parola di “lavoro indecente”, perché siamo diventati un Paese dove c’è una precarietà nel lavoro tra le più alte, se non la più alta, siamo tra quelli meno retribuiti, ma soprattutto l’altro elemento è che la qualità ed i contenuti del lavoro hanno avuto un peggioramento che non ha precedenti perché, mentre si teorizza che sarebbe finito il taylorismo, noi siamo di fronte al fatto che i modelli organizzativi e di funzionamento delle imprese stanno andando in una direzione di peggioramento secco della prestazione lavorativa.
A proposito di contrattazione, qual è la logica che sta sotto l’Art.8 e quello che sta venendo avanti? E’ che non fai neanche più, semplicemente, i contratti aziendali in alternativa a quelli nazionali, ma la prospettiva di quel disegno è di portare alla individualizzazione del rapporto di lavoro e della prestazione lavorativa, dove il salario e l’orario non è più semplicemente diverso da azienda ad azienda, è diverso da lavoratore a lavoratore, in una contrapposizione tra lavoratori. Questo è il punto di fondo. In un processo di questa natura, noi corriamo il rischio di portare con le nostre mani alla chiusura e alla cancellazione del Sindacato.
Alla domanda, quindi: può avere un futuro il Sindacato e quale può essere questo futuro? Io mi permetto di rispondere: non so se saremo in grado di dare questo futuro, ma di sicuro io penso che il problema che abbiamo di fronte è che quello che dipende da noi non possiamo lasciarlo fare a qualcun altro e la responsabilità se lo facciamo o meno è unicamente sulle nostre spalle.
In questo senso, allora, io penso che sia necessario muoversi in questa direzione, in un’idea di manifestazione che vuole mettere assieme l’idea di un cambiamento sociale, di rimettere al centro il lavoro, di una diversa politica industriale, di una riconversione ecologica dei nostri processi produttivi, di un rilancio del terreno della formazione e della conoscenza. Ciò che oggi emerge è la necessità di una dimensione europea, almeno europea, delle cose che fai.
Nei giorni scorsi abbiamo avuto l’opportunità di avere un incontro con il Segretario generale dell’IG-Metall, ci ha detto di voler continuare la discussione e nei prossimi mesi verrà in Italia. Fuori dall’ufficialità, perché ufficialmente – come è noto – dicono anche altre cose, il dato è che anche il glorioso Sindacato dell’IG-Metall, nonostante gli accordi che ha fatto, ha perso in questi anni tanti iscritti e la cosa che ci hanno detto è che l’inversione di tendenza c’è stata quando l’IG-Metall ha frontalmente detto e cominciato a fare una politica per contrastare una estensione di precarietà, che anche in Germania è stata messa in campo, e per provare a contrattarla.
Un dato che mi ha colpito, detto dai tedeschi e, se lo dicono loro, vuol dire che qualcosa c’è, è questo: “Qui, da noi, ci sono 8 milioni di lavoratori in tutti i settori a cui nei fatti i contratti non vengono applicati e che con le riforme fatte da Schoeder hanno condizioni salariali inferiori”, questo detto da loro, oltre al fatto che per provare a cambiare questa tendenza debbono cominciare a combattere questa precarietà, quindi a porsi il problema della riunificazione, ebbene, io penso che dovrebbe farci riflettere tutti su qual è l’azione sindacale che tu devi mettere in campo e qual è il cambiamento sindacale da fare.
Io credo che il contributo che noi vogliamo dare, un contributo che non è semplicemente nell’idea che i metalmeccanici possono insegnare a qualcun altro, perché oggi siamo di fronte a cose che sono andate oltre l’immaginazione, nessuno ha un’esperienza alle spalle per spiegare quello che può essere fatto, ma ci vuole la sincerità nel dire quello che si pensa, l’umiltà di essere capaci di dirlo e di ascoltare, ma soprattutto di avere la consapevolezza che c’è un nuovo disegno, una nuova strategia, una nuova azione di confederalità complessiva, quindi anche una nuova strategia della CGIL, del Sindacato di cui noi facciamo parte, per affrontare questa situazione e per provare a cambiarla, altrimenti davvero il rischio è che il futuro sia segnato. E in questo senso il contributo che noi vogliamo dare di analisi, ma anche di azione e di risposta, offrendo già con il 18 un terreno di iniziativa, vuole essere quello di provare a fare fino in fondo tutto ciò che possiamo fare. Questo credo è dovuto ed è richiesto, questo almeno personalmente mi sembra l’insegnamento più importante che ho avuto da Claudio Sabattini.
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