Luce Irigaray: Importanza del dialogo e dell’ascolto

| 31 Dicembre 2021 | Comments (0)
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Luce Irigaray è una delle più note filosofe del nostro tempo ed è stata collegaya strettamente alla rivista “Inchiesta” cartacea curandono due numeri (“Sessi e generi linguistici”, “Il divino concepito da noi” )  insieme a contributi singoli basati  su  punti fondamentali della sua filosofia ed etica della differenza sessuale.

L’Intervista riprotta in q2uesta numero è originariamente apparsa nell’Issue 60 (febbraio 2013) di FWSA – Feminist & Women’s Studies Association UK & Ireland ed è a cura e traduzione di Arianna Locatello

Con le domande che seguono, scrive Arianna Locatello, abbiamo cercato di avviare un proficuo dialogo filosofico con Luce Irigaray, che è ancora una delle più note filosofe francesi del nostro tempo. Irigaray è nota soprattutto per il suo impegno critico nei confronti delle figure canoniche della tradizione psicoanalitica e filosofica occidentale, in opere come Speculum. Dell’altro in quanto donna e This sex which is not one, e per la sua filosofia ed etica della differenza sessuale che punta a stabilire una cultura della differenza in cui soggetti femminili e maschili possano finalmente convivere nel rispetto dell’alterità dell’altro. È il nostro interesse per quest’ultimo tema, e per come tale cultura della differenza sessuale possa nascere, che ci ha motivato a formulare alcune domande circa le opere più recenti di Irigaray, come I Love to You. Sketch for a Felicity Within History, The Way of Love, e Condividere il mondo.

L’idea di intervistare Luce Irigaray, tuttavia, è nata nel corso della stimolante conferenza che la filosofa ha tenuto nel 2012 al seminario internazionale presso l’Università di Bristol. Irigaray organizza questi seminari internazionali da diversi anni, con l’intento di riunire studenti di dottorato da tutto il mondo, di dialogare con loro sulla sua opera e di sfidarli a riflettere sulla pratica della filosofia in generale. È questo aspetto dialogico che è stato al centro della lezione che Irigaray ha tenuto all’Università di Bristol nel giugno 2012, in cui ha anche toccato la situazione attuale del mondo accademico. Secondo Irigaray, le comunità accademiche attuali non si concentrano più – o non si sono mai realmente concentrate – sul valore di un dialogo intersoggettivo e rispettoso. Il valore di una conversazione dialogica e appropriata tra soggetti diversi si è perso nella nostra cultura accademica e nella cultura occidentale in generale, così come non si è tenuto conto dell’esistenza di differenze sessuate.

 

D. Cosa pensa dello stato attuale del mondo accademico in generale? E ha qualche commento sulla condizione della comunità accademica nel Regno Unito, visto che ha organizzato la maggior parte dei suoi recenti seminari internazionali presso università britanniche?

Il mondo accademico in generale sembra essere in crisi, almeno quello occidentale, che è quello che conosco meglio. Si trova di fronte a un accumulo di conoscenze scientifiche, ma anche a una diversità di culture e a una popolazione mista di studenti che rendono impossibile limitarsi al precedente modello di organizzazione e di insegnamento. Tuttavia, fare un passo avanti non è un compito facile, a maggior ragione quando i valori che stanno alla base della nostra valutazione della verità e dell’etica sono messi in discussione. Il più delle volte l’evoluzione equivale a criticare l’epoca passata senza raggiungere un’altra tappa nella cultura e nel sistema educativo. In realtà, è la prospettiva generale che deve essere riconsiderata, come cercherò di spiegare rispondendo alle altre vostre domande. Le mie proposte di insegnamento sono state accolte meglio nel Regno Unito che in altri paesi, probabilmente perché gli inglesi sono più aperti al cambiamento, più pragmatici e meno ideologici. Le mie idee e il mio progetto per il seminario che tengo da nove anni nel Regno Unito sono stati presentati per la prima volta al personale accademico dell’Università di Nottingham quando mi hanno offerto un posto di professore speciale. Spiegare le mie intenzioni non è stato sempre facile, ma il seminario internazionale per giovani dottorandi che stanno facendo ricerca sul mio lavoro è stato comunque già accolto con favore da varie università inglesi. Questo seminario si svolge ai margini dell’università, dopo la fine dell’anno accademico, e non offre quindi una reale opportunità di osservare l’evoluzione del mondo accademico inglese. Tuttavia, posso aggiungere che ho già ricevuto alcuni dottorati ad honorem nel Regno Unito, e anche inviti da parte degli stessi studenti inglesi a tenere conferenze. Tutto ciò attesta che il mondo accademico inglese ha la capacità di prendere coscienza di nuovi orizzonti culturali che, tra le altre cose, si concentrano su un’evoluzione soggettiva legata alla differenza tra i sessi.

D. Dati i tagli attualmente in atto nel Regno Unito e in altri paesi europei, quali consigli darebbe alle giovani studentesse preoccupate per il loro futuro?

Il mio consiglio è che si uniscano, e dimostrino di poter fornire altre prospettive nel mondo accademico che contribuiscano ad un’evoluzione della cultura, soprattutto una cultura globale. Invece di imporre tutti insieme i loro valori e le loro capacità relazionali in particolare, le donne troppo spesso entrano in competizione tra loro in nome delle competenze maschili, e puntano a un lavoro tradizionale in un contesto accademico immutato. Sono d’accordo con il modo in cui le cose stanno andando per fare carriera nel mondo accademico. Ad esempio, le donne che fanno il mio lavoro accettano di sospendere i loro rapporti con me per non sfidare le tradizionali usanze accademiche. Secondo me si tratta di un’importante contraddizione culturale che non può contribuire al riconoscimento della capacità intellettuale delle donne. Inoltre, questo lascia la vita e i sentimenti al di fuori del mondo accademico e della cultura, come avviene nella tradizione maschile.

D. Se il mondo accademico è davvero in una posizione di stallo in questo momento, e il dialogo e la differenza di genere non sono coltivati nella cultura accademica di oggi, come potremmo trasformare quest’ultima per condividere realmente la vita, o condividere il mondo? Potrebbe anche approfondire cosa intende con l’espressione “condividere il mondo”, come la usa in Sharing the World?

Spetta alle donne che già insegnano nelle università portare un cambiamento nella cultura accademica. Per esempio, potrebbero chiedere che la parte costruttiva del mio lavoro sia aggiunta nel programma di qualche corso, e non solo la sua parte critica. In attesa di questo, potrebbero già alludere a quella parte costruttiva nel loro insegnamento e nel loro modo di comportarsi. Potrebbero fare la differenza tra un mondo nel maschile e un mondo nel femminile, e risparmiare tempo per organizzare il dialogo tra i due mondi, come ho fatto in particolare con i bambini e gli adolescenti italiani (si veda Key Writings (2004), e il capitolo Insegnare a incontrarsi nella differenza, in Insegnare (2008)). Potrebbero anche proporre temi per saggi, tesi e anche dottorati di ricerca su come condividere la differenza a tutti i livelli, a partire dalla differenza più elementare e universale, quella tra i sessi. Temo che le donne non abbiano ancora capito cosa significhi tale differenza e quali risorse, non solo naturali ma anche culturali, risiedano nelle relazioni nella differenza. Rimangono divise tra una parte femminile non ancora coltivata di loro stesse e una cultura del maschile che vedono ancora come l’unica possibile cultura che devono raggiungere e insegnare. Troppo spesso criticano il comportamento maschile senza proporre una vera alternativa. Non c’è dubbio che le donne debbano percorrere una strada molto difficile in breve tempo, ma a volte mancano più di iniziativa e creatività quando lavorano nel mondo accademico che quando rimangono fedeli alla ragazza che è in loro. E sono più attente ad evitare i cosiddetti stereotipi femminili che non quelli maschili!

D. Per quanto riguarda il suo lavoro psicolinguistico sulle differenze tra uomini e donne nell’uso del linguaggio e nel dialogo tra donne e uomini (come spiega nel saggio The Question of the Other o in I Love to You), come descriverebbe il linguaggio e il modo di comunicare che si usa nel mondo accademico, che sembra essere ancora una struttura organizzata in modo altamente gerarchico? Potremmo dire che il tipo di linguaggio e le conversazioni che si tengono nel mondo accademico tendono ad essere più orientate al soggetto-oggetto, e quindi più o meno appropriate? Pensa che le studentesse possano trasformare il mondo accademico in uno spazio più aperto alle conversazioni rispettose? O, in altre parole, dal momento che le donne sono più abituate a usare un linguaggio soggettivo che vuole sostenere l’alterità dell’altro soggetto, le studentesse potrebbero giocare un ruolo importante nel trasformare il mondo accademico in uno spazio in cui la vita e il mondo possano essere condivisi?

Una delle caratteristiche più decisive nel modo di comunicare nel mondo accademico è il fatto che si presume che gli individui siano privi di sesso. L’unico discorso che è permesso è un discorso nel neutro, che dovrebbe essere neutrale, ma in realtà equivale a una strategia maschile per liberare gli uomini dal potere dell’origine materna e del mondo. L’apparente neutralità nella comunicazione è accompagnata da una logica nei conflitti maschili e passionali tra accademici. La neutralizzazione delle persone favorisce l’accento sull’oggetto, materiale o spirituale che sia, l’unico luogo dove possono affermare la loro competenza e il loro potere. Ovviamente, le differenze tra le persone sono quindi quantitative e legate a un’appropriazione materiale o spirituale. Queste differenze portano alla competizione e al conflitto, e non allo sviluppo di relazioni intersoggettive. Le donne potrebbero trasformare il mondo accademico in un luogo di dialogo rispettoso delle differenze. Tuttavia, se il linguaggio delle ragazze e delle adolescenti privilegia le relazioni soggetto-soggetto rispetto alle relazioni soggetto-oggetto, questa qualità relazionale deve essere coltivata come tale. Non è ancora così, e le indagini che ho condotto in Francia e in Italia – e che altri ricercatori hanno condotto in altri paesi – dimostrano che la differenza sessuale scompare nei discorsi degli insegnanti, perché è stato loro insegnato a usare un discorso unico, nel neutro, come segno della loro competenza culturale. Senza una maturazione dei loro atteggiamenti intersoggettivi, le donne non sempre sono in grado di rispettare l’alterità dell’altro. E poi entrano in una condizione di sottomissione o di dominio che non le rende capaci di trasformare la cultura accademica in uno spazio di condivisione della differenza.

D. Potrebbe commentare ed elaborare l’interessante dichiarazione di ispirazione heideggeriana che ha fatto durante la sua conferenza pubblica presso l’università di Bristol, e cioè che «solo il pensiero può salvarci»? Che cosa c’entra questo con l’affermazione di Martin Heidegger «solo un Dio può salvarci»? Dovremmo considerarla come una forte critica alla filosofia heideggeriana, o piuttosto come parte del suo dialogo critico con quest’ultima? E in che modo la sua stessa affermazione si riferisce alla sua etica della differenza sessuale e alle sue idee sulla trasformazione della cultura accademica?

Questa frase trae origine dall’opera di Hölderlin, un poeta molto importante nel percorso intellettuale di Heidegger, e si riferisce a “un dio”, alludendo all’aiuto che gli dei concessero agli uomini nell’antica Grecia. Non credo che questa frase abbia il significato che oggi attribuiamo a Dio. Forse mi sbaglio. Tuttavia, la frase parla di “un” dio e alcuni di noi possono anche trasferire le qualità degli dei dell’antica Grecia su Dio, in quanto hanno qualità in comune. Non intendevo criticare Heidegger quando ho detto che secondo me un pensiero amorevole è ciò che potrebbe salvarci oggi. Heidegger è probabilmente il filosofo che mi ha insegnato di più sul valore del pensiero e sulla via per avvicinarmi ad esso. È vero che siamo entrati in una nuova era in cui il multiculturalismo e il problema della pluralità delle religioni sono ormai al centro di un’evoluzione culturale; non è quindi più ovvio fare appello a un dio per salvarci. Ci troviamo piuttosto di fronte al compito di elaborare un altro modo di trattare il divino, in noi e tra di noi, come esseri umani che devono condividere a livello globale. E questo ha qualcosa a che fare con un’etica della differenza sessuale che un Assoluto unico ci ha impedito di definire e praticare seriamente nel campo delle scienze, dell’etica e della religione.

D.Questo ci conduce al suo impegno con la filosofia hegeliana e alla sua analisi della dialettica dei maestri hegeliani in I Love to You. Possiamo dire che la sua lettura della filosofia hegeliana in questo libro è molto più costruttiva che in Speculum? Sebbene lei abbia già toccato il tema dell’indifferenza sessuale e dell’assenza di un vero e proprio rapporto di riconoscimento reciproco tra l’Antigone di Hegel e suo fratello Polinice in Speculum, I Love to You non è forse ancora più focalizzato su una cultura della differenza sessuale, una cultura in cui il riconoscimento è costruito su una dialettica doppia, o addirittura tripla, invece che su una mascolinizzata dialettica hegeliana dell’Uno?

Non c’è dubbio che il capitolo sulla filosofia di Hegel in Speculum sia più critico e decostruente, mentre I Love to You è più incentrato su un’altra dialettica che può tenere conto delle differenze sessuali. Tuttavia, non parlerei di una indifferenza sessuata tra Antigone e suo fratello Polinice, poiché è come un membro maschile della famiglia che ella deve compiere il rituale della sua sepoltura (si veda Between Myth and History: the Tragedy of Antigone in Interrogating Antigone in Postmodern Philosophy and Criticism (2010), un saggio che appare nuovamente nel libro di Irigaray In the Beginning, She Was Bloomsbury, ottobre 2012). Forse la mia interpretazione è ora più vicina ai tempi dell’antica Grecia. Ed è anche questa fedeltà che, tra l’altro, mi costringe a usare il termine “sessuato” in un caso del genere. Il rapporto tra Antigone e Polinice è sessuato, ma non sessuale, e Antigone deve rispettare l’identità sessuata di suo fratello come diversa dalla sua prima di soddisfare il suo desiderio sessuale verso Emone, il suo fidanzato. Una cosa che non ha mai avuto la possibilità di sperimentare, perché il re Creonte l’ha condannata a morte. In altre parole: diventare capaci di incarnare un rapporto sessuale nel rispetto dell’altro richiede prima di tutto l’acquisizione di un’identità sessuata e il riconoscimento dell’identità dell’altro come diversa. Qualcosa che mette in discussione il modo tradizionale di concepire il nucleo familiare nel suo insieme, che manca di differenziazione. Da qui la necessità di una dialettica doppia o addirittura tripla: una che serva alla coltivazione e al divenire di un’identità femminile; una che serva alla coltivazione e al divenire di un’identità maschile; e una che serva alla loro relazione nel rispetto delle reciproche differenze. Il che permette loro di formare, a volte, un’unità, pur preservando la loro dualità. Riconoscere, quindi, significa riconoscere l’alterità dell’altro come un reale che non si può mai appropriare del proprio mondo, cioè farsi carico dell’insuperabile negativo esistente tra due esseri umani diversamente sessualizzati.

D. Per quanto riguarda la domanda precedente, come possiamo uscire dal paradigma schiavo-padrone di Hegel e come definirebbe quest’ultimo? Potrebbe anche commentare il capitolo Frenchwomen’, Stop Trying’ in This sex, in cui allude a La philosophie dans le boudoir del marchese de Sade e critica il suo modello fallico e libertino di sessualità? Il libertinaggio di de Sade può essere visto come una filosofia che si basa su una tale dialettica hegeliana schiavo-padrone in cui i soggetti non si incontrano mai realmente nella loro specificità e alterità? E ci sono paragoni tra queste due filosofie e quelle di Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir? Crede che quest’ultima coppia sia stata in grado di uscire da questo paradigma hegeliano?

La lotta schiavo-padrone si svolge in una logica dello stesso e dell’Uno. Si presume che il padrone e lo schiavo siano le due parti di un’unità che sono in conflitto per appropriarsi dell’unica unità possibile. I loro ruoli sono molto diversi, ma rappresentano una divisione dell’essere umano stesso in due parti inconciliabili che possono semplicemente dominare l’una sull’altra, o assoggettarsi l’una all’altra, senza mai poter entrare in dialogo. Ognuno vuole sopprimere l’altro per ottenere la propria unità, ma così facendo sopprime anche se stesso, perché l’altro è parte di sé. Per evitare questo problema insolubile, la nostra cultura di solito scavalca il rapporto tra due, e passa a un rapporto tra molti che in qualche modo sono uniti da uno stesso Uno, per esempio un assoluto filosofico o religioso, o un leader politico. Un tale gesto non risolve il problema del rapporto padrone-schiavo che ricorre sotto varie forme, in particolare tra uomo e donna, dove non ha nulla a che fare. Infatti, l’uomo e la donna non sono due parti di una stessa unità, ma sono due diverse unità umane che non ne compongono una. Possono talvolta produrne una: nell’amore, nella generazione, nel desiderio spirituale o nella creazione. Tuttavia, questo è possibile solo se mantengono la loro dualità che la cultura tradizionale occidentale ha scambiato per una coppia logica di opposti. Ora l’uomo e la donna non formano una coppia e non sono opposti (si veda In the Beginning, She Was, Bloomsbury, ottobre 2012). Sono due diverse unità naturali e culturali. Collocare il rapporto schiavo-padrone tra uomo e donna equivale a confondere una costruzione culturale con una reale che manca ancora di riconoscimento e di coltivazione. Significa rimanere nella logica dell’uno e dell’altro. Il libertinaggio sembra ignorare che la sessualità in senso stretto non può essere praticata senza considerare la dualità delle identità e delle soggettività dei partner. Riduce l’essere umano a un solo aspetto di se stesso con cui sarebbe possibile giocare senza tener conto dell’unità della persona coinvolta, cosa che permette di ricadere in un rapporto padrone-schiavo con una distribuzione dei ruoli, per esempio tra uomo e donna. Questo modo di affrontare la nostra sessualità appare anche come una sorta di gioco capitalistico che espande le nostre energie senza preoccuparsi abbastanza della nostra vita e rispettandone le risorse materiali e spirituali. Non è un caso che spesso sia proprio una donna giovane a dover offrire le sue risorse energetiche al piacere del libertino. Penso che solo la trascendenza dell’altro, per quanto naturalmente e culturalmente diversa, possa permetterci di andare oltre la dialettica hegeliana, senza trascurare il suo insegnamento e rischiando di cadere in un nichilismo peggiore. Questo ci chiede di riconoscere che l’uomo e la donna sono due soggetti naturalmente e culturalmente diversi, cosa che né Jean-Paul Sartre né Simone de Beauvoir hanno fatto. Quello che possiamo leggere e sapere sulla loro concezione del rapporto sessuale (si veda ad esempio il primo capitolo di Essere due, (2001)) non mostra un superamento di una sorta di gioco padrone-schiavo, da cui cercano di sfuggire moltiplicando il numero dei loro partner e anche perpetuando la tradizionale scissione tra corpo e mente che ci impedisce di raggiungere la nostra specifica individuazione e unità, e una possibile nuova relazione tra due soggetti sessuati.

D. Anche se ha definito una tale etica della differenza sessuale come un’etica carnale in Etica della differenza sessuale, e ha sottolineato in tutta la sua opera che tale etica si svilupperebbe principalmente tra due soggetti sessualmente diversi, non potrebbe essere ampliato anche il modello di I Love to You, per esempio, concentrandosi sull’elemento “to”? Se il “to” in I Love to You sta per mediazione e non appropriazione, non potremmo allora lavorare anche verso un modello di riconoscimento più ampio che possa implementare la moltitudine di differenze tra i soggetti?

Ovviamente l’etica che cerco di definire, a partire dalla differenza (o dalle differenze) tra uomo e donna, può essere ed è già utilizzata tra altri tipi di soggetti. Ma questa etica non potrebbe essere definita a partire da un’altra differenza, perché la differenza, allora, non sarebbe così irriducibile e trascendentale come lo è tra due soggetti di sesso diverso. Inoltre, in questo caso la differenza non è solo costruita, ma anche naturale, e corrisponde ad una universale: tutte le culture sono più o meno chiaramente elaborate tenendo conto di essa e può quindi servire come base per costruire una cultura mondiale. Un altro punto: questa appartenenza naturale e universale è anche un luogo privilegiato del nostro comportamento relazionale. Tra l’uomo e la donna, un negativo può essere all’opera senza impedire l’esistenza della relazione: la differenza è fonte di energia relazionale e di creatività. È l’esistenza di un negativo possibile e necessario, in quanto custode della dualità delle persone, che mi ha permesso di definire alcuni mezzi per stabilire relazioni intersoggettive nel rispetto delle differenze reciproche. Il “to” di I Love to You è uno di questi mezzi. I Love to You significa “amo a ciò che sei e a chi sei”, quindi a te come persona, come persona specifica, e non solo come oggetto o supporto del mio amore o desiderio. Ho definito altri modi di essere in comunicazione senza dominazione o sottomissione, appropriazione o fusione: per esempio, la scelta dei verbi, e più in generale delle parole in una frase; la scelta delle strutture sintattiche e delle trasformazioni; la scelta dei tempi e persino degli stati d’animo; la conservazione degli aspetti sensoriali, sensibili e sessuati del discorso, ecc. Tutto ciò che può contribuire al rispetto dell’alterità dell’altro.

D. Per concludere questa intervista, potrebbe commentare l’importanza del dialogo e dell’ascolto nella costruzione di un’etica, di una politica e di una cultura della differenza sessuale? E come potremmo noi, come studiosi, ma anche come esseri umani, lavorare per una tale cultura di reciproco e duplice riconoscimento? Come potremmo ristabilire una cultura dell’umanità nel mondo accademico e nella nostra vita quotidiana?

Se vogliamo riconoscere l’altro come altro, dobbiamo prima ascoltare quest’altro per entrare in relazione tra di noi. Ciò che abbiamo già sperimentato, o che ci è stato insegnato in nome di una presunta cultura neutrale non può esserci utile in questa occasione, se non in parte a livello di bisogni. Ma i bisogni non sono il modo di stabilire un’amicizia nel rispetto delle reciproche differenze. I bisogni sono piuttosto ciò che abolisce queste differenze, ed è perché troppo spesso rimaniamo a livello di bisogni che non siamo attenti all’importanza delle nostre differenze. Eppure solo coltivare il desiderio e l’amore può renderci veramente umani e capaci di elaborare un’etica, una politica e una cultura adeguate. Mi concentro sull’importanza dell’ascolto dell’altro, in particolare dei diversi sessi, nel capitolo In Almost Absolute Silence di I Love to You, ricordando la necessità di conservare un luogo di silenzio per poter percepire qualcosa dell’altro. Commento la necessità di ascoltare sia nel pensiero che nell’insegnamento in Listening, Thinking, Teaching in Teaching. Lì si potrebbe trovare una risposta più articolata alla sua domanda. Potrei anche ricordarvi che, per raggiungere il riconoscimento reciproco, dovete imparare ad abitare in voi stessi, conoscere e coltivare colui che siete, costruendo il vostro mondo e riconoscendo l’irriducibile alterità dell’altro. Dovete imparare a distinguere il modo di rivolgersi a uno stesso come voi da quello di rivolgersi a un diverso da voi, andando al di fuori di una cultura che ha neutralizzato le nostre differenze naturali e culturali. Dovete raggiungere l’autonomia, e scoprire i mezzi per creare relazioni nel rispetto reciproco, non solo in nome di obblighi morali, ma verso la vostra realizzazione umana.

Category: Lavoro e Sindacato, Storia della scienza e filosofia, Vite, lavoro, non lavoro delle donne

About Luce Irigaray: Luce Irigaray nasce a Blaton (Belgio) nel 1930. Studia filosofia presso l'Università di Lovanio e si laurea nel 1955. Dopo aver insegnato in un liceo di Bruxelles, si trasferisce in Francia. Nel 1961 riceve una laurea in psicologia presso l'Università di Parigi e nel 1962 il Diploma di psicopatologia. Dal 1962 al 1964 lavora per la Fondazione Nazionale della Ricerca Scientifica in Belgio. Dopodiché inizia a lavorare come assistente presso il Centro Nazionale della Ricerca Scientifica di Parigi, dove è attualmente direttrice di ricerca. Nel 1968 riceve un Dottorato in Linguistica. Nel 1969 analizza Antoniette Fouque, una leader femminista dell'epoca. Dal 1970 al 1974 insegna presso l'Università di Vincennes. In questo periodo diventa un membro dell'EFP (Ecole Freudienne de Paris, fondata da Jacques Lacan). Nel 1974 pubblica la sua tesi di dottorato Speculum, de l’autre femme dove critica con pungente ironia il pensiero di Freud e di Lacan sulla sessualità femminile. Questo libro, che provoca molte polemiche, segna la sua rottura con Lacan e la porta alla sospensione dall’incarico di insegnante presso l’università di Vincennes. Irigaray riesce a trovare un nuovo pubblico nei circoli femministi a Parigi (viene inoltre coinvolta in manifestazioni per la contraccezione e per il diritto all'aborto). Tiene molti seminari e conferenze in tutta Europa, decine dei quali vengono racconti e pubblicati (Oltre i propri confini, Baldini Castoldi Dalai, 2007). Il lavoro della Irigaray influenzerà i movimenti femministi francesi e italiani per alcuni decenni. Nel 1982 ottiene la cattedra di filosofia all'Università Erasmus di Rotterdam (la sua attività di ricerca in questa facoltà porta alla pubblicazione dell’opera Etica della differenza sessuale). Nel 1991 viene eletta deputata al Parlamento Europeo. Nel 1993 scrive, direttamente in italiano, Amo a te. Nel dicembre 2003 l’Università di Londra le conferisce la laurea honoris causa in letteratura. Dal 2004 al 2006 è stata visiting professor nel dipartimento di Lingue e Letterature Straniere presso l'Università di Nottingham. Nel 2007 viene affiliata con l'Università di Liverpool. Nel 2008 le viene assegnata la laurea honoris causa in Letteratura dallo University College di Londra. Tra i sui libri più recenti: Tra Oriente e Occidente. Dalla singolarità alla comunità, Manifestolibri, 1997; Chi sono io? Chi sei tu? La chiave per una convivenza universale. Biblioteca di Casalmaggiore, 1999; Il respiro delle donne. Credo al femminile, Il Saggiatore, 2000; Amante marina di Friedrich Nietzsche, Luca Sossella Editore, 2003; In tutto il mondo siamo sempre in due. Chiavi per una convivenza universale, Baldini Castoldi Dalai, 2006; Preghiere quotidiane, Heimat, 2007; Oltre i propri confini, Baldini Castoldi Dalai, 2007; La via dell'amore, Bollati Boringhieri 2008; Condividere il mondo, Bollati Boringhieri, 2009; Il mistero di Maria, Paoline Editoriale, 2010

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