Vittorio Capecchi: Le bombe su Hiroshima e Nagasaki non erano necessarie per la resa del Giappone

| 6 Agosto 2020 | Comments (0)

 

Per ricordare le due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki (6 e 9 agosto 1945)  ripubblico l’articolo scritto su il Manifesto   il 4 agosto 2005 e ne racconto la storia. Questa storia inizia nel 2004 nella biblioteca del MIT a Boston dove stavo con Adele a casa di Charles Sabel. Nella biblioteca del MIT consultavo la rivista Technology Review sulla quale Gar Alperowitz aveva scritto sulla responsabilità di chi aveva deciso di sgangiare le due bombe atomico spezzando la favoletta, allora corrent,  che erano state gettate per far terminare la guerra sei mesi prima . Gar Alperowitz ha successivamente pubblicato il libro The Decision to Use the Atomic Bomb (Alfred Knops, 1995) ma in quel suo primo articolo sulla rivista del MIT c’erano tutte le informazioni per poter scrivere l’articolo su Il Manifesto del 2005.

La storia di questo articolo prosegue. Un giovane Gian Luca Valentini che legge il Manifesto nota il mio articolo e decide di interpellare tutti i critici della politica statunitense sulla decisione di gettare le due bombe su Hiroshima e Nagasaki e mi chiede l’autorizzaxione a interpellarli. Incredibilmente, a  Gian Luca rispondono Gar Alperowitz, Tsuyoski Hasegava, Doug Long, Ranier Karlsch, Alda Nannini  (esperta di lingua giapponese) rispondono ed esce  cosi a cura mia e di Gian Luca,  il numero 162 di “Inchiesta” ottobre-dicembre 2008 sulle bombe di Hiroshima e Nagasaki che è un numero prezioso per documentare le responsabilità del governo di Truman nel gettare due bombe atomiche su un nemico giapponese  che si era arreso.

Perché questa storia viene raccontata oggi ? Perchè ieri sera nel programma diretto da Andrea Purgatiri  Atlantide della rete 7 è stato proiettato il documentario Hiroshima . The Real History (UK 2015) in cui nonostate il prmettente titolo (The Real History) si attribuiscono tutte le responsabilità al governo giapponese e si considera verità l’affermazione di  Truman del 15 dicembre 1945: «A me sembrava che un quarto di milione dei nostri giovani uomini nel fiore degli anni valesse un paio di città giapponesi».

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1. Vittorio Capecchi: “La lunghissima estate del ’45”  su Il Manifesto del 4 agosto 2005

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La bomba ha 60 anni Lo sterminio delle donne e degli uomini di Hiroshima e Nagasaki non è stato un modo per finire subito la guerra contro un nemico ormai vinto e in cerca di resa ma un crimine contro l’umanità rimasto impunito che anticipa la politica di George Bush

Da sessanta anni, ad ogni anniversario dello sterminio delle donne e degli uomini di Hiroshima e Nagasaki, la domanda a cui si tenta di rispondere è: «perché?». Oggi, grazie all’ampia documentazione a disposizione, a questa domanda si può rispondere senza particolari incertezze. Ma non solo. La domanda, da generico sgomento di fronte all’orrore che quell’avvenimento continua a suscitare, può essere meglio formulata e articolata: perché il presidente americano Truman autorizzò un crimine contro l’umanità dopo che il Giappone si era arreso? E come è stato possibile che questo crimine contro l’umanità sia rimasto impunito?

La bomba: inutile per la resa del Giappone

La sequenza degli eventi puo essere ricostruita nel dettaglio. La Germania ha firmato la resa l’8 maggio 1945 e anche il Giappone è ormai pronto ad arrendersi: non ha più un apparato militare offensivo con «milioni di persone senza casa e le città distrutte nella percentuale del 25-50%» (dichiarazione dell’8 luglio 1945 dell’Us-British Intelligence Committee). Ciò che accade nel mese di luglio è particolarmente importante: è una storia in cui si intrecciano i rapporti tra Usa e Urss per il controllo del Sud Est asiatico, la volontà degli scienziati di sperimentare la bomba atomica, la decisione di sterminio di un presidente americano, il destino della popolazione inerme di due città giapponesi.

Documenti, a lungo rimasti segreti e censurati, mostrano che la resa del Giappone avviene il 12 luglio quando l’imperatore giapponese, attraverso il suo primo ministro Togo, invia un telegramma all’ambasciatore Sato a Mosca in cui chiede alla Russia (che non ha ancora formalmente dichiarato guerra al Giappone) di fare da intermediaria per trattare la resa. L’imperatore è per una resa incondizionata e chiede solo che questa non comporti la sua destituzione per salvaguardare la «sacralità» della sua figura (condizione, del resto, che verrà accettata dal governo americano, ma solo dopo aver sperimentato le due bombe atomiche). Truman è a conoscenza della resa dell’imperatore, come risulta dal suo diario autografo (reso pubblico dopo gli anni `70) in cui scrive il 18 luglio: «Stalin aveva messo a conoscenza il Primo Ministro del telegramma dell’imperatore giapponese che chiedeva la pace. Stalin mi disse inoltre cosa aveva risposto. Era fiducioso. Credeva che il Giappone si sarebbe arreso prima dell’intervento russo». Da notare che sempre nello stesso diario Truman aveva annotato il giorno prima che «Stalin dichiarerà guerra al Giappone il 15 agosto. Quando avverrà, sarà la fine per i giapponesi».

Il 16 luglio, intanto, era stato fatto il primo test della bomba atomica nel New Mexico e Truman era stato ufficiamente informato che il risultato del test era positivo: la bomba era pronta e poteva essere sganciata sul Giappone. La fine della guerra e la resa del Giappone sono previste entro poche settimane (tra il 18 luglio e il 15 agosto). Ciononostante, la decisione di Truman è quella di usare la bomba, distruggere due intere città giapponesi e condannare ad una morte atroce uomini donne, bambini inermi. Ancora una volta la domanda è: perché?

La bomba: per dominare il dopoguerra

La risposta oggi convergente da tutte le fonti è che ciò ha influenzato la decisione di Truman non era un temuto prolungamento della guerra (ormai di fatto terminata) ma il dopoguerra: se l’Urss avesse dichiarato formalmente la guerra al Giappone il 15 agosto, le sue armate avrebbero potuto entrare prima di quelle americane nel Giappone arreso ed in ogni caso, nel dopoguerra, gli Stati uniti avrebbero dovuto spartire con l’Urss la loro sfera di influenza nel Sud Est asiatico. Si tratta di una ipotesi confermata da una osservazione di Winston Churchill, il 23 luglio 1945: «E’ chiarissimo che al momento gli Stati uniti non desiderano la partecipazione russa alla guerra con il Giappone». Nella stessa direzione vanno altre testimonianze. Nel diario di James V. Forrestal (ministro della marina Usa) si può leggere che «il segretario di stato Byrnes aveva una gran fretta di concludere la questione giapponese prima che i russi entrassero in gioco». Il fisico Leo Szilard (che firmò il 7 luglio del 1945 la prima petizione contro l’utilizzo della bomba atomica) nel 1948 ha scritto: «Mr. Byrnes non argomentò che l’uso della bomba atomica contro le città del Giappone fosse necessario per vincere la guerra. Egli sapeva, come anche tutto il resto del governo, che il Giappone era battuto sul campo. Però Byrnes era molto preoccupato per la crescente influenza della Russia in Europa». Anche Albert Einstein (New York Times, 14 agosto 1946) affermò che nella decisione di gettare le due bome atomiche la causa principale era stato «il desiderio di metter fine con ogni mezzo alla guerra nel Pacifico prima della partecipazione della Russia. Io sono certo che se ci fosse stato il presidente Roosevelt questo non sarebbe accaduto. Egli avrebbe proibito un’azione del genere». Sembrerebbe, dunque, che ci troviamo di fronte ad un crimine contro l’umanità come «misura preventiva».

La bomba: chi era contro e chi a favore

Contro l’uso dell’atomica si dichiararono le massime autorità militari. Dice il generale Dwight D. Eisenhower: «Ero convinto che il Giappone fosse già sconfitto e che il lancio della bomba fosse del tutto inutile… In quel momento il Giappone stava cercando un modo per arrendersi il più dignitosamente possibile. Non era necessario colpirli con quella cosa spaventosa». E dello stesso tipo sono le dichiarazioni dell’ammiraglio William Leahy, capo di stato maggiore: «I Giapponesi erano già sconfitti e pronti alla resa. L’uso di questa arma barbara contro Hiroshima e Nagasaki non ci fu di nessun aiuto nella nostra guerra contro il Giappone. Nell’usarla per primi adottammo una norma etica simile a quella dei barbari nel medioevo. Non mi fu mai insegnato a fare la guerra in questo modo, e non si possono vincere le guerre sterminando donne e bambini». Leahy individua anche il gruppo che è stato più a favore: «Gli scienziati ed altri volevano sperimentarla, date le enormi somme di denaro che erano state spese nel progetto: due miliardi di dollari». Quindi, a parte il limitato gruppo dei fisici che era sulle posizione di Szilard e Einstein, c’è un gruppo consistente di attori legati al costosissimo progetto Manhattan che desidera «rendere produttivo l’investimento».

Si arriva così al 25 luglio, quando il Comitato presieduto da Truman e Byrnes (con anche la presenza del rettore dell’Università di Harward James Conant, invitato al Comitato «a nome della società civile», che vergognosamente appoggia lo sterminio) ordina al generale Caarl Spatz dell’Air Force la «missione atomica» su quattro possibili obiettivi (Hiroshima, Kokura, Niigata e Nagasaki) indicando una data provvisoria (il 3 agosto).

La prima bomba atomica scenderà sul centro di Hiroshima il 6 agosto alle ore 8,15 del mattino quando le scolaresche vanno a scuola e le donne e gli uomini al lavoro; la seconda scenderà il 9 agosto alle 11,02 nel quartiere più povero (prevalentemente cattolico) di Nagasaki (tra le due bombe arriva, ormai ininfluente, la dichiarazione di guerra della Russia al Giappone).

Per documentare l’entusiasmo che l’annuncio di questo crimine contro l’umanità riceve negli Stati uniti si può ricordare la testimonianza del fisico Sam Cohen sulla sera del 6 agosto 1945: «Quella sera, Oppenheimer non passò dall’ingresso laterale, fece piuttosto una entrata trionfale come Napoleone al ritorno di una grande vittoria. Mentre entrava, tutti – a eccezione forse di una o due persone – si alzarono in piedi applaudendo e battendo i piedi; erano veramente orgogliosi che ciò che avevano costruito avesse funzionato ed erano orgogliosi di se stessi e di Oppenheimer».

La bomba: come fu mistificata

Nonostante l’euforia, Truman si rende conto che non può rivelare al mondo che ha ordinato un crimine contro civili senza che ve ne fosse bisogno per finire la guerra. Due sono le strategie utilizzate: la menzogna e la censura. La prima menzogna (quella con le gambe corte) è detta da Truman alla radio il 9 agosto quando afferma che «la prima bomba atomica è stata sganciata su Hiroshima, una base militare». La seconda menzogna (quella con le gambe lunghe) serve a nascondere che il Giappone aveva già dichiarato la resa: la bomba è «giustificata» dal numero di morti americani evitato. Come affermò Truman il 15 dicembre 1945: «A me sembrava che un quarto di milione dei nostri giovani uomini nel fiore degli anni valesse un paio di città giapponesi».

Viene poi fatta scattare una durissima censura sia negli Stati uniti che in Giappone. Ad Eisenhower viene inviato il 2 aprile 1946 un memorandum in cui si ordina: «Da nessuno dei documenti destinati alla pubblicazione deve risultare che la bomba atomica fu lanciata su un popolo che aveva già cercato la pace» e nel 1946 venne approvato l’Atto dell’energia atomica che prevedeva l’ergastolo e la pena di morte per chi divulgasse «documenti protetti da segreto con lo scopo di danneggiare gli Stati uniti». In Giappone il silenzio stampa e la censura di qualunque commento critico all’uso dell’atomica furono ferrei fino al 1949.

Le due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki non hanno segnato, dunque, la fine della seconda guerra mondiale ma l’inizio di una nuova era. Quella che usa lo sterminio come misura preventiva, separa l’economia e la politica dall’etica, difende la «neutralità» della ricerca scientifica, legittima la menzogna e l’impunità per chi ha il potere. Il neoliberismo alla Bush è stato anticipato sessanta anni fa da Harry Truman

2. La copertina del numero di “Inchiesta del 2008

Category: Guardare indietro per guardare avanti, Guerre, torture, attentati

About Vittorio Capecchi: Vittorio Capecchi (1938) è professore emerito dell’Università di Bologna. Laureatosi in Economia nel 1961 all’Università Bocconi di Milano con una tesi sperimentale dedicata a “I processi stocastici markoviani per studiare la mobilità sociale”, fu segnalato e ammesso al seminario coordinato da Lazarsfeld (sociologo ebreo viennese, direttore del Bureau of Applied Social Research all'interno del Dipartimento di Sociologia della Columbia University di New York) tenuto a Gosing dal 3 al 27 luglio 1962. Nel 1975 è diventato professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna. Negli ultimi anni ha diretto il Master “Tecnologie per la qualità della vita” dell’Università di Bologna, facendo ricerche comparate in Cina e Vietnam. Gli anni '60 a New York hanno significato per Capecchi non solo i rapporti con Lazarsfeld e la sociologia matematica, ma anche i rapporti con la radical sociology e la Montly Review, che si concretizzarono, nel 1970, in una presa di posizione radicale sulla metodologia sociologica [si veda a questo proposito Il ruolo del sociologo (a cura di P. Rossi), Il Mulino, 1972], e con la decisione di diventare direttore responsabile dell'Ufficio studi della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM), carica che manterrà fino allo scioglimento della FLM. La sua lunga e poliedrica storia intellettuale è comunque segnata da due costanti e fondamentali interessi, quello per le discipline economiche e sociali e quello per la matematica, passioni queste che si sono tradotte nella fondazione e direzione di due riviste tuttora attive: «Quality and Quantity» (rivista di modelli matematici fondata nel 1966) e «Inchiesta» (fondata nel 1971, alla quale si è aggiunta più di recente la sua versione online). Tra i suoi ultimi libri: La responsabilità sociale dell'impresa (Carocci, 2005), Valori e competizione (curato insieme a D. Bellotti, Il Mulino, 2007), Applications of Mathematics in Models, Artificial Neural Networks and Arts (con M. Buscema, P.Contucci, B. D'Amore, Springer, 2010).

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