Vittorio Capecchi: Fenditure in un avvenire irreparabile

| 22 Ottobre 2015 | Comments (0)

 

 

Diffondiamo da “Inchiesta” luglio-settembre 2015 l’editoriale di Vittorio Capecchi

 

Per una versione dell’ Yijing (I Ching)

L’avvenire è altrettanto irreparabile

Quanto il rigido ieri. Non esiste cosa

Che non sia una lettera muta

Dell’eterna scrittura indecifrabile

Il cui libro è il tempo. Chi si allontana

Dalla propria casa  vi è già tornato. La nostra vita

E’ il sentiero futuro e già percorso.

Niente ci dice addio. Niente ci lascia.

Non cedere. L’ergastolo è buio,

La dura trama è d’incessante ferro,

Ma in qualche cantuccio della tua cella

Può esserci una svista, una fenditura.

La strada è fatale come la freccia,

Ma nelle crepe sta in agguato Dio.

(Jorge Luis Borges, 1976)

 

Il tramonto della rivoluzione e le fenditure in cui sta in agguato Dio. In questo numero vi sono contributi diversi che convergono verso la poesia di Borges sull’Yijing (il Classico dei mutamenti) sopra riportata. Amina Crisma fa la recensione del libro di Paolo Prodi che ricorda la storia dell’Occidente e dell’Europa che si è incessantemente animata nella capacità di immaginare e progettare un mondo diverso da quello presente. Ma tale capacità di visione e di progetto è oggi perduta, e “la parola rivoluzione” – egli osserva – è entrata tanto in disuso da diventare quasi soltanto oggetto d’antiquariato o di vignetta satirica”. Ma allora si interroga Amina Crisma, che cosa resta, dell’Occidente e dell’Europa, senza quella capacità di progetto e di visione, senza quella tensione trasformatrice? E senza quella, cosa resta della politica?  Come nella poesia di Borges si è di fronte a un “avvenire irreparabile”? E in questa “cella buia” vi sono delle “fenditure”, “delle crepe” in cui “sta in agguato Dio”?

L’avvenire irreparabile di cui parla Borges  ricorda le atmosfere, anche queste legate all’Yijing), de L’uomo nell’alto castello di Philip Dick pubblicato nel 1962 (ed edito in Italia con il titolo La svastica sul sole). In questo romanzo  non si capisce se a vincere la seconda guerra mondiale sono stati i nazisti oppure gli alleati e la protagonista guidata da I Ching (Juliana) va a chiedere la verità allo scrittore Hawthorne Abendsen, l’uomo nell’alto castello. Abendsen non può mentire. La seconda guerra mondiale è stata vinta dagli alleati ma il nazismo, attraverso le bombe di Hiroshima e Nagasaki e il maccartismo, è penetrato profondamente negli Stati Uniti. Questo oscillare tra nazismo formale e nazismo culturale è  stata la caratteristica degli inizi degli anni ’60 che ho vissuto a New York e, dopo un periodo di utopie che si sono dissolte, è anche l’atmosfera di questo periodo. Ma se siamo nelle atmosfere del romanzo di Philip Dick chi è L’uomo nell’alto castello a cui chiedere la verità? La risposta viene in questo numero di Inchiesta da Mario Agostinelli e dal priore Enzo Bianchi che parlano dell’enciclica Laudato si di papa Francesco presentato come L’uomo nell’alto castello a cui chiedere una diagnosi della situazione. E papa Francesco, che (come Abendsen) non può mentire, indica nella sua enciclica cosa bisogna fare: “ascoltare tanto il grido della terra quanto i grido dei poveri” e tener presente  che “tutto è relazione, e tutti noi esseri umani siamo uniti come fratelli e sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per le sue creature e che ci unisce anche tra noi, con tenero affetto, al fratello sole, alla sorella luna, al fratello fiume e alla madre terra”.

Nell’intervento a due voci c’è piena sintonia tra il priore della Comunità di Bose e il sindacalista. Chi fa il sindacalista ha un interrogativo politico in più. Agostinelli scrive: “la questione centrale rimane, per la sinistra laica quella di una società superiore, non legata ad alcuna intrinseca sacralità, che marcia su soggetti sociali del cambiamento”. Per la sinistra laica ci sono conferme sul carattere irreparabile dell’avvenire? E ci sono delle fenditure che lascino intravedere oggi un’Utopia del possibile?

 

Sul carattere irreparabile dell’avvenire. Non mancano conferme, in questo numero di Inchiesta, di un avvenire che si presenta con caratteristiche di irreparabilità oscillando tra scenari cupi senza utopie. Gianni Rinaldini dietro gli imbrogli e i balletti delle cifre vede la deriva del sindacato in Italia verso un sindacato di mercato, aziendalista, corporativo, al servizio di ogni singola impresa. Rinaldini scrive: “Non può essere questa la Cgil” e Alberto Burgio, nell’intervento che segue, gli risponde documentando la crisi storica della sinistra in Italia. Gli interventi che seguono (Lisa Dorigatti, Umberto Romagnoli, Salvo Leonardi) documentano la perdita dei diritti nei luoghi di lavoro in Italia e la fine di antichi patti tra capitale e lavoro. Loris Campetti documenta i licenziamenti di persone qualificate con più di cinquanta anni che si aggiungono alle cifre imponenti della disoccupazione giovanile e Pippo Russo e Francesco Pirone analizzano come le logiche neoliberiste e il malaffare siano penetrate nell’organizzazione del gioco del calcio che un tempo ormai lontano veniva definito “il gioco più bello del mondo”. Se si passa dall’osservatorio nazionale a quello internazionale,  Emilio Rebecchi affronta, a partire da un dialogo con il suo nipotino davanti alla Tv, il tema delle guerre e dei meccanismi psicologici e sociologici per giustificarle. Seguono poi interventi sulle conseguenze della geopolitica e del neoliberismo internazionale in Cina, Europa e Stati Uniti (Amina Crisma, Angela Pascucci, Davide Bubbico, Bruno Giorgini) e le immagini che si sovrappongono  convergono nell’indicare un avvenire in cui cavalcano i vecchi/nuovi quattro cavalieri dell’apocalisse.

 

Fenditure su un’Utopia del possibile. Gianni Rinaldini scrive che “In questa situazione costruire un altro punto di vista alternativo, non può che passare dalla crescita a livello locale e globale di una nuova e democratica pratica sociale. In sostanza dalle concrete condizioni di lavoro e di vita, dove i valori della solidarietà e giustizia non siano semplicemente enunciate ma vissute nella costruzione di un nuovo tessuto sociale. Agire a livello locale e contemporaneamente costruire e individuare obiettivi di carattere generale che parlino all’orizzonte europeo. Mi riferisco dal reddito minimo al possibile referendum per l’abolizione del Jobs Act, della buona scuola e, se dovesse succedere, della limitazione del diritto di sciopero”. Ci sono delle fenditure che vanno in quella direzione anche in questo numero di Inchiesta? .  Sanzio Corradini e Sabina Breviglieri parlano di economia solidale e di un possibile nuovo modello cooperativo. Michele Bulgarelli descrive un contratto alla Lamborghini di Bologna in cui si riunifica il lavoro e Maurizio Matteuzzi e Giorgio Tassinari raccontano la storia del nuovo Rettore dell’Università di Bologna, Francesco Ubertini, che vince, contro ogni previsione, sulle logiche universitarie più conformiste. Sono piccole fenditure su un’Utopia del possibile ma sono ancora poche. Per arrivare a un’utopia presente nella coscienza collettiva di più società queste fenditure devono necessariamente diventare molte di più.


Category: Editoriali

About Vittorio Capecchi: Vittorio Capecchi (1938) è professore emerito dell’Università di Bologna. Laureatosi in Economia nel 1961 all’Università Bocconi di Milano con una tesi sperimentale dedicata a “I processi stocastici markoviani per studiare la mobilità sociale”, fu segnalato e ammesso al seminario coordinato da Lazarsfeld (sociologo ebreo viennese, direttore del Bureau of Applied Social Research all'interno del Dipartimento di Sociologia della Columbia University di New York) tenuto a Gosing dal 3 al 27 luglio 1962. Nel 1975 è diventato professore ordinario di Sociologia nella Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna. Negli ultimi anni ha diretto il Master “Tecnologie per la qualità della vita” dell’Università di Bologna, facendo ricerche comparate in Cina e Vietnam. Gli anni '60 a New York hanno significato per Capecchi non solo i rapporti con Lazarsfeld e la sociologia matematica, ma anche i rapporti con la radical sociology e la Montly Review, che si concretizzarono, nel 1970, in una presa di posizione radicale sulla metodologia sociologica [si veda a questo proposito Il ruolo del sociologo (a cura di P. Rossi), Il Mulino, 1972], e con la decisione di diventare direttore responsabile dell'Ufficio studi della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM), carica che manterrà fino allo scioglimento della FLM. La sua lunga e poliedrica storia intellettuale è comunque segnata da due costanti e fondamentali interessi, quello per le discipline economiche e sociali e quello per la matematica, passioni queste che si sono tradotte nella fondazione e direzione di due riviste tuttora attive: «Quality and Quantity» (rivista di modelli matematici fondata nel 1966) e «Inchiesta» (fondata nel 1971, alla quale si è aggiunta più di recente la sua versione online). Tra i suoi ultimi libri: La responsabilità sociale dell'impresa (Carocci, 2005), Valori e competizione (curato insieme a D. Bellotti, Il Mulino, 2007), Applications of Mathematics in Models, Artificial Neural Networks and Arts (con M. Buscema, P.Contucci, B. D'Amore, Springer, 2010).

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