Una canzone di Bécaud e i disegni di Luzzati per salutare Don Catti
A Bologna tra giovedì 24 e venerdì 25 luglio 2014 è morto Mons. Giovanni Catti. Su www.inchiestaonline.it del 20 giugno 2014 avevo annunciato che il 22 giugno avrebbe celebrato la Messa per i suoi 90 anni alla Chiesa del Baraccano (e avevo ristampato un suo ricordo di Danilo Dolci). Il 22 giugno sono andato con Amina a salutarlo in occasione di quella festosa cerimonia. Poi la notizia improvvisa della sua morte. Per salutare l’autore del “Sogno di Faggiolino” mentre passa vicino alla luna riporto i versi della canzone di Gilbert Bécaud e alcuni disegni di Emanuele Luzzati. Sono sicuro che nel suo viaggio “le stelle ad una ad una gli tenderanno la mano”
1. Gilbert Bécaud: Allé, allé, Alléluia
Allé Allé Alleluia
Il faut refaire tes bagages
Mon vieux c’est à toi
Tu t’en vas pour le voyage
Qui n’en finit pas
Tu passeras par la lune
Et demain matin
Les étoiles une à une
Te tendront la main
Mets ta plus belle chemise
Tes souliers vernis
Pour que tous les anges disent
Il est en habit
Fais cadeau de ta casquette
Au gamin du coin
Il la mettra pour ta fête
Le jour de la Toussaint
Je me souviens qu’à l’école
Tu étais le premier
Tu as déjà ton auréole
Je suis sur le quai
Si tu pars, si moi je reste
Je vais m’ennuyer
Pour le grand métro céleste
J’attends mon billet
2. La Messa per i 90 anni di Don Giovanni Catti nella Chiesa del Baraccano a Bologna
Il 24 giugno monsignor Giovanni Catti ha compiuto 90 annio e nello stesso tempo ha festeggiato l’onomastico essendo quella data la festa della Natività di S. Giovanni Battista. Le foto fatte da Amina Crisma documentano momenti della funzione religiosa (Monsignor Catti ha commentato i versi del Vangelo secondo Giovanni: In quel tempo Gesù disse alla folla: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo: Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”). Nella quarta foto si vede ai piedi dell’altare anche un bambino che gioca con un’automobilina. E’ stata una presenza gentile. Un omaggio di infanzia e di gioco al Don Catti presidente dell’Università dei Burattini e molto amico dei bambini.
3. San Pietro gremita per l’ultimo saluto a Don Catti
[Il resto del Carlino 28 luglio 2014]
Bologna, 28 luglio 2014 – Se n’è andato tra due ali di folla, accompagnato dai suoi scout in uniforme (col fazzolettone bianco al collo, quello del Bologna 4, il gruppo Agesci in cui per tanto tempo è stato Baloo, il ‘maestro’ della legge dei lupetti e delle coccinelle) e sulle note della canzone “Insieme”. E’ stato questo l’ultimo saluto a monsignor Giovanni Catti, il sacerdote scomparso pochi giorni fa all’età di 90 anni e di recente premiato dal Comune con la Turrita d’argento.
La cattedrale di San Pietro (a Bologna in Via Indipendenza 7) era gremita per lui; in prima fila, il sindaco Virginio Merola in fascia tricolore, la presidente del Consiglio comunale, Simona Lembi, amministratori e politici di oggi (l’assessore Marilena Pillati) e di ieri (dalla Dc alla sinistra, Giovanni Salizzoni, Piergiorgio Maiardi Ugo Mazza, Mauro Moruzzi, Carlo Monaco e altri ancora), esponenti di associazioni e movimenti (il segretario della Cisl, Alessandro Alberani). E soprattutto i tanti che lo hanno conosciuto nel suo impegno attivo per il lavoro, per i giovani e l’educazione e per la pace. Perfino il vescovo emerito di Ivrea, monsignor Luigi Bettazzi (che con Catti visse la stagione del Concilio, “fu compagno di una vita di don Giovanni”), ancora oggi punto di riferimento di Pax Christi, ha voluto far sentire la sua vicinanza oggi alla Chiesa e alla comunità bolognese.
Tra gli applausi, a messa (presieduta dal vescovo emerito, monsignor Ernesto Vecchi), gli scout del ‘Bo4’ (oggi educatori, ieri suoi lupetti e coccinelle) lo hanno ringraziato, come ha detto Aurora, perché non è stato un semplice “assistente”, ma un educatore vero; “grazie per averci insegnato che la preghiera deve essere ‘breve chiara e bella’”. Poi, un’altra ex capo delle ‘Cocci’, Federica, lo ha salutato con la benedizione di San Francesco che lui tanto amava ripetere a grandi e piccoli. E’ toccato al vicario generale della Diocesi, Giovanni Silvagni, ricordare Catti durante l’omelia: ‘don Gianni’ fu per lui “un maestro, un confratello e, alla fine, un confidente, sempre con un rispetto dei ruoli diligente e scrupoloso”.
In questi ultimi anni di vita, a Silvagni Catti ha raccontato i suoi pensieri, “le sue preoccupazioni e le sue sofferenze, alcune anche intime”, ma sempre con “tranquillità e serenità”. Era uno che ha dovuto fare i conti con guai di salute parecchie volte, “ma resuscitava sempre dalle sue cadute, ‘di pacca’, come direbbe lui”, aggiunge Silvagni ricordando quanto fosse lucido anche di recente (come prova anche la bella omelia al Baraccano per i suoi 90 anni). Oggi, “non è facile separarsi da don Gianni, ma per lui siamo felici, la sua esistenza terrena si è conclusa in grande pace, senza strascichi o complicazione”. Silvagni insiste sul tratto di semplicità e saggezza di Catti dispensate tanto alle commissioni Vaticane quanto nell’accademia dei burattini che amava, ma è in questa frase forse il riassunto piu’ efficace di una vita: “Era consapevole, come amava ripetere, che nell’educazione quasi tutto dipende da quasi niente, cioè l’educazione è offrire agli altri quello che si è e si ha, con semplicità e convinzione, sempre nel grande rispetto della libertà di chi abbiamo davanti”.
Citando Papa Francesco sull’importanza di pensare e operare su tempi lunghi, Silvagni conclude la sua riflessione dicendo che le “angolature inedite e originali, senza voler essere originali” di Catti hanno seminato tanto e “i processi che don Gianni ha iniziato chiedono ora di continuare in ciascuno di noi”. E’ lo stesso impegno che gli scout si prendono davanti a tutti alla fine della messa.
4. Guido Mocellin: Il sogno evangelico di Faggiolino
[da www.vinonuovo.it del 27 luglio 2014]
I burattini fanno una morte santa. Come quella che certamente ha fatto mons. Giovanni Catti
Non è un fascio di notizie più o meno grandi quello con il quale mi congedo dal blog prima della pausa estiva – scusandomi con i vinonuoviani per la mia debole fedeltà delle ultime settimane a questo appuntamento domenicale.
È invece una notizia piccola e che ha faticato a fuoriuscire dall’ambito locale: si tratta della morte, avvenuta tra giovedì 24 e venerdì 25 luglio, di un biblista, pedagogista e catecheta, un prete di quelli “di cui si è perso lo stampo”: mons. Giovanni Catti, presbitero del clero di Bologna.
Aveva appena compiuto novant’anni e con il suo arrivo in Cielo perdiamo l’ultimo rappresentante di quella generazione di sacerdoti che, nati tra gli anni Venti e Trenta e attraversata la guerra, avevano trovato nel card. Lercaro, a Bologna, il pastore capace di valorizzarne i talenti, spesso diversissimi, e nel concilio Vaticano II le idee e gli impulsi per tradurli in un ministero estremamente creativo. Un ministero che si è poi esercitato in pienezza anche lungo l’episcopato del card. Poma e dei suoi ausiliari, mentre ha successivamente sofferto, in alcuni più, in altri meno, l’invincibile freddezza con cui è stato considerato dal card. Biffi. Qualche nome? Luigi Campagnoli, Tullio Contiero, Luciano Gherardi, Giulio Salmi, Paolo Serra Zanetti…
Tornando a mons. Catti, credo che per ricordarlo qui non ci sia niente di meglio che rileggere una sua fiaba, nella quale forse parla di sé più che in tante altre. Si intitola “Il sogno di Faggiolino” e la copio da Borgofavola. Orsogrigio racconta, un volume di 25 racconti illustrati da Francesco Guerrini, voluto dagli amici per festeggiare i suoi settant’anni e pubblicato dalle EDB nel lontano 1994.
“Quando si ritrova, a Natale, a Pasqua o per qualche altro motivo, con quelli che sono stati lupetti o coccinelle o giovani scout con lui qualche tempo fa e con i loro figli, spesso don Catti porta in dono una fiaba”, spiega la quarta di copertina. “Il conversatore fantasioso, l’inventore di parole che si nasconde nel raffinato interprete delle Scritture ben noto a chi segue le sue omelie, mescola storie vere e pure invenzioni, di animali cose fiori che si animano appena giriamo lo sguardo, quando viene buio dentro la nostra casa o in vicini paesaggi, urbani, campestri”.
“Che cosa ci dicono questi racconti? Parlano di un mondo possibile, dove ogni goccia d’acqua ha un nome, i rospo conversano con i libri, i topi baciano pagnottelle”. E i burattini fanno una morte santa. Come quella che certamente ha fatto mons. Catti.
Nel panierone dei burattini, a mezzanotte, Faggiolino si addormentava. Indossava ancora la giacca grigia sopra il buratto quasi bianco, in testa aveva la lunga berretta bianca con il fiocco in fondo. Aveva lavorato molto in due spettacoli, al pomeriggio e alla sera, aveva dato legnate e le aveva prese: aveva chiamato con un fischio il suo bastone di legno di faggio, lo aveva afferrato con due mani, aveva fatto giustizia, o almeno lui pensava di avere fatto giustizia. Fra le risate di bimbi e bimbe si era affaticato. I suoi compagni di lavoro dormivano già: Isabella, sua moglie; Sganapino, suo amico; il dottor Balanzone; e poi Ghiterra Spadacc, gendarme; il diavolo; la morte e poi Brighella, venuto da Venezia, e Sandrone, venuto da Modena o da Reggio Emilia. Si udivano respiri profondi, Ghiterra russava come sempre.
Faggiolino sognava. Stringeva tra le mani il bastone di legno di faggio. Ma un altro legno attirava la sua attenzione. Era un pezzo di legno di pioppo, un pezzo assai più lungo e più grosso del suo bastone. Poggiava sulla spalla destra di un personaggio insolito, nelle commedie dei burattini. Quel legno era bagnato di sangue, di sudore. Faggiolino, allora, entrava in scena. Teneva il bastone orizzontale, e girando su se stesso toccava con il legno le punte dei nasi di tutte le persone lì intorno. Perché intorno a quel povero uomo con il legno sulla spalla destra c’erano diverse persone, molti soldati. Il bastone di Faggiolino incominciava a fare giustizia, alcuni soldati cadevano, altri scappavano.
Ma chi era quel signore ancora in piedi, vestito da gendarme, e parlava con accento napoletano? Forse Ghiterra Spadacc? “Sono Ponzio Pilato, procuratore romano”. Ponzio Pilato? Faggiolino conosceva questo nome: nel panierone, prima di addormentarsi, i burattini venuti di lontano raccontavano molte storie, e in una di queste storie c’era Ponzio Pilato e faceva cose ingiuste, con prepotenza. Adesso era venuto il momento giusto. Faggiolino gli diede un leggero colpo da una parte della testa, un altro colpo meno leggero dall’altra parte, e poi colpi su colpi, sul cranio, sulla groppa, sulle mani alzate, sulle mani pulite, appena lavate. Pilato era steso.
Ma chi era l’altro signore ancora in piedi, vestito di nero, e parlava con accento bolognese? Forse il dottor Balanzone? “Sono il sommo Sacerdote!”. Sommo Sacerdote? Nella storia ricordata prima, insieme con Ponzio Pilato c’era anche il sommo Sacerdote. Con l’estremità del suo bastone, Faggiolino gli toglieva la mascherina nera, e poi giù colpi su quella carne, su quelle ossa. Anche il sommo Sacerdote era steso. Faggiolino si asciugava il sudore, soddisfatto. Però il suo bastone di legno di faggio all’improvviso diventava grande e grosso, si posava sulla sua spalla destra, e lui si trovava alla sinistra di quell’uomo insanguinato e sudato. Perché si trovava lungo questa via?
Portava ancora la giacca grigia e la berretta bianca, ma era nato lontano di qui migliaia di chilometri, circa duemila anni fa. Era un bimbo, assai vivace. Rompeva, infrangeva, spezzava, fracassava molte cose. Era un fanciullo. Vedeva un soldato romano. Il soldato prendeva un uomo per la barba, lo trascinava via, e un bimbo gridava, supplicava. Era un ragazzo. Vedeva un giovane guerrigliero, con il pugnale corto, e il mantello avrebbe nascosto il pugnale. Era anche lui un guerrigliero. Ma una notte sui monti i soldati romani lo avevano trovato, lo avevano legato, e lui era stato condannato a morte. Adesso andava a morire.
Era festa. Era Pasqua. Però lui andava a morire. Che festa di Pasqua! Forse stava già per morire. In questo momento udì una voce. Sembrava la voce di Isabella. Era dolce, come quando Isabella gli diceva: “Bravo. Hai fatto bene”. Era forte, come quando Isabella gli diceva: “Basta. Dammi quel bastone”. Sembrava la voce di Isabella, ma non c’era Isabella. E la voce diceva: “Oggi, anche tu, in Paradiso”.
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